Google Wave: grazie di niente

Mele e appunti

È di due giorni fa la notizia che Google non intende proseguire lo sviluppo di Google Wave. La cosa non mi stupisce affatto. La mia reazione è stata infatti piuttosto simile a quella di John Gruber, che ha scritto:

Mi è sempre sembrato notevole che abbiano addirittura lanciato una cosa come Wave. Una tecnologia interessante? Certamente. Ma come prodotto era praticamente impossibile da descrivere. Quando mai un nuovo prodotto ha avuto successo se nessuno sa o capisce esattamente come dovrebbe utilizzarlo? Era il prodotto più in stile Google di tutti — nessun’altra azienda avrebbe potuto lanciarlo né sarebbe stata in grado di farlo. 

Se fossi in grado di trovarlo (e più avanti scriverò di questa assurda limitazione di Twitter) inserirei il link, in ogni caso ricordo che scrissi un tweet diverso tempo fa in cui manifestavo la mia reazione all’interfaccia di Google Wave al primo login una volta ricevuto il mio invito. In quel tweet dicevo, più o meno, che una qualsiasi interfaccia davanti alla quale l’utente si ritrova a pensare “E adesso che faccio?” non può essere segno di un buon design. Più si cerca nelle pagine di aiuto di un’applicazione (web o locale), meno intuitiva evidentemente questa applicazione sarà. Google Wave è stato uno di quei casi in cui, almeno per quanto mi riguarda, ho dovuto cercare indicazioni persino per muovermi con sicurezza nell’interfaccia stessa. Non trovavo quell’immediatezza che dovrebbe essere una delle caratteristiche a cui Google ci ha abituati con i suoi prodotti.

Ma soprattutto non trovavo una vera utilità pratica per Wave, nonostante le spiegazioni sul sito stesso, nonostante le recensioni e il chiacchiericcio telematico all’epoca del lancio ufficiale della beta di Wave. Ricordo gente che faceva carte false per un invito, e alcune reazioni di geek entusiasti che vedevano Google Wave come la rivoluzione di email, chat, collaborazione online, web duepuntozero, eccetera eccetera.

A mio avviso lanciare uno strumento ibrido come Wave è decisamente rischioso, soprattutto quando fra le ‘specie’ che si vogliono incrociare vi sono due strumenti antichi (informaticamente parlando) e collaudati come email e chat. A che pro doversi imparare e adeguare alla logica del ‘wave’, quando in moltissime occasioni è più che sufficiente uno scambio di email, una breve chat, e/o un documento condiviso su Dropbox, iWork.com oppure lo stesso Google Docs?

Mi sembra comunque una mossa intelligente quella menzionata da Urs Hölzle nel post sul blog ufficiale di Google a cui ho linkato all’inizio: che la tecnologia di Wave verrà conservata per essere impiegata in altri prodotti Google, e il fatto che le parti centrali del codice, così come i protocolli che hanno spinto molte delle innovazioni di Wave (come il drag-and-drop e il live typing — ossia la digitazione in diretta, carattere per carattere) siano già disponibili come open source.

A questo punto spero che in Google rinsaviscano del tutto e chiudano anche Google Buzz.

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