La Baia dei Pirati

Mele e appunti

È di un paio di giorni la notizia della condanna a un anno di carcere (più una multa salatissima) dei quattro responsabili del sito The Pirate Bay (la breve su Macworld.it è a questo link, ma basta usare Google per trovare tutte le informazioni in merito). A me interessa mettere in rilievo un’affermazione del presidente della IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) John Kennedy, il quale, parlando con la BBC, ha dichiarato:

[…] Il verdetto ha inviato un messaggio assai chiaro. Da tempo esiste questa percezione che la pirateria è OK e che l’industria musicale dovrebbe semplicemente farsene una ragione. Questo verdetto cambierà tale percezione.

Non sono tanto convinto che il verdetto contro The Pirate Bay cambierà di molto la musica (scusate il bisticcio). Ovviamente non ritengo che la pirateria sia cosa buona e giusta. In quanto autore, mi stanno ancora più a cuore le problematiche legate alla proprietà intellettuale e al copyright. Il fatto è che la pirateria è sempre esistita, ed è andata adeguandosi ai nuovi mezzi di diffusione del materiale. L’avvento di Internet, della condivisione peer-to-peer e delle tecnologie a essa relative non ha fatto altro che accelerare le cose. Come diceva giustamente Steve Jobs nell’intervista a Rolling Stone del 2003 (di cui ho già parlato in questo post):

La novità oggi è questo sistema di distribuzione incredibilmente efficace di proprietà intellettuale rubata che si chiama Internet. E nessuno chiuderà Internet. E basta che un’unica copia rubata arrivi su Internet. E il modo in cui lo abbiamo spiegato alle case discografiche è stato: forza una serratura e aprirai ogni porta. Basta una sola persona che forzi la serratura. Nel peggiore dei casi uno prende gli output analogici del proprio riproduttore di CD, li registra nuovamente e li sbatte su Internet. Non potrete mai fermarlo. Quindi quel che dovete fare e competere con tutto questo.

La pirateria si è adeguata. Chi dovrebbe incaricarsi di salvaguardare diritti d’autore e garantire la diffusione legale del materiale protetto da copyright, invece no, e continua a voler contrastare la pirateria con mezzi e modalità inadeguati, vecchi, inefficienti. Non sto difendendo The Pirate Bay, sia chiaro. Ma se l’industria discografica o dell’intrattenimento sono convinte di aver sferrato un colpo decisivo alla diffusione illegale di materiale protetto da copyright, beh, si stanno auto-suggestionando.

Ricordo il caso Napster. Ha fatto diminuire la quantità di materiale scambiato in forma illecita? No. Ricordo, più di recente, la chiusura di sei fra i maggiori server eMule, con un traffico di milioni di utenti e di terabyte di dati. Due giorni dopo c’erano altri nuovi server eMule. Due settimane dopo le cose, nel mondo del peer-to-peer, erano più o meno come prima. Mi viene in mente un vecchio gioco arcade ambientato in un campo coltivato. Sbucava una talpa e bisognava darle una botta in testa prima che riscomparisse nella buca. Il gioco acquisiva sempre più velocità e occorreva correre a destra e a manca a dare botte in testa alle talpe che comparivano dappertutto, e presto era piuttosto difficile star loro dietro. La lotta alla pirateria portata avanti oggi mi sembra molto simile a questo giochino: è una battaglia (almeno in queste modalità) persa in partenza.

A complicare le cose è un altro elemento: la questione pirateria non è tutta bianca o tutta nera, ma vi sono svariate sfumature di grigio. La lotta alla pirateria non è come la lotta al crimine organizzato o al terrorismo, in cui il confine fra buoni e cattivi è decisamente più netto. Riporto ancora un altro estratto dell’intervista a Jobs:

Più tardi l’industria musicale ha minacciato di sbattere in galera chiunque fosse stato scoperto a scaricare musica illegalmente. Una mossa brillante, vero?

Beh, ma li capisco. Apple possiede una gran quantità di proprietà intellettuale. Abbiamo detto anche questo alle case discografiche: è molto seccante quando la gente ruba il nostro software. Per cui penso che sia nei loro diritti cercare di impedire che la gente rubi i loro prodotti.

La nostra posizione, fin dal principio, era che l’80% delle persone che rubano musica online non vogliono realmente essere dei ladri. Ma quello è un modo molto attraente di ottenere musica: è gratificazione istantanea. Non occorre recarsi al negozio di dischi; la musica è già digitalizzata, per cui non serve nemmeno rippare il CD. È così attraente che le persone sono disposte a diventare ladri pur di ottenere la musica con tale facilità. E dire loro che non dovrebbero comportarsi da ladri, senza un’alternativa legale che offra gli stessi benefici [dello scaricare musica illegalmente], suona un po’ vuoto.

Io sono una persona onesta, così come voi che mi leggete. Nessuno di noi (almeno spero) è un criminale. Quanti fra noi possono dire, in assoluta sincerità, di aver pagato tutta la musica e tutto il materiale video che possiedono fino all’ultimo centesimo? Mi auguro molti, ma sarebbe ingenuo credere che la percentuale sia il 100%. Secondo l’industria discografica e cinematografica è sufficiente aver scaricato/ottenuto un album o un film (o un libro, ecc.) ‘per vie traverse’ per essere definiti pirati e criminali. Lo dice bene Jobs: la stragrande maggioranza delle persone che si appropriano di contenuti online lo fanno semplicemente perché sono di facile reperibilità e fruibili immediatamente, senza nemmeno uscire di casa. E molti lo fanno senza fini di lucro, ma per fruirne personalmente.

E qui la questione si complica ulteriormente, perché dietro l’etichetta di ‘pirata’ si celano persone e intenti anche molto diversi. C’è chi scarica MP3 con lo scopo di ‘preascoltare’ determinati artisti e poi finisce comunque per comprare il CD (o una versione digitale della musica, ma con una qualità maggiore). C’è chi scarica puntate di serie televisive d’oltreoceano in formato divx per stare al passo con la programmazione americana e inglese, nonché con i vari forum di discussione sparsi per il Web, e poi, per vedersi la serie con calma, sul proprio televisore da parete, con una qualità audio e video decisamente migliore, con il beneficio dei contenuti addizionali, acquista comunque il cofanetto DVD o Blu-ray. Esiste una quantità enorme di album pubblicati in vinile venti, trenta, quarant’anni fa che non sono mai stati ristampati su CD. Basta una rapida ricerca su Google per trovare tutta una serie di siti in cui chi possiede quei vinili e li ha convertiti manualmente in file audio, li mette a disposizione della comunità. In molti casi si tratta di rarità importanti per conoscere la discografia di un artista, e il genere di commenti che si trovano più di frequente in questi siti è: Grazie per aver distribuito questo disco. Non conoscevo l’artista Taldeitali, ma è stata una bella scoperta e sono andato su [Amazon/iTunes/ecc.] a comprare altri suoi lavori. In alcuni casi, che ci crediate o no, l’artista stesso (o un suo familiare, in caso di persone non più tra noi) ha scritto un commento di ringraziamento, magari segnalando altri siti dove acquistare legalmente la musica ripubblicata in CD o in formato digitale di quell’artista.

Sono pochi esempi, forse di situazioni limite, ma non tanto fuori dal mondo. Per l’industria discografica, che fa di ogni erba un fascio, è tutta pirateria. (Sia chiaro: in gran parte lo è. Che lo sia al 100% non ne sono altrettanto convinto). Analogo discorso per chi ritiene che ogni torrent e ogni hash del protocollo ed2k sia materiale piratato e illegale. La condivisione peer-to-peer serve anche per scambiare materiale lecito e/o gratuito ma di grandi dimensioni, come distribuzioni Linux, materiale audio/video amatoriale e non pubblicato commercialmente, e così via. Tempo fa mi sono servito di Transmission (un programma per Mac OS X per scaricare file torrent) per ottenere un DVD contenente 4 GB di shareware, demo, freeware e abandonware per la piattaforma Newton, pazientemente riuniti dalla comunità Newton allo scopo di preservare certo materiale dopo la scomparsa di moltissime software house produttrici di tali applicazioni. Altro esempio: possiedo più di 5.000 vinili e più di 2.000 CD. Fra quei duemila CD, almeno quattrocento sono album che già possiedo in vinile e che ho ricomprato in CD. Quando ho importato molti di quei CD nella mia libreria iTunes, il lettore del PowerBook non riusciva a leggerne alcuni, e l’importazione falliva oppure si producevano delle distorsioni audio. Ho cercato nelle reti peer-to-peer i file audio di quegli stessi album (forse 5 o 6 in tutto) comprati prima in vinile, poi in CD. Non mi pare di aver agito in mala fede, e credo di aver pagato ampiamente le royalties di quegli artisti. (Qualcuno forse ricorderà quanto costava un vinile 20–22 anni fa).

Con un panorama così composito, le affermazioni di Kennedy fanno un po’ sorridere. Sradicare completamente la pirateria è un proposito utopico. Ma si può lavorare su qualche sistema per scoraggiarla, questo sì, e Jobs ha di nuovo visto giusto quando ha deciso di realizzare l’iTunes Store. Lasciamo da parte un attimo il discorso del DRM, e guardiamo al prodotto iTunes Store: è un negozio virtuale facilmente consultabile, il materiale è quasi interamente preascoltabile, i prezzi sono sufficientemente bassi e la qualità sufficientemente alta — un buon compromesso che invita l’utente a comprare e a fruire subito della musica comprata. È un’esperienza ben congegnata e che fa leva sulla fondamentale pigrizia dell’utenza e batte la pirateria con le sue stesse armi, ossia rende immediatamente disponibile la musica cercata e l’utente può scaricarla ancora più rapidamente che non cercandola su eMule o sui siti torrent, attendere lo scaricamento del materiale (non sempre è immediato), per poi magari trovarsi file di scarsa qualità o, peggio, dei file completamente diversi da quanto si aspettava (perché magari un buontempone si è divertito a modificare i titoli). Con iTunes Store la fonte è certa e fidata, lo scaricamento istantaneo, il karma positivo perché si paga e si è a posto con la legge e la coscienza.

A mio parere è questa la strada da intraprendere. Cercare di capire bene come funziona il panorama underground assai variegato. Rendersi conto che, come diceva Jobs, non si può ‘chiudere Internet’. Proporre una valida alternativa legale che tenga conto dei metodi e delle tecnologie attuali. E soprattutto smetterla di cacciare talpe dando martellate a casaccio.

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