L'iPad e la nuova informatica: altre riflessioni

Mele e appunti

Alcuni dei commenti ricevuti agli articoli precedenti mi hanno lasciato il dubbio: provare a rispondere in maniera articolata a chi è intervenuto, oppure scrivere un altro pezzo e proseguire così la discussione? Ho riflettuto e, com’è evidente da ciò che state leggendo, ho optato per la seconda alternativa. Sono cosciente che da quando è stato presentato iPad il Web è letteralmente impazzito fra reazioni, commenti, reazioni ai commenti, dissertazioni per provare che iPad è il male (un prodotto deludente, un flop in attesa di concretizzarsi, una moda passeggera, l’ennesimo inganno di Apple verso consumatori inebetiti dai falsi bisogni, ecc.) o il bene (iPad è un segnale che preannuncia una virata dell’informatica personale, che nei prossimi anni andrà semplificandosi e sarà più ‘umana’ e alla portata di utenti meno esperti, ecc.).

Ma almeno in questa sede, vorrei continuare a pensare a voce alta e a condividere le mie riflessioni prima che la discussione sfugga di mano.

Questo recente commento di Xanderoby sintetizza con una certa chiarezza una corrente di pensiero che altri condividono (l’ho visto qui, in commenti ricevuti in privato, e altrove sul Web) in reazione all’iPad ma specialmente all’articolo di Steven Frank e a chi la pensa come lui:

Posso dirti che, personalmente, mal digerisco novelli guru che profetizzano chissaché sulla base di analisi monche del contesto.
Posso dirti che, in mia modestissima opinione, iPad e dispositivi affini non sono altro che ennesimi dispositivi in cerca di funzioni e rivoluzioni, ma che in fondo non fanno che ampliare la tribalizzazione hardware dei dispositivi web-oriented, senza necessariamente produrre rivoluzioni, al più blande mode passeggere.
Posso dirti che, in contesti ben più reali che le iperboliche piroette di chi deve lucrarci, esser insultato (si vada dal “Vecchio Mondo” al “Quelli strani siamo noi” passando per un “Chi non ha capito cos’è iPad”) solo per aver un atteggiamento d’attesa sul fenomeno del momento mi indispone alquanto.
Questo comportamento, più che le psichedeliche visioni dei Futuribili, è il problema di chi per decenni ha convissuto con “gli strani” ed oggi (ma anche ieri, con iPhone e altri prodotti) sommessamente dissente.

È una posizione rispettabilissima, e in risposta cercherò di spiegare ulteriormente la mia, dato che si avvicina di molto a quella di Steven Frank.

Anzitutto vorrei riprendere alcuni concetti chiave dell’articolo di Steven Frank (se volete rileggerlo, ecco il link alla mia traduzione):

  1. Le possibili trasformazioni future dell’informatica personale a cui allude Frank sono, appunto, possibili. Nessuno, né io né Steven Frank stesso, le dà per assodate. Non si tratta di una predizione vuota. Si tratta di mettere alcune carte in tavola, pensare a ciò che iPad potrebbe rappresentare, intravedere una direzione che è sciocco non considerare, e costruttivamente fare qualcosa in tale direzione; leggendo la parte finale dell’articolo, a me sembra chiaro che la sua posizione non sia tanto iPad è il futuro, punto e basta, ma, appunto, che iPad sia uno stimolo — rivolto ai programmatori, ai tecnici — per cercare di sviluppare un’esperienza informatica nuova e più accessibile.
  2. iPad, nell’articolo di Frank, è un pretesto per riflettere su qualcosa di più ampio, ma ho l’impressione che molti lo abbiano preso alla lettera. È ingenuo pensare che l’informatica del Nuovo Mondo sia fatta da cloni dell’iPad, o che qualsiasi computer in un prossimo futuro abbia un’interfaccia touch a prescindere dalle dimensioni del dispositivo, e che tutti lavoreremo come Tom Cruise in Minority Report.
    Il discorso non è circoscritto alla tecnologia touch, ma si estende ragionando sull’interfaccia utente, su ciò che finora ha funzionato per una minoranza di utenti ma che non è stato sufficiente per permettere una familiarizzazione semplice e immediata (non mediata) con il computer da parte della maggioranza delle persone. In questo senso, l’interfaccia di iPhone, iPod touch e iPad dimostra che eliminando, o meglio oscurando, certe inutili (sottolineo, per i profani e i non-tecnici) complicazioni dell’interfaccia e di concetti astratti ormai cristallizzati (file, cartelle, directory), è possibile creare un’esperienza utente più amichevole, e abbassare la curva di apprendimento.
  3. Se questa rivoluzione avverrà o meno dipende da tutta una serie di variabili nient’affatto scontate, ma nell’articolo di Frank non sta scritto da nessuna parte che iPad è la via, la verità e la vita. Tutt’al più sta scritto che iPad è una proposta credibile, che Apple viene lasciata in un certo senso a fare da cavia, e che Apple, nella posizione in cui si trova, difficilmente avrà da perderci.

Inoltre occorre però tenere presente un elemento per me assai importante: le parole di Frank non sono quelle di un novellino, e il dibattito che ha scatenato non lo ha scatenato soltanto fra blogger e utenti più o meno esperti. Non dobbiamo dimenticare i programmatori e gli sviluppatori. Frank è uno di loro, e altri si trovano in accordo con lui. E sono queste persone che, alla fine, possono contribuire fattivamente a impostare certe direzioni nell’informatica prossima futura. Se a loro un dispositivo come iPad entusiasma, al punto di creare nuove applicazioni (nella doppia accezione di ‘programmi’ e ‘utilizzi’) per iPad e per i dispositivi touch di prossima generazione, è chiaro che avranno una certa influenza sia sul successo economico di iPad e affini, sia sugli sviluppi tecnologici. Altro che ‘blande mode passeggere’.

È ovvio che Apple con iPad cerchi il successo commerciale sulla scia di iPod (2001) e iPhone (2007), e che non è un’azienda di beneficenza, e che qualcuno ci lucra; ma, lucrare per lucrare, almeno arriva una proposta che può beneficiare anche l’utente qualsiasi, e a mio avviso è sempre meno peggio che continuare a perpetuare un’informatica fatta di interfacce inutilmente complesse per l’utente medio e per i compiti che deve/vuole effettuare con un computer; un’informatica con la quale una minoranza di esperti continua a trovarsi a proprio agio e che non vede motivo di cambiare. Entità come Microsoft hanno lucrato per anni con questo modello. E il fatto che la piattaforma Linux, malgrado esista da anni e si sia notevolmente evoluta e semplificata negli ultimi tempi, continui a non avere la diffusione sperata fra i comuni mortali, è un altro indizio della visibile spaccatura fra utenti esperti e utenti comuni, e del fatto che sia necessario fare un passo avanti verso un’interfaccia e un’informatica più accessibili.

Un altro che si trova in accordo con Steven Frank è Fraser Speirs, anch’egli sviluppatore Mac e iPhone, che nel suo articolo Future Shock, citato a più riprese nelle alte sfere del dibattito tanto quanto Steven Frank, esprime il suo punto di vista con chiarezza:

Per anni [noi tecnici] abbiamo creduto di dover semplificare maggiormente l’esperienza informatica per il cosiddetto ‘utente medio’. Trovo difficile arrivare a una conclusione diversa dall’ammettere che abbiamo totalmente fallito nell’impresa.

Sospetto che, segretamente, a noi tecnologi è sempre piaciuta l’idea che i Normali dipendessero da noi per il nostro sciamanismo tecnologico. […]

Spesso l’effetto di regressione infantile provocato dall’alta tecnologia sugli adulti mi intristisce. Dall’avere controllo sul loro mondo, essi vengono proiettati indietro in un mondo puerile e medievale in cui appaiono dei gremlin a tormentarli per poi scomparire, contro i quali le uniche risorse sono la magia, gli incantesimi e l’aiuto dello stregone locale.

Con iPhone OS come rappresentato da iPad, Apple si propone di fare qualcosa, e intendo proprio fare qualcosa per ovviare alla situazione invece di limitarsi a chiacchierare e a dire che farà qualcosa; e questo ha fatto uscire di testa tanta gente.

Non il mondo intero, però. Le persone sconfitte dalla complessità e dai fallimenti tecnologici hanno subito capito che cosa sta succedendo. Così come lo hanno inteso quelli fra noi che hanno spiegato con pazienza, giorno dopo giorno, a un figlio o a un collega di lavoro che il motivo per cui non c’è il comando Stampa nel menu Archivio è perché, sebbene il documento Pages sia a pieno schermo, è il Finder a essere l’applicazione in primo piano, e non ha finestre aperte.

I Visigoti sono alle porte della città. Esigono di poter accedere al software, di essere in controllo di come sperimentare le informazioni. Magari a loro non piacerà la nostra arte eccelsa e la nostra cultura tecnica, e magari non sempre condividono il nostro senso estetico, ma sono quelle persone che abbiamo dichiarato di servire per 30 anni, al contempo rendendone la vita difficile nei modi più vari. E inoltre essi sono molti, molti più di noi.

Tante persone parlano del reality distortion field (campo di distorsione della realtà) di Steve Jobs, e non nego che quell’uomo abbia una capacità di convincimento quasi ipnotica. Tuttavia vi è un altro campo di distorsione della realtà in azione, e coinvolge tutti coloro che sbarcano il lunario grazie all’industria tecnologica. Quel campo di distorsione ci fa dire che i computer sono eccezionali, che funzionano alla grande, e che solo gli imbecilli non sono in grado di utilizzarli.

L’industria tecnologica avrà convulsioni di shock del futuro per un po’ di tempo. Molti si aggrapperanno alla loro idea pre-27 gennaio di ciò che occorre per eseguire del ‘lavoro vero’; si aggrapperanno all’idea che il ‘vero lavoro’ è la parte che ha strettamente a che vedere con il computer.

Non è così. Il Lavoro Vero non è formattare i margini del documento, installare i driver della stampante, caricare il documento, rifinire le diapositive di PowerPoint, avviare l’aggiornamento del software o reinstallare il sistema operativo.

Il Lavoro Vero è insegnare a un bambino, curare un paziente, vendere una casa, individuare i difetti di una strada, riparare l’auto al bordo della strada, registrare le ordinazioni al ristorante, progettare una casa e organizzare una festa.

Pensate ai milioni di ore di sforzi umani spesi per prevenire e risolvere i problemi causati da sistemi informatici completamente aperti. Pensate alla fatica che hanno fatto molte persone per acquisire delle capacità del tutto ortogonali alle loro passioni e alla loro professione, solo per poter finire il proprio lavoro con esito.

Se iPad e i suoi successori renderanno tutte queste persone libere di concentrarsi su ciò che sanno fare al meglio, ciò cambierà la percezione del rapporto con il computer, da qualcosa da temere a qualcosa da abbracciare con entusiasmo. Trovo difficile credere che la perdita di certi processi in background non sia un prezzo che val la pena pagare per avere dispositivi più amichevoli e meno intimidatori. 

Concludo ribadendo l’aspetto che a me sembra fondamentale: se questo dibattito post-iPad serve a far capire a molti programmatori che la maggior parte delle persone ha bisogno di un’informatica più accessibile, ben venga, e quelli fra loro che riterranno opportuno muoversi nella direzione iPad, lo faranno, contribuendo essi stessi a modificare il panorama informatico. E chi vorrà continuare a utilizzare interfacce più complesse continuerà a poterlo fare, proprio come avviene in tanti altri ambiti in cui chi ha maggiore esperienza può usufruire di strumenti più complessi e sofisticati rispetto al comune utilizzatore.

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