L'eredità del Think Different

Mele e appunti

Ho riesumato altre riviste dal mio archivio, e il faldone sulla mia scrivania adesso contiene svariati numeri di MacFormat UK del periodo 1998–1999. Il numero 61, del marzo 1998, è particolare perché celebra due cose insieme: il quinto compleanno della rivista, e la campagna pubblicitaria più emblematica della storia di Apple dopo il famoso mini-film 1984 creato per il lancio del primo Macintosh nel gennaio 1984 — sto parlando naturalmente della campagna Think Different. La copertina di questo numero è interamente nera, con al centro il logo Apple iridato e in bianco la scritta “Think Different.” — nient’altro.

Questo numero di MacFormat contiene una serie di articoli riuniti in una sorta di ‘dossier’ dal titolo “Semi del Futuro” che cerca di fare il punto della situazione di Apple in quel particolare momento storico. Un momento non facile: Jobs era appena rientrato e aveva ripreso le redini di un’azienda in crisi sotto tutti gli aspetti (da quello finanziario, a quello progettuale, a quello strategico). In pochi mesi Jobs era riuscito a rimettere Apple in carreggiata prendendo decisioni drastiche e tagliando ogni possibile ramo secco. Alcune di queste decisioni — come il dichiarare conclusa l’epoca dei cloni poco prima inaugurata dalla precedente amministrazione, o come l’interruzione dello sviluppo della piattaforma Newton — furono duramente criticate (James Straten, analista industriale, dichiarò: Apple ha imboccato una strada che la porterà a non essere più fra i nomi che contano nel mercato dei personal computer); tuttavia tale clima riformatore giovò sin da subito ad Apple, che già all’inizio del 1998 dava segni di ripresa e di ritrovata chiarezza dopo un percorso confuso che l’aveva portata in una spirale discendente nel periodo 1996–97.

In quel momento Apple stava iniziando a offrire qualcosa di concreto per quanto riguarda il lato software: Mac OS 8 era finalmente realtà, e anche se non mantenne le promesse del tanto pubblicizzato progetto Copland, perlomeno non si trattava di vaporware, ma di un prodotto tangibile e di buona qualità, e l’utenza Mac se n’era accorta e poteva infine dimenticare gli incubi del System 7.5. La ricerca e lo sviluppo stavano continuando dietro le quinte con Rhapsody, che presto si sarebbe trasformato in Mac OS X Server e poi nel Mac OS X “aqua” che tutti conosciamo. Per quanto riguarda lo hardware, l’iMac era ancora un segreto, ma la linea dei Power Macintosh G3 beige si difendeva bene, e il primo PowerBook G3 (che aveva ancora il form factor della linea del PowerBook 5300 e 3400) era in quel momento il computer portatile più veloce in circolazione. Nel settore education, malgrado il recente abbandono della piattaforma Newton, l’eMate 300 stava registrando un certo successo. Anche dal punto di vista commerciale la situazione stava migliorando, sempre grazie alle mosse decisive di Jobs: un numero più ridotto di grossi distributori e l’incoraggiamento dato a un maggior numero di dealer di trattare direttamente con Apple. Senza dimenticare il lancio dell’Apple Store, un servizio online e telefonico per consentire ai clienti di comprare i prodotti Apple in forma semplice e diretta, senza intermediari.

Tutte mosse che si sono rivelate vincenti con il senno di poi, ma che all’epoca necessitavano di un qualcosa di omogeneo, di coesivo, che trasmettesse in maniera generalizzata, forte e profonda questa nuova intrapresa di Apple. Un messaggio che avesse un significato non solo puramente commerciale, ma che potesse essere per Apple anche un segnale della ritrovata identità, coerenza e stima in se stessa. Nasce quindi “Think Different”, una campagna promozionale in grande stile, ben congegnata, ben diffusa attraverso i mass media, ed estremamente pregnante.

Think Different riprende, 14 anni dopo lo spot “1984”, un concetto che è sempre stato centrale dell’identità di Apple: la diversità. Nel famoso “1984”, il Macintosh veniva rappresentato come unico elemento distinto in un mondo anti-utopico di matrice squisitamente orwelliana e dominato dalla dittatura del grigio, del seriale, dell’assenza di individualità. Nello spot, Macintosh assume le forme di un’atleta olimpionica, ed è un concentrato di elementi contrastanti con lo scenario circostante: è donna in una realtà tutta al maschile; è colorato — pantaloncini rossi, maglietta bianca con logo “Picasso” a colori, e la ragazza sfoggia una capigliatura bionda in un mondo di uomini tutti rapati a zero; è in movimento: corre in una realtà statica; pensa con la propria testa in quel contesto di lobotomizzati e si oppone allo status quo tirando un martello contro lo schermo in cui viene proiettato il volto enorme del potere, del Grande Fratello che tutto livella e controlla.

Think Different aggiorna il messaggio: Apple si aggiunge alla schiera di quelle personalità che hanno manifestato il loro genio, Agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, spece i regolamenti e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro; potete glorificarli o denigrarli ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perchè fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno portebbe definirli folli noi ne vediamo il genio; perchè solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero (così recita il testo dello spot, che nella versione italiana viene raccontato dall’illustre Dario Fo). Nello spot pubblicitario si susseguono immagini di repertorio che presentano personalità come Einstein, Bob Dylan, Martin Luther King, John Lennon, Thomas Edison, Muhammad Ali, Pablo Picasso, Alfred Hitchcock, Martha Graham, e altri che hanno avuto un ruolo fondamentale nei loro rispettivi campi di specializzazione. Personalità scomode, geni forse non del tutto compresi. Con questo messaggio Apple dice di riconoscerne il genio, di essere dalla loro parte perché intrinsecamente è fatta della stessa pasta. Quest’ultimo concetto è il colpo di genio, perché non viene mai espresso esplicitamente: è lo spettatore, il ricevente del messaggio, a chiudere l’equazione.

Nel dossier di MacFormat c’è un breve riquadro dedicato alla campagna, e si chiude con queste parole:

Nel Regno Unito, come negli USA, alla presenza di cartelloni pubblicitari che sottolineano il brand dell’azienda, si aggiungeranno altre promozioni pubblicitarie rilevanti che sfrutteranno il tema del “Think Different”. Che vi piaccia o meno quel che Apple sta facendo, non potrete fare a meno di notare come questo slogan penetrerà progressivamente nella coscienza collettiva — la vostra e soprattutto di coloro che sono nuovi alla piattaforma Apple. Speriamo!

Mai parole furono più vere. Infatti, e qui torniamo ai giorni nostri, sono dell’idea che Think Different abbia avuto fin troppo successo, e un impatto così forte sulla coscienza collettiva da diventare — dopo dieci anni — quasi un’eredità scomoda.

Il fatto è che l’idea ha funzionato talmente bene da vivere ben presto di vita propria, estrapolandosi dal preciso contesto storico in cui nacque, e convertendosi in un’etichetta di identità permanente, in pietra di paragone che, sempre più spesso, viene tirata fuori per giudicare le scelte attuali di Apple. Oggi Apple gode di una salute e di un successo eccellenti, e si trova anni luce avanti rispetto ai tempi che produssero la campagna Think Different. Uno dei fattori chiave del successo sia d’immagine che commerciale è stato indubbiamente il concentrarsi sul mercato consumer, penetrandovi con dispositivi che non sono ‘computer Macintosh’ di per sé (iPod+iTunes Store e iPhone) e che hanno servito e servono da specchietti per le allodole o, in altri termini, da biglietti di ingresso per la piattaforma Mac. Che ha continuato a essere ‘differente’ in questi dieci anni, che ha continuato a evolversi e a distinguersi. Ora Apple si trova a un apice di autostima e confidenza dei propri mezzi che può finalmente permettersi di esaltare il proprio lavoro di manifattura con un video che racconta la progettazione e la realizzazione dei nuovi portatili con monoscocca in alluminio. Per arrivare a questo punto, Apple ha compiuto scelte strategiche atte a soddisfare il pubblico. Una fetta di utenza Apple (i veterani / professionisti, ma non solo loro), che aveva fortemente sentito e riconosciuto quel messaggio, Think Different, e lo aveva associato all’idea di essere diversi, di essere una minoranza, una nicchia forse di incompresi, ma indubbiamente di migliori, ecco, di fronte a questo ‘scendere e mescolarsi tra la folla’, si sentono in dovere di tirar fuori il Think Different come un memento da sbattere in faccia ad Apple ogni volta che prende una decisione o direzione non gradita.

A me il Think Different ha stancato. Nelle discussioni online e offline salta fuori a ogni pié sospinto. Se Apple fa pagare un ricambio troppo caro, “dov’è finito il Think Different?” — se Apple decide di togliere una porta FireWire da un portatile, “e questo sarebbe il Think Different?” — se Apple decide di utilizzare processori Intel dopo anni di rivalità con il noto produttore di chip, “addio Think Different” — se Apple, costretta da scomodi accordi con le major dell’industria dell’intrattenimento, vende contenuti digitali protetti da DRM, “e questo sarebbe il Think Different?” — se Apple… E così via.

È un peccato che il Think Different sia diventato un retaggio quasi scomodo per Apple, almeno per come la vedo io. Perché il fatto è che Apple continua davvero a pensare differente, ma troppi sono rimasti legati al Think Different di dieci anni fa e sembano incapaci di attualizzare il concetto — il che è paradossale perché a posteriori si può notare come la campagna originale del 1998 non fosse legata a nessun prodotto o servizio in particolare. Che Apple stia vivendo un grosso successo di pubblico, di ‘plebe’, non vuol dire che debba per forza essersi snaturata strada facendo. Se Apple non ‘pensasse differente’ non sarebbe dov’è adesso — forse non esisterebbe più, acquisita da qualche altro colosso informatico. Semplificando molto, il percorso di identità aziendale di Apple si divide in tre parti:

  • Negli anni Ottanta Apple era un ‘genio incompreso’ e viveva la situazione con un certo understatement, quella ‘sprezzatura’ che la rendeva affascinante e che ha rinforzato il sentimento di casta dell’utenza Macintosh della prima ora.
  • Negli anni Novanta, con Think Different, Apple manifesta pubblicamente, pubblicitariamente (passatemi il termine), questa sua diversità, questo suo essere genio incompreso, presentando la categoria di personalità geniali e diverse che con la loro visione hanno contribuito a cambiare la storia — e implicitamente inserendosi nel gruppo, mettendosi sullo stesso piano.
  • Negli anni Duemila, Apple raccoglie i frutti della ricrescita, gode di un successo importante e di rinnovata autostima, e può permettersi di manifestare la sua diversità semplicemente facendo parlare i prodotti. La campagna unificante e generica — Get a Mac — può permettersi di essere quietamente ironica e brillante, senza bisogno di grandi dichiarazioni di intenti.

Che cosa è cambiato? Che forse Apple è ormai un ‘genio compreso’, la sua diversità è riconosciuta dal grande pubblico, e premiata perché è sinonimo di maggiore qualità e non è diversità fine a se stessa. Ciò che non è cambiato, checché ne dicano i nostalgici di quel Think Different del 1998, è la parte ‘geniale’ e la visione, che sono sempre nel DNA dell’azienda. Che sia tempo di una campagna nuova? Think Different: Reloaded? Chissà.

The Author

Writer. Translator. Mac consultant. Enthusiast photographer. • If you like what I write, please consider supporting my writing by purchasing my short stories, Minigrooves or by making a donation. Thank you!

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