Dove andiamo con iPad

Mele e appunti

Il mio post precedente, in cui ho tradotto un articolo per me interessantissimo di Steven Frank, ha attirato molta più attenzione di quanto prevedessi, e voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno fatto i complimenti per il servizio reso; sono contento, in primo luogo perché non ho perso tempo invano, e poi perché ho indirettamente contribuito al dibattito di qualità su iPad.

Ovviamente in questi giorni ho avuto io stesso modo di riflettere ulteriormente su iPad, sulle sue implicazioni e sulla discussione che ha generato sul Web, nonché sulle reazioni all’articolo medesimo di Steven Frank. Ahimé, cari lettori, vi aspetta un’altra lunga lettura. Abbiate pazienza.

1. Rivoluzione in sordina

Anzitutto trovo impagabile la reazione di chi ha sostenuto che, in fondo, l’oggetto presentato da Apple il 27 gennaio non sia nulla di straordinario e non capiscono tutto il sensazionalismo intorno a esso. Faccio solo notare che tutto quel sensazionalismo è stato montato da chiunque e in ogni luogo, meno che da Apple. L’unica cosa che Apple ha reso noto pubblicamente era l’evento organizzato per il 27 gennaio, e che avrebbe presentato un prodotto nuovo, “la nostra ultima creazione” come lo definiva l’invito.

Tutto il mondo, alla vigilia dell’evento, si aspettava l’oggetto che avrebbe rivoluzionato l’informatica. Molti si aspettavano un botto e sono rimasti delusi da quello che è sembrato il semplice ‘pop!’ di un turacciolo. Ebbene, credo che iPad sia davvero un dispositivo che rivoluzionerà l’informatica (quella personale, almeno), solo che non l’ha fatto con un botto, ma aprendo piccole crepe in un muro. Crepe che stanno già allargandosi a pochi giorni di distanza e due mesi prima della commercializzazione ufficiale di iPad. Tutta la discussione, l’abbondanza di articoli, le decine di messaggi che hanno fatto aumentare considerevolmente il traffico di tutte le mailing list che seguo, sono ovvi indicatori di queste crepe.

2. Tutto scorre, e fa paura

Il dibattito appare polarizzato su due fronti:

  1. C’è chi è entusiasta di iPad, che ha capito che può rivoluzionare in positivo l’esperienza informatica degli utenti, che ha capito che iPad può essere un oggetto semplice per fare cose magari complicate. C’è chi ha capito che iPad è importante non per quel che è oggi, non per come è fatto oggi, ma per l’impronta che darà domani, per la direzione che vuole intraprendere. C’è chi ha capito che iPad non è un oggetto immutabile e incapace di evolvere.
  2. Poi c’è un gruppo di persone, guarda caso tutte appartenenti a quella categoria che nel suo articolo Steven Frank chiamava utenti del Vecchio Mondo informatico, che sono visibilmente atterrite da iPad, da quel che rappresenta e soprattutto da quel che temono possa rappresentare per il futuro dell’informatica: una sostanziale involuzione. Vedono la semplicità concettuale, la chiusura hardware e lo stretto controllo di Apple lato software come una minaccia alla loro libertà e abilità di pasticciare, programmare, hackerare, personalizzare. Temono, in altre parole, che presto il computer come lo hanno conosciuto loro scompaia, lasciando il posto a dispositivi ‘stupidi’ e immodificabili. Temono che questo possa frenare la curiosità di possibili futuri programmatori e ricordano con nostalgia i tempi di Commodore e Apple ][, macchine aperte e totalmente hackerabili, macchine che potevano fare di tutto e che invitavano alla sperimentazione.

Secondo me l’errore è appunto nel vedere iPad come dispositivo incapace di evolvere e di trasformarsi nel tempo. E siamo davvero tornati al 2007, quando apparve iPhone. Gli mancavano funzionalità e caratteristiche considerate essenziali: il 3G, i messaggi multimediali, il copia-incolla, la possibilità di effettuare il Tethering, ecc. In meno di tre anni sono arrivate tutte, e altro ancora. È arrivato lo SDK, la piattaforma si è aperta allo sviluppo di terze parti, sono arrivate migliaia di applicazioni; alcune di esse hanno esteso le funzioni dell’apparecchio, hanno sopperito a mancanze nella dotazione di software di serie, hanno migliorato compiti che iPhone poteva già fare, hanno contribuito alla percepibile evoluzione di iPhone in un intervallo di tempo relativamente corto.

La piattaforma Touch è destinata a evolvere paurosamente. Come scrivevo nei commenti all’articolo precedente, oggi l’App Store è in gran parte un mercato delle pulci, con tante bancarelle che propongono applicazioni di ogni tipo e molte di esse sono poco più che scherzetti e distrazioni sciocchine che lasciano il tempo che trovano. Ebbene, non sono per niente convinto che App Store rimarrà in questo stato quando iPad comincerà a diffondersi sul mercato. Quando nasceranno e aumenteranno le applicazioni ottimizzate per iPad, secondo me si produrrà uno scarto qualitativo rispetto al software disponibile per iPhone e iPod touch. Nasceranno applicazioni più sofisticate e professionali, che svilupperanno ed estenderanno ancora di più quelle potenzialità che pensiamo di aver indovinato semplicemente guardando il keynote del 27 gennaio. Sono convinto che si formerà un ‘App Store Per iPad’ nel quale troveremo programmi che esaltano l’interfaccia di iPad e sfruttano le sue peculiarità rispetto a iPhone.

Perché chi afferma che ‘iPad non è altro che un grosso iPhone’ a mio parere non ha capito iPad? Perché il fatto stesso che iPad abbia uno schermo da 9,7″ e non da 3″ è il nocciolo della questione e la radice di tutte le differenze di iPad rispetto a iPhone. Lo schermo più grande crea quella che a me piace definire ‘reazione a catena di funzionalità’. Le maggiori dimensioni implicano una differente qualità e design costruttivi, i quali portano a un modo di maneggiare e manipolare iPad diverso da quello di iPhone; questo aspetto, a sua volta, implica una serie di applicazioni in cui iPad può rivelarsi più usabile di iPhone. Perché lo schermo più grande da un lato rende più efficaci applicazioni già esistenti per iPhone — Mappe, Contatti, Calendario, per fare i primi tre esempi che mi vengono in mente; due dei quali sono software guarda caso modificati e adattati per funzionare ancora meglio su iPad — dall’altro permette la creazione di programmi e applicativi che sarebbero improponibili su iPhone o iPod touch, date le ridotte dimensioni dei loro display.

A questo proposito, l’elemento più innovativo che ho notato seguendo il keynote è stata la presentazione della suite iWork espressamente ripensata per iPad. Le versioni di Keynote, Pages e Numbers per iPad sono eccezionali. È evidente che non sono state create delle brutte copie delle tre controparti che girano su Mac OS X. Sono state rifatte praticamente da zero. Se aggiungiamo il fatto che iPad può sfruttare anche una tastiera fisica, mi sembra facile intuire che cosa accadrà: oltre a sviluppatori iPhone OS che creeranno versioni per iPad delle loro applicazioni, iPad attirerà l’attenzione degli sviluppatori Mac, i quali, viste le dimensioni più generose di iPad e la possibilità di effettuare certi compiti con una comodità più da computer che da smartphone, saranno stimolati a creare versioni iPad del loro software per Mac OS X, sulla scia di quanto Apple ha fatto con iWork. Un primo segnale in questo senso sono le parole di Ken Case, CEO di Omni Group:

iPad ci sta davvero entusiasmando, e vogliamo rendere disponibili per iPad tutti i nostri prodotti il più presto possibile. Certo, avevamo già fatto tutta una serie di piani importanti per il 2010, con il rilascio di molti prodotti già anticipati da tempo, ma riteniamo che iPad sia troppo importante. Così importante, infatti, da spingerci a cambiare quel che avevamo pianificato, così da introdurre cinque nuove applicazioni per iPad.

Avete capito bene, cinque. Vogliamo portare su iPad tutti i nostri cinque programmi per la produttività: OmniGraffle, OmniOutliner, OmniPlan, OmniFocus, e OmniGraphSketcher.

Si tratta di un’impresa di grande portata e non possiamo fare tutto in una volta. Abbiamo iniziato a lavorare a versioni di OmniGraffle e OmniFocus per iPad non appena lo SDK è stato reso disponibile mercoledì pomeriggio, e speriamo di cominciare a metter mano a OmniGraphSketcker per iPad entro le prossime settimane. 

3. Cosa resterà del multitasking?

Oggi leggo il commento di Simone, dove dice:

ma la cosa veramente orribile è questa:
“Un modo gestito di spostare i processi in background. Gli utenti del Nuovo Mondo stanno già sperimentando i benefici dell’incremento prestazionale e di autonomia della batteria offerti dall’incapacità di eseguire un task in background. Intanto gli utenti del Vecchio Mondo si stanno strappando i capelli.”

Qui si afferma che l’origine di tutti i problemi dell’informatica odierna è il multitasking e che svolgere un compito alla volta sia la soluzione di tutti i mali. 

Non è esattamente così. Steven Frank sta soltanto spiegando come l’incapacità di eseguire processi in background (generati da applicazioni di terze parti, sottolineo, visto che alcune di quelle presenti di serie in iPhone possono farlo eccome) offra dei benefici tecnici, ma da nessuna parte sta scritto che il multitasking sia una cosa negativa da un punto di vista procedurale e di interazione uomo-macchina.

I problemi dell’informatica odierna sono altri. A tale scopo trovo assai centrato un post ancora più recente di Steven Frank, che è una sorta di appendice al precedente:

Sono davvero stanco del concetto (anche quando viene presentato in maniera satirica) secondo cui chiunque non sia in grado di padroneggiare un computer debba essere per forza un ritardato mentale. Il personal computer del 2010 è difficile da capire per i novizi e per quelle persone che hanno difficoltà a familiarizzare con concetti astratti. I Mac, i PC, tutti i computer presentano quell’ostacolo. Gente, siamo noi, noi siamo i bizzarri che comprendono cose come la partizione dei dischi, le espressioni regolari, le immagini disco virtuali, il task-switching e lo scripting delle shell — l’eccezione siamo noi.

E quindi, mentre noi ci vantiamo delle nostre abilità nel creare interfacce ‘semplici da usare’ per le nostre applicazioni, milioni di persone stanno ancora cercando di capire come estrarre la nostra meravigliosa impeccabile applicazione dal suo archivio ZIP o dall’immagine disco virtuale. O di capire dove si trova la cartella Download. O magari anche di capire che diamine sia una ‘cartella’. Se noi [programmatori, utenti esperti] non fossimo stati presenti a ogni stadio dell’evoluzione del personal computer sin dai giorni del DOS e di AppleSoft, scommetto che sarebbero concetti oscuri e fuorvianti anche per noi.

Per quanto continueremo a far ingrassare questo metaforico albatros della compatibilità all’indietro? Dobbiamo veramente continuare a confondere e frustrare milioni di persone solo perché un gruppo sparuto di persone non riescono proprio a fare a meno della loro scrivania virtuale a quattro direzioni?

Se voi, Signore e Signora Intelligentoni Esperti In Computer avete almeno la metà dell’intelligenza che vantate di avere, sono certo che non vi creerà alcun problema reimparare qualche nuova convenzione a livello di interfaccia utente, non importa quanto radicata.

Sin dai tempi dell’Apple ][, del Commodore 64 e dell’Atari 400, tutto quel che abbiamo fatto è stato aggiungere, aggiungere e aggiungere. Sempre più funzioni per vendere sempre più computer. Non ci siamo mai fermati per togliere qualcosa. Questo perché abbiamo paura di abbandonare ciò a cui siamo abituati per passare a qualcos’altro che potrebbe anche rivelarsi migliore. Migliore per tutti, non soltanto per una ristretta percentuale di utenti.

E sono abbastanza sicuro che tutto questo non sia solo una vaga fantasia che sta prendendo forma nella mia testa. Ho avuto esperienza diretta di persone che, sin da quando le conosco, hanno sempre fatto fatica a eseguire i compiti più rudimentali con un computer; bene, quelle stesse persone dopo aver preso in mano un iPhone si sono trovate a proprio agio nel giro di ore, se non addirittura di minuti. Per coloro che non conoscono e non sono già avvezzi all’uso dei computer, i dispositivi del Nuovo Mondo informatico sono più semplici da comprendere e da utilizzare. 

Quindi, per rispondere a Simone e a chi, leggendo la mia traduzione dell’articolo di Frank nel post precedente, abbia avuto i suoi stessi dubbi, i problemi dell’informatica di oggi non hanno nulla a che vedere con il multitasking di per sé; se mai sono da individuare nella corsa continua ed esponenziale a infarcire i computer di funzionalità, la cui conseguenza è stata una progressiva complicazione dell’interfaccia utente. Per cui oggi, malgrado ogni sistema operativo vanti un’interfaccia ‘intuitiva’, in realtà non è proprio così, almeno per chi è a digiuno di computer.

iPad porta avanti una filosofia già in embrione con iPhone e iPod touch: la semplificazione dell’interfaccia, l’immediatezza d’uso, la realizzazione di un ambiente operativo in cui gli elementi parlano direttamente all’utente, che indovina senza gran sforzo come muoversi fra le applicazioni. La tecnologia touch ha contribuito moltissimo verso questa maggiore immediatezza e semplificazione, perché ha eliminato un piano di astrazione, quello di dover muovere una freccia (il puntatore) usando un attrezzo ‘esterno’, accessorio: il mouse. Nella piattaforma touch non c’è la mediazione del mouse e del puntare e cliccare. Tocchiamo, spostiamo, ingrandiamo, apriamo, chiudiamo, selezioniamo con le dita. Tutto è più naturale e comprensibile.

Questo però non significa che sotto la superficie le cose siano altrettanto semplici. È vero, oggi iPhone, iPod touch e iPad non offrono un multitasking vero, ma non è detto che la situazione rimanga in stallo anche domani. Tutti gli utenti esperti intimiditi dalla semplicità (o meglio, dal semplicismo) di iPad, si stanno formando un’idea fallace nella testa: l’idea che in un futuro prossimo tutti i computer siano uguali e funzionino esattamente come l’iPad di oggi.

Dobbiamo distinguere due tipi di multitasking: quello umano e quello della macchina. Funzionano in modi apparentemente simili, ma ci sono delle differenze. Per una macchina, detto in maniera semplice, il multitasking è la possibilità di gestire più processi contemporaneamente. Per l’uomo è sì la capacità di fare più di una cosa nello stesso momento, ma nel rapporto con il computer siamo generalmente concentrati su un processo in primo piano e godiamo della possibilità di passare rapidamente a un processo in background grazie al multitasking del computer. In altre parole, sul mio Mac adesso sono aperti tre browser, due client di posta elettronica, un client Twitter, un editor di testo, un programma per prendere note e questa stessa applicazione con cui sto scrivendo l’articolo. Il Mac gestisce tutti questi processi, ma io al massimo posso ascoltare musica o una persona che mi sta parlando mentre scrivo l’articolo (e sono così concentrato su quel che sto scrivendo che probabilmente non sarei nemmeno un buon ascoltatore). Mentre scrivo, con MarsEdit a tutto schermo, non sto contemporaneamente navigando il Web, scrivendo un’email, leggendo Twitter, prendendo appunti e traducendo un testo. Il mio Mac è sufficientemente potente da farmi passare a un’altra applicazione con un colpo di ⌘-Tab. Questo è un multitasking fra virgolette.

Nell’interazione uomo-macchina quel che è importante è che il passaggio da un’applicazione all’altra sia percepito come istantaneo. Se il mio Mac mi permettesse di aprire a tutto schermo solo un’applicazione alla volta, ma avesse una potenza di calcolo tale che, sempre battendo un tasto o una combinazione di tasti, chiudesse l’applicazione che sto usando ora (salvando tutte le modifiche ai documenti) e aprisse l’altra istantaneamente, per me utente il concetto di multitasking rimarrebbe intatto da un punto di vista percettivo. Apple ha sviluppato un processore dedicato per l’iPad. È un segnale.

4. La comunione dei dati

Una direzione possibile e auspicabile verso un’informatica personale più umana sarebbe, a mio avviso, il ritorno al modello in cui al centro si trovano i dati e i documenti, non le applicazioni. Esempi di questi modelli sono il sistema operativo del Lisa nel 1983 e il Newton OS del 1993–1998. Sistemi in cui l’utente rimane focalizzato sul proprio lavoro e non sui vari ferri del mestiere. Rileggiamo questo estratto dall’articolo di Steven Frank:

[Occorre trovare]:

  • Un modo per scambiare informazioni con altri dispositivi. I dispositivi del Nuovo Mondo si imparano facilmente e sono molto usabili perché non espongono il filesystem agli utenti e perché sono delle “isole di dati”. Non stiamo lavorando più con ‘file’ ma stiamo ancora lavorando con grumi di dati che sarebbe importante poter scambiare e condividere. Forse è la rete il fattore vincente qui. O magari unità flash di cui non vediamo i contenuti. Per quanto ne so, il Newton è stato il primo dispositivo in commercio al quale bastava dire “metti questa applicazione e tutti i dati che ho creato con essa su questa scheda rimovibile” senza mai vedere un singolo file o cartella. Il grosso tallone di Achille era che solo altri Newton potevano comprenderne il formato.
  • Un modo per condividere dati fra le applicazioni. Un qualcosa come la Clipboard, il blocco appunti, ma più grande. Non si tratta di un filesystem, ma di un modo per dire “porta questo oggetto dati da questa applicazione a quest’altra”. Ho creato un’illustrazione nella mia applicazione di disegno, e ora voglio passarla a quest’altra applicazione per ritagliarla e applicare filtri.

Una volta che iPad, in una sua futura incarnazione, o in un futuro aggiornamento del software, permetta alle applicazioni di condividere i dati fra di esse, e abbia un processore di adeguate capacità, ecco che non sarà nemmeno necessario che implementi il multitasking come su un normale Mac o PC. Gli utenti saranno in grado di utilizzare più applicazioni per manipolare i dati, che a quel punto saranno al centro della nostra attenzione e le applicazioni saranno come degli strumenti, delle estensioni, che ci permetteranno di gestirli, di raffinarli e di trattarli in un flusso di lavoro non dissimile da quello a cui gli utenti più esperti sono già da tempo abituati e svolgono a occhi chiusi sui loro computer Mac, Windows o Linux. La maggior facilità e immediatezza dell’interfaccia touch, tuttavia, renderà l’esperienza digitale molto più accessibile a chi non è pratico di computer e non ha tempo o voglia di comprenderne il funzionamento, le funzioni, le sottigliezze.

Si prefigurano tempi interessanti.

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