La sostenibile leggerezza dell'Air

Mele e appunti

Era nei miei piani guardarmi il keynote in differita sul sito Apple, farmi un’idea dell’evento in generale e anche delle altre novità di cui ha parlato Steve Jobs. In verità non sono ancora riuscito a vederlo. Il MacBook Air mi ha davvero stupito (anche le chiacchiere intorno al prodotto, ma non altrettanto positivamente) e continuo a osservarlo e a rifletterci su. A mente fredda, e guardando un po’ più in là del MacBook Air in sé e per sé, mi sto convincendo sempre più che la novità di questo notebook ultrasottile non è solo rappresentata dalla sottigliezza, dalla leggerezza, dal design. È un altro sasso nello stagno, come lo fu il primo iMac G3 Bondi Blue. È un segnale. Se tutto va come dovrebbe, il MacBook Air sarà il precursore di un nuovo modo di intendere i network, la connettività, le periferiche e le espansioni.

Gli ingredienti ci sono più o meno tutti, occorre approntare una ricetta e vedere cosa ne esce. Il MacBook Air è il perfetto Mac in transito. È il Mac per viaggiare leggeri, che non significa soltanto avere appresso un portatile dal peso trascurabile, ma anche meno cavi e un minor numero di accrocchi. L’ingrediente chiave della ricetta è quell’Air che sta davanti ai nostri nasi. Il nuovo MacBook prende il concetto di collegamento e connettività wireless e alza la posta in gioco. Il primo iMac fece così con il floppy e con certe interfacce che stavano diventando obsolete: ne era coraggiosamente privo, prima di tutti gli altri. Che hanno criticato criticato e criticato e poi… hanno seguito l’esempio (copiando persino il form factor, le trasparenze nelle scocche, i colori). Il MacBook Air comunica proprio questo messaggio: andiamo avanti – i cavi devono sparire, così come il concetto di collegamento fisico di computer e periferiche. Oggi è possibile collegare una stampante via wireless, il WiFi si sta diffondendo sempre più sulle fotocamere digitali, si dialoga con cellulari e palmari senza uso di cavi. E MacBook Air può collegarsi a un altro Mac e condividerne il lettore CD/DVD. Può collegarsi a un disco rigido (Time Capsule) via wireless e fare il backup, e così via.

Immaginiamo lo scenario: si arriva in ufficio o studio, ci si siede, si apre il MacBook Air e il portatile si connette automaticamente al lettore ottico di un altro Mac in rete, a un disco rigido wireless, al router, al fax, alla stampante, agli altri computer della rete. Questo tipo di “aggancio”, di integrazione senza fili sarà in futuro sempre più presente (con le dovute precauzioni di sicurezza, s’intende) anche in luoghi pubblici: caffè, librerie, fast-food, università, biblioteche, ecc., che metteranno a disposizione degli utenti non solo il collegamento a Internet ma anche una serie di risorse aggiuntive, in modo da estendere le funzionalità dei singoli portatili. L’idea di connettere cavi sarà sempre più qualcosa del passato.

Il concetto stesso di rete si elasticizzerà. Ora siamo abituati a considerare le reti come strutture “chiuse”, come tante entità legate a spazi fisici distinti a cui collegarsi di volta in volta – la rete di casa, la rete aziendale, la rete del Politecnico, ecc. Nell’ottica del “WiFi totale” sarà sempre più naturale trovarsi di fronte a reti temporanee che nascono spontaneamente, aggregati che si formano in transito, sia per lavorare sia per divertirsi. Pensiamo a un progetto di lavoro (o anche ludico): i vari collaboratori vi lavorano magari collegandosi temporaneamente, offrendo il proprio contributo del giorno, per poi uscire dalla rete e proseguire da soli, in sottogruppi, o seguendo altri progetti, tutto via wireless, in un flusso di lavoro fluido e produttivo.

Persino l’apparente non espandibilità e chiusura del MacBook Air possono essere antesignane di un cambiamento di prospettiva. Finora si è sempre considerato il computer, portatile o no, come una serie di parti, di pezzi. Se vuoi aggiornare o cambiare un certo pezzo lo togli e ne compri un altro. Ma a una percentuale considerevole di utenti non interessa tanto aprire il computer ogni due per tre, quanto avere un oggetto che lo acquisti, lo togli dalla scatola, lo accendi e funziona. Come un elettrodomestico, un telefonino, una fotocamera. Quando smette di funzionare o sta troppo stretto per le proprie esigenze, si passa ad altro.

Sembra fantascienza messa così, ma a ben guardare tutti questi piccoli segnali sono già nell’aria, e con il MacBook Air Apple potrebbe essere interessata non solo a vendere il prodotto in sé e per sé, ma anche a dimostrare che, se uniamo tutti i puntini, se mettiamo insieme tutta una serie di elementi già presenti in potenza, può apparire un quadro davvero interessante. Adesso tutto è sommerso da chiacchiere e critiche: poca espandibilità, troppe limitazioni, e quant’altro. La stessa musica di dieci anni fa con quel computer tutto-in-uno colorato e semitrasparente, senza floppy, porte seriali e SCSI. Sappiamo com’è andata a finire, poi.

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