Un mestiere difficile

Mele e appunti

Steven Poole: Free your mind: Il bravo Steven Poole ha qualche osservazione da fare sul difficile mestiere di chi scrive professionalmente, specie quando c’è di mezzo Internet, la libera distribuzione, l’annosa questione del copyright, e così via. È da molto tempo che pensavo di scrivere qualcosa a riguardo sul mio blog, data l’affinità professionale, e Poole è riuscito a concentrare i punti più cruciali con buona sintesi e centrando più volte il bersaglio. Consiglio la lettura integrale dell’articolo, e anche di mettere questo autore fra i bookmark, già che ci siamo. Mi permetto di tradurre i passaggi che hanno suscitato la mia massima empatia.

Anzitutto, Poole introduce un evento che funge da premessa al suo post:

Alla fine dell’anno scorso ho deciso di regalare il mio libro, Trigger Happy, in formato PDF libero da DRM. Ho definito l’operazione “una sorta di esperimento”; dopo più di trentamila download, è arrivato il momento di fare quattro conti. 

Poole racconta di come l’operazione sia stata un successo, dell’attenzione riservata a un libro pubblicato ormai 8 anni fa e, di conseguenza, dell’attenzione che ha attratto il suo sito; è stata una buona pubblicità, che forse ha portato alla vendita di qualche copia cartacea in più, e che sicuramente farà in modo che qualche persona in più presti attenzione ai suoi prossimi libri facendo un giro in libreria.

Malgrado non l’abbia fatto per i soldi, ero anche interessato, naturalmente, a mettere alla prova il concetto di regalare un prodotto e di permettere alle persone di esprimere liberamente il proprio gradimento. Così ho inserito un pulsante PayPal sotto il link per il download. Secondo quanto affermano alcuni, questo dovrebbe essere un nuovo fantastico business model per scrittori e altri creativi nell’èra di Internet, giusto?

Ehm, non tanto. Le persone che hanno lasciato una donazione dopo aver scaricato Trigger Happy sono state, in proporzione, 1 su 1.750, ossia lo 0,057%. Sono grato a ognuna di loro, indubbiamente, anche se mi hanno molto divertito quelli che hanno donato 0,01 dollari: si sono sobbarcati tutta una serie di clic quando forse facevano prima a scrivere semplicemente “vaffanculo” nei commenti.

È certo, quindi, che questo non può essere affatto un business plan. Tuttavia sono in molti a insistere che tutto il lavoro creativo debba essere distribuito/regalato così. Molti idealisti fra i commentatori hanno lodato la mia iniziativa come esempio del vero spirito della distribuzione libera del sapere. Anche se ammiro e condivido tutto ciò a livello di principio utopistico, mi dà ancora qualche problema nel mondo reale. Perché, sapete, si tratta di quel che faccio per vivere.

Non mi piace il termine “professionale” / “professionista”, troppo abusato in ogni campo e a ogni livello al giorno d’oggi; però io sono uno scrittore professionista. Nel senso che lo scrivere, e solo quello, è ciò che mette un tetto sopra la mia testa e mi dà il pane quotidiano. Come ha suggerito un commentatore, può darsi che sia il termine “copyright” stesso a indisporre la gente; magari ci sarebbero reazioni diverse se lo si cambiasse in “righttoeat” [= “diritto di mangiare”]

Se gli accaniti sostenitori della “libera distribuzione delle idee” fanno sul serio, dovrebbero a) elaborare una proposta realistica che risolva il problema di come io possa continuare a vivere mentre regalo i frutti del mio lavoro a destra e a manca; oppure b) sbilanciarsi e dichiarare onestamente che non credono che una figura come lo “scrittore professionista” debba esistere, e che io dovrei cercarmi un “lavoro vero” come tutti gli altri. In un certo senso, i sostenitori della seconda ipotesi avrebbero anche il mio rispetto. Però non rispetto le persone che non riescono a capire che le strade sono solo queste [due].

Più oltre, dopo aver fatto un paragone con musica e musicisti, ed aver menzionato gli egregi esempi di auto-pubblicazione e distribuzione di Radiohead e Nine Inch Nails:

Per tornare al rapporto fra libri tradizionalmente pubblicati e i loro equivalenti in formato elettronico: il bello è che oggi i download di un e‑libro non cannibalizzano le vendite dello stesso in formato cartaceo; al contrario, le stimolano. […]

Ma se verrà un giorno in cui la maggior parte delle letture si faranno attraverso dispositivi elettronici, l’equazione cambierà sensibilmente. Distribuire il proprio lavoro nello stesso formato in cui si spera di venderlo è un gioco pericoloso, se si spera sempre di portare a casa la pagnotta. E se in futuro i libri verranno distribuiti primariamente come edizioni elettroniche libere da DRM, allora gli scrittori non avranno più scelta. La gestione dei diritti digitali su Kindle di Amazon, in cui i tuoi “libri” sono perennemente legati a quello specifico dispositivo e alle sue future incarnazioni, e non è nemmeno possibile prestare un libro a un amico, è stupidamente restrittiva. Ma il “libero per tutti” è davvero l’alternativa migliore? Molte persone hanno pagato gli album dei Radiohead e dei Nine Inch Nails, anche se in breve tempo era possibile scaricarne gratuitamente delle copie illegali. Ma forse chi ha pagato era già un fan dei Radiohead e dei Nine Inch Nails. Quando si tratta di scommettere su un nuovo artista, saranno così in tanti a scegliere di dare un contributo per un prodotto che non è necessario pagare?

* * * * *

La mia posizione, in quanto scrittore e traduttore professionista, è analoga a quella di Poole. La mia attività di libero professionista ha alcuni vantaggi rispetto a quella del lavoratore dipendente: se non altro sono io a decidere quando, come, dove e per quanto lavorare. Rovescio della medaglia: se manca una personale disciplina oraria, si può finire facilmente lavorando più ore per guadagnare comunque meno del previsto. Ma quel che è veramente frustrante è il far capire alla clientela che io faccio questo lavoro per vivere, e che non sono un ricco figlio di papà che scrive articoli e si imbarca in progetti di traduzione per non annoiarsi durante le lunghe ore della giornata. Quel che è frustrante, nella situazione odierna, è far capire che otto/dieci ore passate davanti a uno schermo a tradurre pagine e pagine di un libro sulla programmazione hanno la stessa dignità di otto/dieci ore passate in fabbrica sui torni. Uno è un lavoro mentale, l’altro fisico, ma è sempre lavoro, e se fatto con qualità deve essere pagato di conseguenza.

Oggi invece in qualsiasi proposta di progetto o collaborazione, che il cliente sia vecchio o nuovo, l’andazzo non varia: “ho bisogno il lavoro con urgenza” da una parte, e “il preventivo è troppo alto; possiamo scendere un po’?” dall’altra. E si avverte sempre quel vago sentore che il cliente ti consideri come qualcuno che, standosene seduto al computer tutto il giorno, non fa un ‘lavoro vero’. Perché quindi pagarlo come se fosse un ‘lavoratore vero’? O, in alternativa, perché pagarlo in maniera sollecita, alla consegna del lavoro, o — orrore — anticipargli una quota? Esistono categorie professionali in cui il lavoratore autonomo si fa pagare anche il preventivo. Le consulenze si pagano. Le uscite si pagano. Il disturbo si paga. La mia professionalità (mi scuso dell’ennesimo abuso del termine), che per me significa mettere le mie conoscenze e la mia esperienza a frutto in un certo progetto e/o collaborazione, si paga. Seguendo la logica di molti clienti che ho incontrato sulla mia strada (non tutti, ci sono sempre le belle eccezioni), io dovrei letteralmente regalare ore di lavoro, perché tutti vogliono il progetto pronto per lunedì, tutti esigono priorità assoluta e tutti vogliono pagare poco.

Come Poole esorta i sostenitori della ‘libera distribuzione delle idee’ a elaborare una proposta realistica che risolva il problema di come lui possa continuare a vivere mentre regala i frutti del suo lavoro a destra e a manca, io esorterei queste persone a fare lo stesso.

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