Racconto di fine anno

Mele e appunti

Mi sto rendendo conto di come il mio personale rapporto con la tecnologia, nel senso più ampio possibile del termine, stia diventando sempre più bipolare.

Da un lato la amo molto. Sono contentissimo di essere nato nel periodo storico in cui sono nato, e di aver vissuto l’enorme evoluzione tecnologica di questi ultimi 25–30 anni. Ricordo ancora con piacere il Natale del 1981, che segnò l’inizio di questo rapporto. I regali più importanti furono una scatola di giochi di società (una di quelle confezioni che raccoglievano “i 7 migliori giochi da tavolo” all’epoca più popolari), una calcolatrice Casio (tuttora funzionante e come nuova) e soprattutto un Commodore VIC-20. Il Riccardo bambino di quegli anni era interessato ai giochi ‘costruttivi’, Lego e Meccano in testa, che permettevano appunto di creare-distruggere-ricreare, ed era anche portato alla matematica e alle scienze. Quei regali avevano quindi un senso, erano degli stimoli mirati a sviluppare e ad accrescere questi interessi che sentivo manifestarsi.

Per un certo tempo il VIC-20 ha significato solo videogiochi, ma dato che per un certo periodo avevo solo il computer e non possedevo alcuna periferica di memorizzazione dei dati, giocare con il VIC-20 significava armarsi di pazienza, immettere il listato in BASIC del gioco che in quel momento mi ispirava, eseguire il programma e giocare a quell’unico gioco finché ne avessi abbastanza. Poi riavviavo il VIC e ricominciavo daccapo con un altro programma. Eh sì, questi erano i tempi in cui i dischi rigidi non esistevano negli home computer. Erano i tempi in cui non si parlava di gigabyte o di potenza di scheda grafica, ma di cartridge, di registratore a cassette, di 3.583 byte di RAM disponibili. La periferica più all’avanguardia era il floppy disk da 5″ 1/4.

Le radici del mio interesse, della mia passione per l’informatica, sono tutte lì, in quelle ore spese a battere un linguaggio prima ignoto e pieno di buffi comandi come PRINT, GOTO, GOSUB, POKE, PEEK, IF… THEN, poi sempre più familiare nel suo modus operandi al punto di spingermi a chiedere ai miei genitori di regalarmi libri sull’argomento, nonché l’indimenticabile enciclopedia del BASIC edita da Curcio, che ho divorato fascicolo dopo fascicolo, totalmente affascinato dai concetti ma anche dalle tante immagini che ritraevano computer più ‘seri’ e ‘complessi’ nel loro habitat industriale, foto di centri di calcolo con unità a nastro grandi come frigoriferi, foto di sistemi automatizzati nei contesti più vari (meccanica, medicina, arti grafiche, ricerca scientifica, ecc.). L’impatto fu importante e la mia mente di ragazzino da un lato afferrava l’enorme progresso tecnologico rappresentato dal computer, e dall’altro immaginava strabilianti scenari futuri.

Scenari che non hanno tardato a manifestarsi. Scenari da una parte davvero strabilianti, dall’altra, forse, un po’ deludenti.

Come dicevo, da un lato amo la tecnologia e mi sorprendo sempre delle novità che vengono introdotte a ritmi ormai serrati. Trovo fantastico poter avere fra le mani oggi un dispositivo come iPhone, con tutto quel che racchiude e rappresenta. Continuo a sorprendermi che possa prendere appunti sul mio Newton e che questo riconosca la mia scrittura, spesso un po’ affrettata. Vedo dove siamo arrivati con i computer e con Internet e non posso non stupirmi del fatto che io oggi possa lavorare da casa, seduto alla mia scrivania, ricevendo e inviando documenti via email, potendo raggiungere persone che stanno dall’altra parte del pianeta in maniera istantanea. Quando sono in chat video con qualche mio amico in Italia e tutto avviene in tempo reale, una parte di me è sempre meravigliata di come la tecnologia abbia permesso tutto questo in un arco temporale assurdamente breve. Faccio metaforicamente un passo indietro e osservo la profonda rivoluzione portata da Internet, e mi rendo conto che in parte sto vivendo, sono immerso in alcuni degli scenari che il Riccardo bambino del Natale 1981 fantasticava.

Dall’altro lato odio la tecnologia. Per chiarirci subito: non la odio in sé, ma come a volte viene utilizzata. Odio vedere la grande influenza che ha avuto su molte persone. Odio vedere come abbia reso troppa gente schiava di oggetti, dispositivi, e di una socialità fattasi artificiale, cibernetica. Odio vedere come sia penetrata acriticamente nelle vite e nei costumi di troppa gente. Persino nella mia personale esperienza, persino nel mio caso, io che mi ritengo una persona dotata di senso critico e che non si fa travolgere dalla frenesia del gadget di turno, ho notato come Internet e lo stare davanti al computer non solo per lavorare ma anche per divertirsi o per uccidere le ore ‘sfogliando’ il Web, abbiano progressivamente monopolizzato il mio tempo e la mia giornata tipo, in parte compromettendo la mia capacità creativa. Ma almeno ne ho consapevolezza e sto cercando di prendere delle contromisure appropriate. Questa consapevolezza nasce proprio grazie al senso critico, e soprattutto dall’essere cresciuto durante il progresso informatico e tecnologico, senza dare per scontate certe comodità attuali. Ho fatto in tempo a vivere in un’epoca senza cellulari o navigatori satellitari, senza il Web e l’email. Per chi non lo sapesse, si viveva ugualmente bene.

Quando divoravo libri sulla programmazione, quando mi lasciavo affascinare dalle fotografie dell’enciclopedia del BASIC, vedevo la tecnologia come un qualcosa che, andando avanti, avrebbe migliorato la vita umana. Migliorato e basta. La mia visione (ero giovane! idealista!) era inequivocabilmente positiva. Col tempo, invece, e soprattutto di questi tempi, e soprattutto per quanto riguarda Internet, ho potuto notare come la tecnologia sia anche, e in gran parte, una cassa di risonanza dei nostri difetti. Ah certo, il Web duepuntozero, la grande comunicazione, le reti sociali… Si comunica, certo, quantitativamente di più e qualitativamente peggio di prima. Gli strumenti per comunicare — hardware e software — sono ubiqui. Solo con il mio iPhone in mano posso, in qualunque momento, contattare una persona presente in rubrica via telefono, SMS, MMS, chat, email, e via VoIP, oppure in maniera leggermente più indiretta, attraverso ‘centri sociali cibernetici’ come Twitter o Facebook. Ma al tempo stesso osservo due fenomeni notevoli:

  1. La comunicazione che avviene per iscritto in forma telematica (dibattiti su mailing list, forum, nei commenti sui blog, nei newsgroup) è spessissimo soggetta a fraintendimenti e scatena litigi in cui i partecipanti sovente mostrano il peggio di sé, aiutati anche da un velo di anonimato e forti della distanza e della mediazione offerta dallo strumento stesso di comunicazione. Quando questo non avviene, non si può fare a meno di notare come in generale (e mi tocca generalizzare, ma spero ci si capisca) si tende a comunicare peggio, usando un linguaggio che degrada in abbreviazioni e sgrammaticature. Conosco tre lingue e il fenomeno è comune: molta gente scrive commettendo errori ortografici e grammaticali che io (e la mia generazione) non commettevo neanche alle scuole elementari. Ma non solo: si scrive generalmente peggio di prima. Ormai la grande rivoluzione democratica di Internet è avvenuta, e il Web è pieno zeppo di contenuti pubblicati da cani e porci e, duole dirlo, un sacco di gente scrive come parla, e da quel che è dato vedere, parla male. E chi scrive male comunica male e viene inteso peggio, ed ecco la spirale verso il basso.
  2. La comunicazione mediata dai siti di social networking sta avendo un impatto sulla socialità nel mondo reale, cioè fuori dal contesto online e ‘cibernetico’, che non definirei molto positivo, almeno da quanto ho potuto osservare personalmente. Ho già avuto modo di sviscerare certe alterazioni nei rapporti interpersonali in quel mio articolo anti-Facebook e di quelle alterazioni la più ricorrente è proprio il vedere come molte persone si creino il gruppo, la cricca, la cerchia, partendo sempre più dal contatto ‘virtuale’ in Facebook e tagliando fuori chi non si serve dello stesso strumento e degli stessi metodi per mantenere il contatto. Ecco ciò che intendevo dicendo che la tecnologia è anche una cassa di risonanza dei nostri difetti. In questo caso, la comunicazione, che potrebbe venire estesa, migliorata, e accresciuta sfruttando anche la Rete, viene distorta e la Rete utilizzata per escludere e per rintanarsi a volte in una socialità che poco ha a che vedere con… il sociale. Si creano tribù immateriali e una introversione di ritorno, con la ‘comunicazione’ che avviene secondo i comodi del singolo individuo e che in parte perde quell’elemento del ‘fare insieme’, quell’improvvisazione del gruppo vero. Sembra che quel modo di comunicare ‘di una volta’ (la telefonata a casa, la visita improvvisata, ecc.) stia quasi diventando una faccenda scomoda, che costa fatica, per la quale bisogna ‘sporcarsi le mani’, per così dire. Può darsi che stia un tantino esagerando, ma sono curioso di vedere che cosa accadrà in futuro.

Il fatto che ci siano persone che, anche grazie alla tecnologia e a quel tipo di comunicazione un po’ distorta, vivano in una specie di bolla tutta loro, mi è confermato per esempio dalla lettura di articoli come questo, originariamente apparso su Computerworld e ripreso da Macworld. L’autore elenca una decina di tecnologie a suo parere obsolete — 1. Il fax, 2. La presa accendisigari sulle automobili, 3. Il ‘www’ negli indirizzi Web, 4. I biglietti da visita, 5. I negozi di videonoleggio, 6. I telecomandi dei vari apparecchi per l’home entertainment, 7. Le linee telefoniche fisse, 8. I CD musicali, 9. La radio via satellite, 10. La ridondanza del doversi registrare (aprendo un account) su un numero sempre maggiore di siti Web.

In alcuni casi non ha tutti i torti. I negozi di videonoleggio sono destinati a sparire prima o poi, stesso dicasi dei fax, e sul n. 10 sono d’accordissimo. Ma, come moltissimi commentatori hanno già fatto notare, i biglietti da visita continuano ad avere una certa importanza e praticità, per non parlare dei CD e soprattutto delle linee telefoniche fisse. È evidente, nel modo di argomentare dell’autore, che non è stata fatta una ricerca obiettiva ed esauriente per preparare quell’articolo e quell’elenco. È evidente che l’autore non ha idea dell’importanza delle linee telefoniche fisse in casi di emergenza o di calamità, né forse si rende conto che vaste aree negli Stati Uniti (e nel mondo) sarebbero totalmente isolate se non fosse per la linea fissa. Né si rende conto che la tecnologia cellulare è sì comoda, ma non è sempre affidabile e la copertura non è affatto uniforme. Né si rende conto che ancora un sacco di gente non possiede la banda larga ed è un miracolo che possa collegarsi a Internet con il modem a 56K.

Da tutta una serie di indizi oso dedurre che l’autore viva in una propria torre d’avorio di comodità tecnologiche, e che la sua esperienza non vada al di là del proprio naso (peccato, perché la tecnologia, la comunicazione del Web duepuntozero dovrebbero rimediare al problema, e invece evidentemente lo acutizzano). Sotto questo aspetto trovo divertente una sua affermazione, quando sostiene al punto 2 che si dovrebbe eliminare la presa accendisigari perché “tanto oggi nessuno fuma più in macchina”. Se non avete problemi a leggere l’inglese, non perdetevi l’articolo, e soprattutto i commenti.

Ci sarebbero ancora molte cose da dire, ma non voglio prolungare oltre il mio racconto. Avevo in mente di integrare qualche considerazione su Google, ma la terrò per un altro racconto — che probabilmente avrà un titolo come L’impresa a colori che rende la vita in bianco e nero. Il personale obiettivo per il prossimo anno è quello di andare a caccia di ciò che vale veramente, di riottenere il pieno controllo sulle cose senza lasciare che il computer e Internet monopolizzino buona parte della mia giornata e inquinino o inibiscano la mia ispirazione e la mia creatività. Avevo propositi simili a fine 2008 per il 2009, e in parte sono riuscito a ritrovare la mia scrittura, dedicandovi più tempo; ma il percorso è lungo e sono ancora alle prime tappe, e il tempo passa.

Faccio già da ora a tutti i lettori del blog, agli assidui e a chi passa di qua ogni tanto, i miei migliori auguri di un ottimo Anno Nuovo.

The Author

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