Una WWDC come la Sachertorte (1)

Mele e appunti

No, non si è “rotto il blog” (per rispondere pubblicamente a un’email che mi è giunta qualche giorno fa), e prima del keynote di lunedì 6 giugno mi ero riproposto di pubblicare qui le mie impressioni post-evento a caldo, come al solito. Purtroppo sono stato in altre faccende affaccendato, e a questo si aggiunga che la quantità di novità sciorinate durante il keynote della WWDC e l’impatto che ne ha conseguito non hanno permesso una digestione molto rapida. In altre parole: non ricordavo un keynote così dall’annuncio di iPhone a inizio 2007.

Lion, iOS 5, iCloud: molta carne al fuoco, in tre atti. Non sto a riassumere l’evento, ci vorrebbero tre articoli, uno per argomento. Dò per scontato che con l’iper-informazione che ci circonda, chi mi legge ormai è a conoscenza delle novità introdotte da Apple una settimana fa.

Voglio invece condividere le mie impressioni disordinate e, forse per la prima volta nel mio blog, dare maggior risalto agli aspetti che in un modo o nell’altro mi hanno lasciato un sapore un po’ amaro in bocca. In questo primo articolo inizierò con Lion, mentre in una seconda parte mi soffermerò brevemente su iOS 5 e poi su iCloud.

La presentazione

È una sensazione che ho avuto subito seguendo un paio di liveblogging dell’evento, Macworld.com e This Is My Next (l’Armata Ex-Engadget come la chiamo io); sensazione confermata quando ieri ho finalmente potuto ritagliarmi due ore di tempo da dedicare alla visione del filmato. Il ritmo di questo keynote è stato fin troppo esuberante e concitato. Le novità da svelare erano molte, siamo d’accordo, ma a tratti avevo l’impressione di venire stordito dalla loquela di Schiller, Federighi, Forstall e gli altri colleghi che hanno fatto una comparsata dando una mano con le demo. Meno male che Jobs (complice anche una voce un po’ stentata) ha rallentato sul finale, con il suo immutato carisma e la sua tipica maniera di presentare: calma, sicura, misurata. Gli altri sembrava stessero ripetendo la lezioncina a memoria. A salvarli sono state l’oggettiva novità di quel che stavano svelando (nel bene e nel male), la reputazione, e il fatto che gestire una quantità tale di informazioni in un tempo relativamente ristretto non è compito facile. 

Conflitti leonini

Lo dico subito: Lion è la prima versione di Mac OS X in dieci anni che mi lascia non deluso, bensì combattuto. Molte delle nuove funzioni sono senza dubbio un passo avanti e una miglioria rispetto al passato, e a mio avviso quasi bastano novità come Salvataggio automatico, Riprendi e Versioni per giustificare l’aggiornamento. Al tempo stesso noto una serie di dettagli, in certi casi anche piccoli, che mi fanno innervosire. Sostanzialmente perché mi trasmettono la sensazione di essere soluzioni a problemi che non esistevano. 

Quando sia Schiller che Federighi hanno detto in maniera diversa che (parafraso) le barre di scorrimento sono brutte, le barre di scorrimento non servono più, ho subito cominciato a fiutare l’andazzo. Le barre di scorrimento servono eccome: a dare immediatamente l’idea della lunghezza di un documento, di una pagina Web, della quantità di elementi contenuti in una cartella aperta in una finestra del Finder. La nuova soluzione, mutuata da iOS, di farle apparire quando si muove il puntatore e a farle scomparire quando lo si ferma, è visivamente attraente, ma l’immediatezza è persa. È una pignoleria da parte mia, lo so, ma se lo scopo di un’interfaccia utente è, fra gli altri, quello di facilitare le cose all’utente, allora delle barre di scorrimento sempre presenti offrono informazioni che l’utente può vedere e processare senza bisogno di fare alcuna azione. Il colpetto alla rotellina del mouse, il tocco di trackpad, la scorsa sul Magic mouse, seppur minime, sono sempre delle azioni aggiuntive che l’utente è costretto a fare per ottenere informazioni che prima già vedeva.

Continuando su questa linea, i dettagli di Lion che più mi rendono insofferente sono guarda caso legati soprattutto all’interfaccia grafica. Avevo già notato i segnali allarmanti all’evento Back To The Mac dell’ottobre 2010, e il keynote del 6 giugno non ha fatto che riconfermare un’opinione che mi ero fatto negli scorsi mesi, ovvero: le contaminazioni dell’interfaccia di iOS ora presenti in Mac OS X non mi entusiasmano granché e fatico a ritenerle questo grande beneficio che iOS apporta a OS X. Forse lo sarebbero se non esistesse ancora un certo divario fra i metodi di input di un iPhone o iPad rispetto a quelli di un computer Mac, sia portatile sia soprattutto da scrivania. Affidarsi a un numero ancora maggiore di gestualità multi-touch da effettuare su un trackpad non aiuta molto, anzi in me rafforza l’impressione di trovarsi davanti a un’interfaccia utente ibrida e dissociata. Dissociata perché da un lato gli indizi visuali mi spingono quasi a toccare lo schermo e a manipolare icone e finestre, dall’altro l’impulso si scontra con il fatto che un Mac, per ora, rimane un dispositivo con un’interfaccia mediata. Per naturali e ben congegnati, i gesti sul trackpad sono mediati, e c’è sempre il puntatore a video. Su iPhone e iPad la manipolazione è diretta e in questo senso l’interfaccia multi-touch di iOS è efficacissima.

L’esempio più eclatante di questa dissociazione: Launchpad. Probabilmente sarà un successo presso i nuovi utenti Mac che magari sono stati esposti solo all’iPhone e all’iPad; si troveranno davanti quell’interfaccia per selezionare le applicazioni, presa di peso da iOS, e la sensazione di familiarità sarà istantanea. Poi quando si tratta di interagire con Launchpad, beh, meglio avere un Mac portatile, perché i possessori di un Mac da scrivania (specie coloro che non usano né Magic mouse né Magic trackpad) troveranno l’interazione con Launchpad piuttosto goffa.

Certo, il messaggio che Apple sta lanciando in maniera sempre meno inequivocabile è che l’interazione mediante gestualità multi-touch è il futuro, se non in generale almeno dei prodotti Apple. La bellezza e la fluidità dell’esperienza utente in Lion sono strettamente legate al saper padroneggiare i gesti. Il problema, per ora, è che i Mac da scrivania non hanno la stessa omogeneità dei dispositivi iOS e della linea dei MacBook per quanto riguarda l’interazione con l’utente. Non tutti usano il Magic mouse o il Magic trackpad. C’è chi preferisce muoversi nell’interfaccia usando quasi esclusivamente la tastiera. Conosco persone che utilizzano da sempre la tavoletta grafica come dispositivo di input. Altri sono abituati a trackball e a mouse professionali con 7 pulsanti programmabili. Voglio vedere tutti questi utenti a districarsi con Launchpad e Mission Control. Non è un caso che al keynote erano piazzati dei MacBook Pro per effettuare le demo delle funzionalità di Lion. Con il trackpad è più facile. Quando Craig Federighi ha presentato Mission Control lo scorso ottobre, si trovava seduto a un Mac da scrivania e stava usando un Magic mouse: prima di azzeccare le gestualità che stava spiegando ha fatto almeno tre tentativi. Le dita sul mouse tremavano e si contorcevano. Ma, si diceva, l’interfaccia utente non dovrebbe facilitare la vita? A me sembra invece che in Lion le cose tendano a complicarsi. Magari di pochissimo, ma ci vedo una complicazione inutile.

Breve excursus — Ovviamente io ho una mia ipotesi su dove Apple ci stia portando con queste nuove interazioni e con questi nuovi elementi dell’interfaccia grafica presi da iOS. Mi sembra abbastanza chiaro che con Lion si entra nella fase preparatoria di un futuro in cui il mouse è destinato a sparire e in cui anche gli schermi dei Mac diventeranno tattili. Sarà sempre possibile manovrare i Mac con periferiche di input tradizionali (penso a chi come me collega al MacBook Pro un monitor di terze parti e usa il portatile in configurazione desktop, con tastiera e mouse), ma Mac OS X sarà dotato di un’interfaccia gestuale ottimizzata per un contatto sempre più diretto fra utente e oggetti a video. In quest’ottica, tutti i gesti con cui manovriamo Launchpad e Mission Control, le applicazioni in modalità tutto schermo e la possibilità di passare da una all’altra scorrendo con le dita, ecc., hanno molto più senso. Adesso l’utente muore dalla voglia di interagire direttamente con questi elementi, invece di farlo via trackpad; un domani potrà. Fino a poco tempo fa ero molto scettico a riguardo, e anche Jobs nell’evento di ottobre ha chiaramente dimostrato la scomodità di doversi sbracciare davanti a un monitor multi-touch che rimane in posizione verticale di fronte a noi. Poi ho visto questo brevetto e più recentemente quest’altro. Malgrado sia abitudine di Apple registrare un’enorme quantità di brevetti per poi implementarne solo alcuni, più osservo il lavoro di interfaccia che ha subìto Lion, più il percorso mi sembra sensato. Quando ci si arriverà non saprei, ma non mi stupirei se avvenisse nel breve-medio termine. Se così fosse, allora certe scelte nell’interfaccia utente di Lion e certi dettagli che adesso non mi convincono, diventerebbero in retrospettiva del tutto logici.

Altra complicazione inutile è il metodo con cui acquisteremo e installeremo Lion: niente supporto fisico, si fa tutto via Mac App Store. Un’idea bella e pulita in teoria, ma in pratica non priva di inconvenienti. Alcuni dei vantaggi della distribuzione digitale: risparmio sul confezionamento e sulla distribuzione fisica del prodotto, possibilità di far pagare un sistema operativo meno di 30 dollari, e la mancanza di supporto fisico significa zero rischi di acquistare un DVD difettoso o, peggio, di perderlo e non averlo sottomano quando occorre reinstallare. D’altro canto, però, stiamo parlando di un download di 4 GB, che non è proprio una passeggiata. Non dimentichiamo che non tutti viaggiano alla stessa velocità, che esistono ancora moltissime case in cui la banda larga rimane una chimera e si viaggia ancora con connessioni dial-up da 56K o al più sfruttando il collegamento 3G cellulare. Poi c’è il fatto che, con questo meccanismo, sembra chiaro che l’aggiornamento a Lion si appoggi pesantemente a Snow Leopard: infatti, se Lion è disponibile solo sul Mac App Store, quando si deve fare un’installazione da zero (perché, mettiamo, il disco rigido del nostro Mac si guasta e lo sostituiamo con una nuova unità vuota), occorrerà prima installare Snow Leopard, poi aggiornarlo all’ultima versione (o almeno alla 10.6.6), poi scaricare i 4 GB dell’Installer di Lion. Una procedura inutilmente complicata. Certo, è possibile creare un’installazione pulita di Lion e farsi un disco di avvio di Lion, ma qualsiasi procedura alternativa non può prescindere dall’ostacolo principale: lo scaricamento dei 4 GB iniziali. Per non parlare di chi, per una ragione o per l’altra, è rimasto con Mac OS X 10.5 Leopard. Non può passare a Lion direttamente, deve per forza acquistare Snow Leopard.

(Quando, dopo l’evento Back To The Mac, era stata resa disponibile una beta di Lion per gli sviluppatori, direttamente scaricabile dal Mac App Store, avevo immaginato che Apple avrebbe fatto questa mossa anche per la release finale di Mac OS X, e che avrebbe abbandonato il formato DVD, ma mi aspettavo almeno la possibilità di acquistare Lion su una micro-unità USB come quella che si trova nella scatola del MacBook Air per il ripristino del sistema).

Sulla scomparsa di Rosetta e l’abbandono del supporto per l’architettura PowerPC ho già detto a marzo e rimango della stessa opinione, e sull’argomento suggerisco la lettura (in inglese) di questo articolo su Low End Mac: The Implications of Losing Rosetta in OS X 10.7 Lion.

Per concludere, provvisoriamente, su Lion: sono ovviamente molto affascinato dalle novità e da alcune nuove funzionalità così utili che è da sciocchi non aggiornare. Al tempo stesso, e forse per la prima volta in dieci anni, mi trovo di fronte a un aggiornamento dal sapore dolceamaro: a) alterazioni dell’interfaccia che almeno per ora mi appaiono più come svolazzi imitativi per spingere verso Mac OS X e il Mac quell’utenza che conosce Apple solo perché possiede un dispositivo iOS, che non migliorie dettate in primo luogo dall’usabilità; b) un processo di installazione/aggiornamento semplice sulla carta ma laborioso nelle implicazioni (scaricarsi 4 GB di materiale, farsi un proprio DVD di installazione, ecc.); c) l’abbandono dell’architettura PowerPC che mi obbliga a soluzioni di ripiego, quando bastava lasciare Rosetta come installazione opzionale, come già avviene in Snow Leopard. 

La fiducia in Apple rimane, a ogni modo, e mi auguro che i vantaggi e i benefici che Lion porta con sé mi facciano presto dimenticare queste seccature.

[Fine Prima Parte]

The Author

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