Microsoft e le forze autodistruttive

Mele e appunti

Dopo le estenuanti discussioni su iPad e dintorni, faccio un intervallo e vado dall’altra parte della barricata. Segnalato dal sempre puntuale John Gruber, ho letto con interesse questo articolo d’opinione apparso sul New York Times a firma Dick Brass (un vicepresidente di Microsoft negli anni 1997–2004), che condivide qualche aneddoto emblematico della sua esperienza in Microsoft. Emblematico di come si muova al suo interno un gigante come Microsoft nell’ambito della ricerca tecnologica e dell’innovazione. In una parola, male. Dagli spunti che racconta, ne viene fuori l’immagine di un gigante la cui mano sinistra non sa sempre quel che fa la destra, ed entrambe finiscono per legare fra loro i lacci delle scarpe — e il gigante incespica e cade. Merita dunque la traduzione di alcuni stralci salienti.

Microsoft è diventata un’innovatrice goffa e non competitiva. I suoi prodotti sono oggetti di scherno, spesso ingiustamente, ma altre volte a ragione. La sua immagine non si è mai ripresa dai procedimenti giudiziari dell’antitrust negli anni Novanta. Il suo marketing è inetto da anni. […]

Mentre Apple continua a guadagnare quote di mercato in vari prodotti, Microsoft ne ha perse nell’ambito dei browser Web, dei portatili high-end e degli smartphone. Malgrado gli investimenti di miliardi di dollari, la sua linea di prodotti Xbox continua a essere tutt’al più un concorrente alla pari nel mercato delle console di gioco. Ha prima ignorato e poi fatto pasticci nel mercato dei player musicali portatili, finché quel mercato è stato praticamente chiuso da Apple.

Gli enormi profitti di Microsoft (6,7 miliardi di dollari lo scorso trimestre) provengono quasi interamente da Windows e dalla suite Office, programmi che ha iniziato a sviluppare decenni fa. Come General Motors con i suoi camion e SUV, Microsoft non può contare solo su questi prodotti per sostenersi in eterno. […]

Che è accaduto? A differenza di altre aziende, Microsoft non ha mai sviluppato un sistema vero e proprio per favorire l’innovazione. Anzi, secondo alcuni miei ex-colleghi, Microsoft è andata sviluppando un sistema che soffoca l’innovazione. Malgrado possieda uno dei più grandi e migliori laboratori aziendali nel mondo, e si conceda il lusso di avere non uno ma tre Chief Technology Officer, la compagnia riesce regolarmente a frustrare il lavoro dei suoi pensatori più visionari.

Per esempio, nei primi anni in cui lavoravo in Microsoft, un gruppo di esperti grafici veramente brillanti inventò un modo per visualizzare il testo a video chiamato ClearType. Funzionava utilizzando i punti di colore degli schermi a cristalli liquidi per rendere i caratteri molto più leggibili a video. Sebbene avessimo realizzato questa tecnologia per favorire la vendita di e‑book, essa dava a Microsoft un enorme vantaggio potenziale con ogni genere di dispositivo dotato di schermo. Ma ebbe anche l’effetto di infastidire altri gruppi all’interno di Microsoft che si sentivano minacciati dal nostro successo.

Alcuni ingegneri del gruppo Windows mentirono sostenendo che [ClearType] mandava in tilt lo schermo quando venivano impiegati certi colori. Il capo della divisione Office disse che i caratteri si vedevano sfuocati e gli dava il mal di testa. Il vicepresidente del settore dei dispositivi portatili fu ancora più brusco: avrebbe supportato e utilizzato ClearType, ma solo a patto che il progetto e i relativi programmatori venissero trasferiti sotto la sua direzione. Il risultato fu che malgrado [ClearType] ricevette grande favore di pubblico, malgrado il progetto fu promosso internamente, malgrado i brevetti e quant’altro, passarono dieci anni prima che una versione completamente funzionante di ClearType venisse finalmente incorporata in Windows.

Un altro esempio: quando stavamo costruendo il Tablet PC nel 2001, l’allora vicepresidente della divisione Office decise che il concetto non gli piaceva. Il tablet richiedeva l’uso di uno stilo, e lui preferiva di gran lunga le tastiere alle penne e pensò che i nostri sforzi erano destinati a fallire. Anzi, per essere certo che fallissero, si rifiutò di modificare le popolari applicazioni Office per adattarle al tablet. Pertanto, se si desiderava inserire un numero in un foglio di calcolo, o correggere una parola in un messaggio email, bisognava scriverlo in un’apposita finestra pop-up, la quale trasferiva le informazioni a Office. Un sistema seccante, goffo e lento.

Per cui, ancora una volta, malgrado il nostro tablet avesse ricevuto un supporto entusiastico da parte dei vertici amministrativi e fosse costato centinaia di milioni di dollari per lo sviluppo, ne fu sostanzialmente permesso il sabotaggio. Ancora oggi non è possibile utilizzare Office in modo diretto su un Tablet PC. E pur sapendo con certezza che sarebbe apparso un tablet Apple quest’anno, la divisione tablet in Microsoft è stata eliminata.

[…] Parte del problema [di ciò che non funziona in Microsoft] è la sua preferenza storica verso lo sviluppo di software (altamente redditizio) senza mettersi a costruire hardware (altamente rischioso). Questo aveva economicamente senso quando la compagnia venne fondata nel 1975, ma ora rende le cose molto più difficili quando si tratta di creare prodotti strettamente integrati e dal design meraviglioso come iPhone o TiVo.

Come fa giustamente notare Gruber, Vi immaginate il capo del gruppo iWork in Apple che dichiara arbitrariamente che non vi saranno versioni di Keynote, Pages e Numbers per iPad perché a lui non piace il concetto?

Non ho granché da aggiungere a commento di quanto ho tradotto, se non che è un’altra conferma del livello di disorganizzazione e di competizione interne a Microsoft, che possono raggiungere parossismi tali da soffocare anche quelle mosse tecnologiche e quelle innovazioni potenzialmente vincenti. Estesa e dalla struttura decentralizzata, Microsoft è — per tornare alla mia immagine in apertura — un gigante che procede a fatica perché ogni suo arto è pilotato da un gruppo diverso. Apple ne è l’antitesi — una struttura centralizzata e piramidale, snella e con una sola cabina di comando. Ma soprattutto Apple non soffre di crisi di identità, crisi in cui Microsoft si trova oggi immersa fino al collo.

Tanto per fare un ultimo accenno al recente dibattito sul futuro dell’informatica, con questo tipo di cultura aziendale e conflitti interni, quale apporto, quale spinta veramente innovativa possiamo aspettarci da Microsoft? Google, ovviamente, è un altro discorso.

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