MailWrangler, altra applicazione respinta dall'App Store

Mele e appunti

Daring Fireball Linked List: MailWrangler, Gmail-Specific Email Client Rejected From App Store: John Gruber è sintetico al punto giusto:

Angelo DiNardi ha scritto un’applicazione per iPhone chiamata MailWrangler. Si tratta di un wrapper WebKit dell’interfaccia Web ottimizzata per iPhone di Gmail, e aggiunge il supporto di account Gmail multipli. Ha inviato l’applicazione ad Apple il 17 luglio, e sei settimane dopo ha ricevuto questa risposta da Apple, che ha respinto MailWrangler dall’App Store:

La sua applicazione duplica la funzionalità dell’applicazione Mail di iPhone senza offrire una sufficiente differenziazione o funzionalità aggiuntive, e questo genera confusione nell’utente.

Tutto questo è deprimente. Circa una settimana fa, sulla scia della vicenda di Podcaster, un altro sviluppatore iPhone mi ha detto che un suo amico in Apple gli ha sconsigliato di mettersi al lavoro su un client di posta per iPhone — ché le alternative a MobileMail non verranno ammesse nell’App Store.

MailWrangler presenta un’interfaccia decisamente diversa (ma sempre in pieno stile iPhone) da MobileMail. E mentre è possibile utilizzare MobileSafari per accedere all’interfaccia Web di Gmail per iPhone (che è la stessa interfaccia presentata da MailWrangler), con MobileSafari è necessario effettuare il Logout e poi di nuovo il Login per ogni account Gmail che si vuole controllare. MailWrangler sembra proprio un’ottima applicazione per chi ha svariati account Gmail e preferisce l’interfaccia Web ottimizzata per iPhone rispetto a quella fornita da MobileMail.

Nel finesettimana mi sono arrivate un paio di email da parte di lettori del mio blog; entrambi mi chiedevano un parere sulla faccenda “Apple e le applicazioni respinte dall’App Store”. Colgo l’occasione quindi per buttare nel piatto i miei due centesimi.

Osservando la situazione dall’esterno, la prima impressione che ne ho tratto è che il dialogo fra Apple e gli sviluppatori assomiglia a quel buffo film con Gene Wilder e Richard Pryor, in cui gli attori impersonavano un sordo e un cieco. La comunità degli sviluppatori e dei blogger ‘tecnici’ che li appoggiano mi pare ultimamente un po’ piagnucolosa. DiNardi nel suo blog conclude dicendo:

La quantità di applicazioni merdose nell’App Store è impressionante, e Apple blocca la mia, che invece funziona bene.

Per che cosa ho pagato io? Ah, sì, per avere a che fare con l’incasinata burocrazia di Apple. Forse è meglio che mi metta a scrivere l’ennesima applicazione ‘lampada tascabile’ se voglio essere davvero pubblicato. Sembra che siano queste le uniche applicazioni che Apple voglia nel suo store.

È chiaro che DiNardi è frustrato e la sua affermazione iperbolica, ma visto che non è il solo a pensarla così, per curiosità sono entrato nell’App Store USA e ho cercato “flashlight” e “glowstick”; per “flashlight” i risultati sono stati 16, per “glowstick” nessuno. E fra quei 16 risultati c’erano applicazioni che non svolgono funzioni di lampada tascabile. Su migliaia di applicazioni presenti in App Store, sono ben lontane dall’essere la maggioranza.

Sofismi a parte. Gli sviluppatori criticano aspramente Apple per come sta gestendo l’App Store, sostenendo che il suo è un approccio dispotico, monopolistico, che soffoca la concorrenza. Nei commenti al post di DiNardi si possono leggere i soliti interventi: che è una vergogna, che DiNardi dovrebbe rilasciare l’applicazione nel circuito Cydia per gli iPhone jailbroken, che DiNardi dovrebbe passare a sviluppare per la piattaforma Android, eccetera. Guardiamo un istante sia Podcaster (altra applicazione recentemente rifiutata da Apple e che ha sollevato un gran polverone), che MailWrangler. Entrambe mettono i bastoni fra le ruote ad Apple, più o meno direttamente. Se installassi e utilizzassi Podcaster (se funziona bene come si dice), potrei fare a meno di usare iTunes sul Mac per iscrivermi, scaricare e sincronizzare i podcast. È chiaro che Apple, fra le due alternative, preferisce la sua. Con MailWrangler (se funziona bene come si dice), potrei evitare di usare MobileMail su iPhone per scaricare la posta sui miei account Gmail. È chiaro che Apple, fra le due alternative, preferisce che si faccia uso di MobileMail.

L’App Store è un ecosistema circoscritto, regolato da Apple. Si possono fare mille discorsi sul libero mercato e la libera concorrenza, ma si deve sempre tenere presente che l’App Store — piaccia o no — è un ecosistema circoscritto, regolato da Apple. Se McDonald’s aprisse un centro commerciale, e una piccola impresa di fast food (o una paninoteca, o comunque un negozio che offra spuntini al volo) facesse richiesta di aprire un’attività in questo centro commerciale, ci si stupirebbe davvero della risposta negativa di McDonald’s?

Sviluppare per Mac e sviluppare per iPhone sono due cose molto diverse, anche se entrambe le piattaforme sono di Apple. Per Mac chiunque può scrivere software e distribuirlo con i propri mezzi, indipendentemente e in un’ottica di libera concorrenza (basti guardare la ridda di editor di testo, word processor, programmini di grafica, utilità per catturare schermate, trasferire file, ecc.); per iPhone, considerato che molti utenti di iPhone non sono necessariamente dei nerd; considerato il modello di distribuzione delle applicazioni (App Store); considerati i paletti che Apple enumera nell’accordo dello SDK di iPhone; considerato che Apple fornisce l’intera struttura di mantenimento (hosting) e distribuzione di un’applicazione, è chiaro che esistano filtri e controlli più ristretti. È da ingenui pensare che tutto sia ammesso. Come è da ingenui, a mio avviso, scrivere applicazioni che in qualche modo vanno a sovrapporsi a programmi e/o servizi che Apple già fornisce, e pensare di essere accolti a braccia aperte nell’App Store. Lamentarsi dei soldi e del tempo perduto è comprensibile, tuttavia è un rischio che lo sviluppatore sceglie di affrontare quando accetta l’accordo dello SDK di iPhone.

In caso di rifiuto, lo sviluppatore dovrebbe sforzarsi di cercare un dialogo con Apple, vedere se è possibile fare modifiche all’applicazione, e proporla di nuovo. Fare chiasso su Internet serve certamente a sensibilizzare l’opinione pubblica e ad attirare l’attenzione sul problema, ma intanto l’applicazione rimane respinta e si crea un’atmosfera pesante, che non giova a nessuno. Apple, dal canto suo, dovrebbe cercare di porre rimedio alla questione, perché se da un lato è ammissibile che vi siano delle regole per entrare nell’App Store, dall’altro è importante essere rigorosi senza dare la spiacevole sensazione di arbitrarietà nel vagliare le applicazioni. La sezione 3.3 dell’accordo dello SDK di iPhone va rivista — occorre specificare il più possibile i requisiti necessari affinché un’applicazione possa essere inclusa nell’App Store. Se questo non fosse possibile, sarebbe quantomeno auspicabile inviare agli sviluppatori delle risposte più trasparenti e articolate, evidenziando nei dettagli il perché la tale applicazione è stata respinta. Altrimenti, come dicevo, l’impressione che se ne ricava è quella peggiore, ossia di arbitrarietà più totale: questo genera parecchia incertezza, perché i responsi di Apple appaiono vaghi e ingiustificati, e non motivati da basi solide e inappellabili.

iPhone è una piattaforma eccezionale e dalle potenzialità spaventose: basta possedere un iPhone da tre giorni per accorgersene. L’App Store è un bimbo di poco più di due mesi, e Apple sta facendo la figura della mammina giovane e inesperta. Apple deve coltivare la piattaforma iPhone al meglio, e l’ultima cosa che deve andare a cercarsi è l’ostilità degli sviluppatori. Gli sviluppatori e i blogger in generale dovrebbero provare a fare meno chiasso e a non inasprire la situazione ogni volta che un’applicazione non ce la fa. Io credo che un dialogo più aperto da entrambe le parti faccia bene a tutti: ad Apple, ai programmatori, e agli utenti finali.

The Author

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