La lettera aperta di Hockenberry a Steve Jobs

Mele e appunti

Ringtone apps: È di pochi giorni fa questa lettera aperta a Steve Jobs scritta da Craig Hockenberry, sviluppatore di note applicazioni per Mac e iPhone (Twitterrific e Frenzic, per esempio). Il succo del messaggio di Hockenberry a Jobs e ad Apple in generale è che, secondo Hockenberry, la miriade di applicazioni da 99 centesimi di dollaro (79 centesimi di Euro) presenti sull’App Store — quelle che lui chiama ‘ringtone apps’ — stiano compromettendo lo sviluppo di applicazioni più elaborate per la piattaforma iPhone, che richiedono più tempo per lo sviluppo, quindi un maggiore investimento di denaro, quindi un prezzo finale più elevato, quindi un rischio maggiore per lo sviluppatore indie medio (con ‘sviluppatore’ si intende sia una persona sola che un’entità composta da un piccolo gruppo di sviluppatori).

Vediamo i punti salienti della lettera di Hockenberry, nonché le mie perplessità a riguardo.

Caro Steve,

In qualità di sviluppatore iPhone presente sull’App Store sin dal suo lancio, sto cominciando a notare una tendenza per me preoccupante: molti sviluppatori stanno abbassando i prezzi al livello più basso possibile in modo da ottenere una posizione favorevole in iTunes. Questa proliferazione di “ringtone apps” da 99 centesimi sta avendo un impatto negativo sullo sviluppo dei nostri prodotti.

Entrambi i nostri prodotti, Frenzic e Twitterrific, hanno avuto un gran successo nell’App Store. Frenzic si trova al momento nella sezione “What’s Hot” e Twitterrific compare fra i primi posti delle applicazioni più vendute, sia gratis che a pagamento, per il 2008. Abbiamo anche vinto un ADA alla WWDC di quest’anno. Non è stato facile, ma abbiamo imparato che cosa serve per realizzare un prodotto eccellente per iPhone.

Il problema, ora, è di finanziare quei prodotti. 

Hockenberry prosegue dicendo che il suo team ha un sacco di idee per nuove applicazioni, ma preferiscono concentrarsi sulle più semplici, su prodotti da 99 centesimi che hanno vita relativamente corta e un target più allargato. Poi si mette a fare quattro conti su quanto può costare una nuova applicazione per iPhone e parla della stima dei rischi che sempre precede la realizzazione del progetto:

Sia gli sviluppatori che i designer costano all’incirca 150–200 dollari l’ora [Breve inciso personale: se mi facessi pagare 100–150 Euro l’ora per il mio lavoro — una cifra ragionevole per certi progetti di traduzione/revisione, e ragionevole in generale per sopravvivere in questo caro (leggi: costoso) mondo — probabilmente farei la fame. Fine dell’inciso]. Per un progetto di tre mesi-uomo, diciamo che i costi di sviluppo arrivano sugli 80.000 dollari. Per finire in pari dovremmo vendere 115.000 copie dell’applicazione. Una cosa non impossibile con un’idea buona di base e qualche settimana bene in vista su iTunes.

Ma che succede quando iniziamo a considerare progetti più articolati, che necessitano di 6 o anche 9 mesi-uomo? I costi di sviluppo salgono a 150.000 e 225.000 dollari rispettivamente, con la necessità di vendere 215.000 e 322.000 copie dell’applicazione per chiudere in pari. A meno di avere un titolo caldissimo, vendere 10–15.000 copie al giorno su un arco di alcune settimane è improbabile. Il rischio è troppo alto.

Aumentare il prezzo per coprire in parte quei costi rende difficile l’ascesa alle vette delle classifiche [delle applicazioni più vendute] (si è in competizione con moltissimi altri titoli della fascia più economica). Bisogna anche tener conto del fatto che la propria applicazione viene pubblicizzata per un periodo piuttosto breve, pertanto il grosso dei profitti deve arrivare durante il periodo promozionale, in cui l’applicazione è più in vista.

Di qui la nostra scelta per applicazioni semplici e a basso costo invece di prodotti complessi e costosi. Non è la strada che preferiamo, ma è quella fiscalmente più responsabile.

Fin qui direi che non ci sia granché da eccepire. Un poco più avanti, però, Hockenberry aggiunge:

La competizione non ci spaventa, anzi è per noi lo stimolo a migliorare i nostri prodotti e il nostro business. Ciò in cui speriamo è un modo per mostrarci superiori alla concorrenza quando facciamo bene il nostro lavoro, non solo quando offriamo il prezzo più basso.

Ma questo è compito dello sviluppatore, a mio giudizio, non dell’App Store. Ma ci torno su dopo. Hockenberry cerca di comprendere quali siano le ragioni di questa corsa ai 99 centesimi da parte degli altri sviluppatori:

Da quel che mi è dato vedere, è perché la gente compra i nostri prodotti a scatola chiusa. Vedo molti utenti lamentarsi di quanto sia “costosa” un’applicazione da 4,99 dollari, e che dovrebbe costare meno. […] L’unica giustificazione che posso trovare per un tale atteggiamento è che per valutare la qualità di un prodotto si ha spesso a disposizione solo una schermata di esempio dell’applicazione. E ci si può permettere di buttare via un dollaro per un’applicazione che sembra buona vista su iTunes ma che delude una volta installata.

I nostri prodotti sono una bellezza da usare: come ben sai, Steve, i clienti sono disposti a pagare un extra di fronte a un prodotto di qualità. Tale qualità si ottiene a un costo, che abbiamo intenzione di sostenere. Il problema è far capire alla gente che il nostro prodotto da 2,99 dollari vale davvero tre volte il prezzo di un software-spazzatura da 99 centesimi.

Hockenberry conclude:

Inoltre temo che questo livello di prezzo per le applicazioni possa limitare l’innovazione per questa piattaforma. Certo, applicazioni come Ocarina e Koi Pond sono molto belle e costano assai poco, ma quando vedremo l’utilità della piattaforma portata a un livello superiore, come quando sull’Apple ][ arrivarono i primi fogli di calcolo, e il desktop publishing apparve sul Macintosh? […]

Sarebbe bello che la killer app per iPhone costasse 99 centesimi, ma considerando le cifre viste prima, non mi sembra molto probabile.

Dove voglia arrivare Hockenberry con questo messaggio mi è chiaro fino a un certo punto. Mi pare evidente che il modello attuale dell’App Store non gli piaccia più di tanto. Dan Moren, nel suo articolo su Macworld.com sostiene che Hockenberry non stia facendo un discorso personale, ma che in sostanza parli in generale per tutti quegli sviluppatori indipendenti capaci di sfornare applicazioni di qualità per iPhone ma atterriti dai rischi intrinseci all’intraprendere uno sviluppo più complesso e più costoso.

Solo che a una prima lettura — e anche a una seconda lettura — della lettera aperta di Hockenberry, l’idea che uno si fa del suo messaggio è che si tratti sostanzialmente di un goffo appello a Steve Jobs affinché Apple gli risolva un problema che, a mio vedere, è tutto suo e degli sviluppatori della sua specie. Hockenberry scaglia il sasso e ritira la mano: si lamenta cioè di una situazione a lui sfavorevole ma non propone esplicitamente delle soluzioni. E a me non sta bene. Le soluzioni a cui sembra alludere (facendo uso di sottile retorica — almeno questa è la mia interpretazione) riguardano la possibilità di poter far provare le applicazioni agli utenti (con il sistema della versione trial, di prova, tanto usato nell’ambito dello shareware) in modo che si rendano conto della qualità — e fin qui d’accordo — ma anche di trovare un modo per cui Hockenberry & C. possano investire tempo e risorse per la creazione di applicazioni davvero innovative senza correre rischi. Se questo è il punto di Hockenberry, a me sembra una sciocchezza.

Io la vedo così. App Store non sarà un ecosistema perfetto, ma per come è attualmente congegnato possiamo dire che garantisca una certa democrazia e uguaglianza. Le nuove entrate, che siano applicazioni da 79 centesimi di Euro o da 2,59 Euro o da 7,99 Euro o ancor più care, hanno tutte la stessa promozione e lo stesso tempo di permanenza in vetrina. Poi la differenza la fanno in gran parte gli acquisti. Certo, a scatola chiusa uno è più propenso a spendere 0,79 Euro che 4,99, e quindi è più facile che un’applicazione a basso costo scali le vette della classifica per un mero discorso di quantità e non di qualità. Ma è proprio di fronte a questa situazione che uno sviluppatore — se è cosciente del suo potenziale e della qualità della sua applicazione — deve investire energie e risorse per promuovere l’applicazione anche e soprattutto al di fuori dell’App Store. Il mettersi a criticare il modello economico dell’App Store perché non viene incontro alle esigenze e non risolve i problemi promozionali di uno sviluppatore, è una posizione troppo comoda.

Sono sempre dell’idea che se qualcosa è di qualità, e viene efficacemente pubblicizzato, questo alla fine paga. Molte delle applicazioni che ho comprato per il mio iPhone costano più di 79 centesimi di Euro, e quasi nessuna di esse è stata trovata per caso navigando nell’App Store (che è un disastro da questo punto di vista). Il più delle volte è stata una segnalazione autorevole, una recensione, il frutto di un passaparola fra fonti fidate — e ho comprato sapendo già prima che l’applicazione difficilmente mi avrebbe deluso (vedi AirSharing, Briefcase, Tuner, CameraBag, PCalc, Deep Green, Evernote, Dice, Exposure, AP Mobile News, Remote, Classics, ecc.). Ho atteso di leggere qualche recensione prima di avventurarmi nell’acquisto di un dizionario inglese monolingua — ce ne sono diversi, e i grandi nomi come Oxford, Merriam-Webster, American Heritage, Collins viaggiano più o meno tutti sui 20 Euro. Dopo aver visto alcune critiche comparative, l’American Heritage (23,99 Euro) sembra essere il migliore. Sicuramente lo sceglierò a scapito di tanti altri dizionarietti da 3–5 Euro. E il suo periodo di esposizione in vetrina è già passato da un pezzo.

Gli sviluppatori come Hockenberry hanno tanti modi per far conoscere i frutti del proprio lavoro: i loro siti Web, i loro blog, il loro chiacchiericcio su Twitter, le raccomandazioni dei loro amici e dei loro pari, che a loro volta hanno siti Web e blog e chiacchierano su Twitter. Se è necessario far provare un’applicazione si può ricorrere a un sistema che già molti sfruttano: mettere una versione ‘Lite’ dell’applicazione, ovvero con un sottogruppo di funzionalità rispetto alla versione ‘Full’ o ‘Deluxe’, ma sufficienti a dare un’idea dell’utilità e della qualità dell’applicazione. Se non bastano le schermate d’esempio fornite da iTunes, lo sviluppatore (come ho già visto fare) può pubblicare un video dimostrativo sul suo sito/blog.

Il messaggio di Hockenberry, messo giù così, fa sembrare la sua posizione un tantino contraddittoria. Da un lato egli trasmette un’immagine molto sicura di sé, e sembra suggerire che lui e il suo team siano certamente in grado di cimentarsi nella realizzazione della Grande Applicazione Innovativa che rivoluzionerà la piattaforma iPhone; dall’altro comunica insicurezza e paura di affrontare i rischi di una simile impresa, sperando magari che Apple modifichi l’App Store in modo tale da offrire maggior risalto a lui e a quelli come lui. Come, di grazia, mi piacerebbe saperlo: creando una nuova categoria “Applicazioni Premium da 50 Euro ma toste e innovative”? Facendo promozioni speciali per Applicazioni Create Da Gente In Gamba? Suvvia.

E poi, vada piano Hockenberry nel fare di ogni erba un fascio: molte applicazioni da 0,79 Euro (o addirittura gratis) non sono affatto software-spazzatura: Shazam è gratis ma è ben fatto, come del resto AroundMe o la versione free di Instapaper. Converter (prodotto da Architechies) costa 0,79 Euro ed è una delle migliori utility di conversione di unità di misura. Viene costantemente aggiornata e l’interfaccia grafica è molto curata.

Uno dei principali propulsori dell’innovazione è il rischio. Se osserviamo la storia dei prodotti più rivoluzionari, non solo in ambito informatico, vediamo che spessissimo i loro creatori sono andati incontro a rischi molto grandi, primo fra tutti quello del fiasco più totale. Il signor Volskwagen mica sapeva che avrebbe creato un’icona con il Beetle (Maggiolino e Maggiolone): era un’utilitaria che rompeva molti schemi e tradizioni dell’epoca, e avrebbe potuto benissimo non piacere al grande pubblico. Ma senza uscire troppo dal seminato, la storia dell’informatica è zeppa di casi emblematici. Lo stesso Macintosh, il primo modello, ha rischiato di essere un flop ancor più catastrofico del Lisa.

Con il software è la stessa cosa. Hockenberry e molti come lui sono principalmente sviluppatori di software Mac che, se vogliamo, è potenzialmente più difficile da pubblicizzare e diffondere, e la cui vendita non è immediata come sull’App Store. Eppure davanti a un programma per Mac di qualità, pubblicizzato e recensito positivamente, l’utente giudizioso lo acquista e il prezzo diventa un fattore secondario. Non vedo perché non debba essere lo stesso per un’applicazione per iPhone.

Concludo facendo notare come questa lettera aperta di Hockenberry possa rivelarsi addirittura un’arma a doppio taglio: i potenziali acquirenti dei suoi programmi che hanno frainteso il suo messaggio (pensando magari che si tratti di un espediente per attirare attenzione) o che non si trovano d’accordo con lui (come il sottoscritto), potrebbero decidere di snobbare del tutto le sue applicazioni presenti e future, per una questione di principio. Lo so, è un caso limite, ma non mi sento di scartarlo a priori.

The Author

Writer. Translator. Mac consultant. Enthusiast photographer. • If you like what I write, please consider supporting my writing by purchasing my short stories, Minigrooves or by making a donation. Thank you!

6 Comments

Comments are closed.