Apple, l'innovazione e la vecchia guardia

Mele e appunti

Sulle liste di discussione che seguo, per ragioni di tempo e in certi casi per scelta deliberata, sono più un lettore che un interlocutore attivo. Di tanto in tanto però salta fuori qualche argomento interessante e allora mi lascio un po’ prendere la mano.

Di recente, sulla lista MisterAkko si è parlato di quanto Apple sia veramente innovativa. Il tutto è partito dalla considerazione che sui Mac continuano a mancare tecnologie come il Blu-Ray, che altre sembrano messe in un angolo (ExpressCard che ormai è disponibile solo sul MacBook Pro da 17 pollici, e che offre accesso a periferiche eSata), e di come esistano PC portatili che le offrano tranquillamente e con un costo relativamente contenuto.

Insomma, qualcuno si è chiesto, ma Apple sta innovando o sta seduta sugli allori? (Sto parafrasando).

Volevo estendere la mia risposta a un’audience più vasta e quindi la ripubblico qui (è composta da più interventi); non perché mi sembri più meritevole di attenzione di altre, ma se non altro perché magari può essere uno spunto per chiacchierare nei commenti.

1.

Da quando è tornato Jobs al timone, uno dei cambiamenti più notevoli del modo di porsi di Apple verso l’esterno è stata la chiusura quasi completa. Una volta — e lo leggo in vecchi articoli di riviste Mac inglesi e americane dell’epoca 1990–1998 — c’erano progetti, intenti, e prodotti annunciati anche in corso d’opera (come Copland). Oggi c’è segretezza. Non sappiamo a che cosa stia lavorando Apple nei suoi laboratori. Magari esistono prototipi funzionanti di dispositivi e computer eccezionali, che impiegano tecnologie innovative e quant’altro. Magari è da quando Apple si è risollevata economicamente che sta studiando un Tablet straordinario, leggerissimo e arrotolabile come un giornale.

Ogni tanto in rete salta fuori la notizia che Apple ha depositato un brevetto. Andando nel sito dell’Ufficio Brevetti statunitense è possibile vedere i disegni. Degli ultimi brevetti che ho visto, a parte dettagli di interfaccia per interazioni con dispositivi multi-touch, nulla è apparso (ancora) in prodotti messi effettivamente in commercio da Apple. Questo è uno degli indizi che mi fanno credere che di cose che bollono in pentola, in Apple, ce ne sono eccome.

Ma innovare costa, in termini di tempo e denaro. E c’è un tempo per innovare e un tempo per fare cassa. Secondo me Apple sta attraversando una fase conservativa da questo punto di vista. In passato non sempre le innovazioni introdotte da Apple hanno fatto centro, vuoi perché erano troppo avanti per l’epoca, vuoi perché non hanno attecchito in parte — guarda caso — per il costo finale (esempio eclatante, appunto, il Newton). E Apple ha pagato lo scotto. Ora, io ho l’impressione che la politica attuale sia quella di muoversi con moderata cautela, specie in un periodo di crescita e in cui ogni mossa commerciale risulta vincente.

In altre parole, è facile parlare di innovazione, ma che succede se il prodotto finale, tanto bello e innovativo, risulta essere un passo falso (perché non centra il target, perché è troppo costoso, perché non viene ‘capito’)? Perché a me piacerebbe tanto un Tablet, o anche un affare come il Kindle, ma sottile come un tappetino per mouse e arrotolabile (frogdesign ha lavorato a un progetto analogo). Ma se poi, passato il battage pubblicitario, non lo compra nessuno? iPhone ha avuto un tempo di gestazione relativamente lungo, che immagino non sarà stato dedicato solo al progetto e alla costruzione dell’oggetto, ma anche a raffinare strategie di posizionamento, introduzione nel mercato, tempistica, con in testa uno Steve Jobs che avrà rotto l’anima a tutti dicendo che “il fallimento non è un’opzione”. (A chi dice che iPhone non ha nulla di innovativo, consiglio di non fermarsi all’oggetto in sé, ma di considerarne l’intero ecosistema).

Io sono ottimista, malgrado le ExpressCard che spariscono e i Blu-Ray che non appaiono, perché in Apple ci sono delle belle teste e l’azienda ha dimostrato più d’una volta di avere un istinto di sopravvivenza non comune, oltre che naturalmente il costante desiderio di distinguersi dagli altri, che è uno degli ingredienti essenziali dell’identità dell’azienda. (Ovviamente parlo di ‘istinto di sopravvivenza’ in senso lato. Non riesco a credere che quest’Apple della seconda dinastia Jobs — malgrado stia attraversando il momento più ricco della propria storia, e malgrado le apparenze — si stia proverbialmente sedendo sugli allori e tutti passeggino per i Campus cazzeggiando allegramente e godendosi il momento).

2.

Un altro elemento scaturito dalla discussione: secondo alcuni, Apple, nella sua foga di rivolgersi al mercato consumer, sta sempre più ‘abbandonando’ la cara vecchia fedele clientela di professionisti. Ora, questo a me non pare. È vero che oggi il catalogo Apple offre una quantità di prodotti decisamente molto appetibili alle fasce dei semi-professionisti e consumatori senza pretese, e proporzionalmente la scelta per il professionista (dell’audio/video, per esempio) è più limitata rispetto a una volta, ma la tesi che Apple dovrebbe continuare a onorare la vecchia utenza mi sembra un po’ traballante e non si capisce bene che cosa dovrebbe continuare a offrire loro. In altre parole, se qualche professionista è stato costretto a smettere di lavorare a causa di nuovi prodotti Apple, si faccia avanti ché sono curioso di sentire la sua opinione.

Io la vedo così, e posso sbagliare: se Apple avesse continuato a rivolgersi alle tanto care nicchie di mercato, a quest’ora avrebbe già chiuso bottega. Ricordo che a risollevare le sorti dell’azienda 11 anni fa è stato proprio un prodotto consumer, lo iMac. Senza le vecchie ADB, SCSI, Seriali, senza il floppy, con più ‘senza’ che ‘con’, se vogliamo. Apple oggi ha scelto di relegare le nicchie di utenza a una nicchia di suoi prodotti (Mac Pro, MacBook Pro 17″). Forse non lo ha fatto al meglio, ma non mi sembrano macchine che facciano particolarmente schifo (penso soprattutto ai Mac Pro, e considerando poi le nuove funzioni di Snow Leopard che dovrebbero renderli prodotti ancora migliori).

Io mi domando e dico: se Apple avesse dichiarato bancarotta nel 1997, fosse stata acquisita da un’altra azienda, ecc., queste nicchie professionali che cosa avrebbero fatto? Si sarebbero appellate a questa ‘etica’, esigendo dall’azienda californiana un continuo supporto ad aeternum?

Da quel che ho potuto capire analizzando i metodi di Steve Jobs, lui ha sempre cercato di infondere la mentalità del ‘sempre avanti’, mai fermarsi a guardarsi l’ombelico, sempre in competizione con se stessi. Questo ha un risvolto positivo nel fatto che Apple dal 1998 in qua ha tirato fuori dei prodotti davvero belli e alcuni rivoluzionari (anche se magari non innovativi nel senso di Archimede Pitagorico). Il risvolto negativo — almeno secondo la percezione di alcuni — sta nel fatto che la mentalità del ‘sempre avanti’ ha lasciato qualcuno indietro. O almeno, un certo numero di utenti Mac si sentono lasciati indietro. Ho un amico grafico che ancora conserva un PowerMac G3 grigio acquistato due mesi prima che uscisse la nuova serie degli Yosemite bianchi e blu, che abbandonavano seriale e SCSI a favore di USB e FireWire. Dopo aver speso sudati quattrini, aveva l’impressione di avere in mano un computer già obsoleto. Per non parlare delle periferiche che lo accompagnavano.

Posso comprendere il sentimento e la posizione, il sentirsi ‘traditi’. Molti appassionati Apple, certi fedeli utenti dell’Apple di nicchia e dei ‘bei tempi bui’, conservano un’immagine antropomorfizzata e nostalgica dell’azienda, ed è questo che crea un velo emotivo e irrazionale, che a volte inquina un dibattito che vorrebbe puntare all’obiettività. Bisogna dire infatti che storicamente Apple, per parte sua, ha fatto ben poco per ingraziarsi la propria utenza. Nell’epoca in cui si era una nicchia elitaria e c’erano sanguinose guerre di religione con gli utenti PC, l’epoca dei grandi fan e degli evangelisti, Apple ha sempre assunto una posizione di tiepida tolleranza. Non ha mai spinto alcuna iniziativa per accontentare o compiacere i suoi fan.

Il colpo di grazia lo ha sferrato con la decisione di non partecipare più al Macworld Expo, che era anche e soprattutto un ritrovo di entusiasti della mela provenienti da ogni parte d’America (e anche del mondo). È stata una decisione sensata e razionale dal punto di vista del business, ma un duro colpo a livello emotivo per chi ci andava abitualmente (spendendo anche una bella cifra). Ricordo che sui siti Mac se n’è parlato fino a febbraio, e il clima era di generale disappunto.

Per concludere provvisoriamente, io ho l’impressione che ci sia una percentuale di utenti Mac della vecchia guardia rimasti indietro più per un immobilismo loro che per ‘abbandono’ da parte di Apple. Oggi abbiamo per le mani dei Macintosh che non saranno forse le macchine più innovative o zeppe di porte e connettori presenti sul mercato, ma che offrono una discreta potenza, un’integrazione hardware/software insuperata, e che soprattutto sono abbordabili; anche i modelli più costosi a listino, che un professionista — se si vuole chiamare tale — può e deve certamente permettersi. Perché se andiamo a vedere l’epoca in cui i desktop Apple erano beige (o grigi, a seconda dei punti di vista) e i PowerBook grigio scuro o marrone, per certi modelli c’era da accendere un mutuo, altroché.

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