Gente grande e gente piccola

Mele e appunti

Quando ho saputo della scomparsa di Steve Jobs ero in Twitter, e come sempre mi succede in questi casi, la reazione istintiva è l’incredulità. Nel caso di Jobs ancor più giustificata dal fatto che già in passato le voci di corridoio hanno diffuso sciocchezze sul suo stato di salute. Poi i tweet che riportavano la notizia sono diventati due, poi quattro, e così via in progressione geometrica. Quando anche fonti attendibili hanno confermato, all’incredulità è subentrata un’immensa tristezza. Come molti hanno scritto in questi giorni, l’importanza della figura di Jobs è tale che un grandissimo numero di persone ha sofferto il pugno allo stomaco, pur non avendo mai conosciuto Jobs di persona.

Io non sono stato in grado di verbalizzare l’impatto che ha avuto su di me la scomparsa di Jobs per un’intera giornata. Ero letteralmente frastornato, come quando passa un uragano e lascia dietro di sé una scia di caos. Bisogna fare il punto della situazione, iniziare a ‘ricostruire’, e non si sa da che parte iniziare. Poi ho scritto un breve intervento, in inglese, qui sul mio sito: Magic and revolutionary. Ho pensato di intitolarlo così, ‘Magico e rivoluzionario’, le parole con cui Steve definì l’iPad, perché è così che in un certo senso vedo la figura di Jobs nell’industria tecnologica e in generale. Sia chiaro, quel ‘magico’ non vuole implicare che io veda chissà quali poteri sovrumani in Jobs, ma è innegabile come il suo operato dal suo ritorno in Apple nel 1997 sia stato praticamente miracoloso per le sorti dell’azienda.

Non sto a tradurre in italiano il mio umile tributo, ma riassumo il senso del post: uno scritto di carattere assolutamente personale, che ho creduto opportuno condividere con chi mi legge. Uno scritto, breve, in cui parlo del modo in cui l’estetica e i metodi di Jobs abbiano influenzato la mia maniera di lavorare e, in certa parte, la mia maniera di affrontare le cose. Il puntare alla qualità sempre e comunque, senza scendere a compromessi. Il perfezionismo. L’essere il critico più acerrimo di me stesso. La capacità di continuare a meravigliarsi di fronte a certe cose che un dispositivo permette di fare, capacità che è segno di una curiosità intellettuale, di una ‘fame’ e di una ‘follia’ (“Restate affamati, restate folli”) che spingono a non riposarsi mai sugli allori, a continuare a cercare, a migliorare noi stessi e quel che facciamo. Infine, la scomparsa di Steve mi ha fatto pensare a quanto tempo ho buttato via facendo cose che non voglio o che non amo fare.

Non molto dopo la pubblicazione del mio intervento sono arrivati i commenti. Alcuni positivi, altri un po’ meno. Poi sono andato a dormire, ché già era tardissimo. Al mio risveglio mi sono ritrovato con una ventina di commenti parcheggiati in moderazione. Ho pensato subito allo Spam, invece c’era di peggio. Tutte cose a vari livelli di stupidaggine e atrocità, insulti rivolti a Jobs e insulti rivolti al sottoscritto, che è stato definito fra le altre cose suddito decerebrato, fanboy idiota, adoratore del diavolo tecnologico. C’era chi cercava di educarmi su tutto quel che di negativo aveva fatto Jobs nella sua vita; chi mi esortava a ritirare il post dicendo che non stavo dipingendo un ritratto ‘realistico’ di Steve Jobs e che quindi stavo facendo ‘cattiva informazione’; e questi sono solo pochi esempi pubblicabili. Per la maggior parte sembravano deliri di gente avvelenata. Sono rimasto interdetto: ho visto certe persone al loro peggio, ma questi commenti mi hanno dimostrato che alcuni pozzi sono davvero privi di fondo. 

Ho quindi proceduto a chiudere i commenti al post in questione, arrabbiandomi con me stesso per non averli chiusi in partenza. Dopo qualche ora sono arrivate le email, dello stesso tenore e della stessa bassezza contenutistica. Il dettaglio interessante è che quasi nessuna di queste persone mi ha scritto qualcosa di effettivamente pertinente rispetto al ‘post della discordia’. La sensazione che ho avuto è che abbiano dato una scorsa veloce alle mie parole, abbiano pensato “Questo è un sostenitore di Jobs”, e via agli sfoghi e agli attacchi. L’ironia della situazione — se ve n’è una — è che con tutta la letteratura su Apple che ho letto dalla metà degli anni Ottanta a oggi, probabilmente di Apple e di Jobs ne so più io di loro. Il fatto è che, molto semplicemente, non c’è idolatria da parte mia nei confronti di Jobs, non c’è un’adozione acritica della piattaforma Apple e/o della filosofia Apple. C’è stima e una certa ammirazione, c’è il riconoscimento dell’importanza della sua figura, il cui impatto sugli ultimi trent’anni di informatica non può né deve essere ignorato, sminuito o deriso. E, per quanto riguarda l’uso di prodotti Apple (lo ripeto per chi non mi conosce bene), c’è dietro una scelta precisa che deriva dalla conoscenza e dall’esperienza diretta di prodotti non-Apple.

Anche se non stimassi Steve Jobs, anche se non ne riconoscessi il valore, davanti a tanta piccolezza di certa gente, Jobs ne esce automaticamente grandissimo.

Stallman

Premessa: La soluzione cinque percento, intervento scritto dall’amico Lucio Bragagnolo, è assolutamente imperdibile, e a questo mi rifaccio per esprimere la mia opinione in proposito.

La dichiarazione di Richard Stallman[1] alla notizia della morte di Jobs ha fatto discutere. 

Stallman ha detto: Steve Jobs, pioniere del computer come prigione alla moda, progettato per mutilare gli sprovveduti dalla loro libertà, è morto.

Come il sindaco di Chicago disse del precedente e corrotto sindaco Daley, “Non sono lieto che sia morto, ma sono lieto che se ne sia andato”. Nessuno merita di morire – non Jobs, non il signor Bill, neanche persone colpevoli di mali ancora peggiori dei loro. Ma meritiamo tutti la fine della maligna influenza di Jobs sul computing delle persone.

Sfortunatamente questa influenza continua nonostante la sua assenza. Possiamo solo sperare che i suoi successori, nel tentativo di continuare nella sua scia, siano meno efficaci.[2]

Lucio ha già sottolineato tutto quel che c’è di importante da dire a riguardo: l’importanza della figura di Stallman nella storia dell’informatica da una parte, e il fatto che Stallman abbia rivolto le sue accuse al bersaglio sbagliato dall’altra (i prodotti Apple, sia per quanto riguarda i computer, sia per quanto riguarda il mercato dei cellulari, sono una netta minoranza).

Lucio mette subito da parte “le questioni del pessimo gusto, del cinismo gratuito, del sarcasmo fuori luogo. Tutto si commenta da sé”. È vero, ma per quanto mi riguarda il pessimo gusto, il cinismo gratuito, il sarcasmo fuori luogo sono esattamente il punto. Da una parte hanno provocato la reazione che abbiamo visto e la reazione che molti di voi avranno sicuramente provato: sono parole che feriscono, che fanno arrabbiare, parole pesanti e fuori luogo, parole che, alla fine, ci allontanano ancor di più da Stallman e dalla sua ideologia. E qui casca l’asino: probabilmente a Stallman importa poco, considerate le sue posizioni e il suo modo di vedere le cose, ma dichiarazioni come questa finiscono per ritorcersi contro di lui e non giovano certo alla sua causa, che già è piuttosto difficile da diffondere. (Certo, sostenitori del software libero ve ne sono parecchi, ma radicali quanto Stallman? Pochissimi, forse nessuno). Ho sentito di persone che hanno cominciato a riconsiderare la buona impressione che avevano di lui proprio grazie a questa sparata. A me ha dato fastidio la sostanziale mancanza di rispetto per il defunto in quanto persona.

In altre parole: Stallman avrebbe potuto starsene zitto e la cosa avrebbe immensamente giovato alla sua figura e a quel che rappresenta. Mi si dirà che a Stallman non interessa quel che pensa la gente di lui, ma le sue parole mettono in cattiva luce quel che rappresenta, il suo pensiero, la sua visione dell’informatica. È anche attraverso le dichiarazioni pubbliche che si rafforza o si indebolisce la figura di un leader, del fondatore di una scuola di pensiero. Commenti come quello di Stallman incidono decisamente sulla sua credibilità. 

 


 

  • 1. Chi è Stallman? Qui la voce della Wikipedia italiana, qui quella della Wikipedia inglese.
  • 2. La traduzione è di Lucio Bragagnolo. L’originale inglese è come segue: Steve Jobs, the pioneer of the computer as a jail made cool, designed to sever fools from their freedom, has died. As Chicago Mayor Harold Washington said of the corrupt former Mayor Daley, “I’m not glad he’s dead, but I’m glad he’s gone.” Nobody deserves to have to die — not Jobs, not Mr. Bill, not even people guilty of bigger evils than theirs. But we all deserve the end of Jobs’ malign influence on people’s computing. Unfortunately, that influence continues despite his absence. We can only hope his successors, as they attempt to carry on his legacy, will be less effective.

 

The Author

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10 Comments

  1. Pingback: Ma cosa vi avrà mai fatto Steve Jobs? « paolobaggins

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