In retrospettiva

Mele e appunti

Nel 2003, Steve Jobs fu intervistato da Jeff Goodell di Rolling Stone. Il nascente iTunes Music Store stava cominciando ad avere successo, e ricordo di aver letto quell’intervista con interesse. Oggi è risaltata fuori, menzionata in un articolo di Greg Sandoval, il quale fa notare come Jobs avesse già le idee molto chiare su vari argomenti: l’industria musicale, il DRM, la direzione in cui muovere Apple in tutto questo.

L’intervista originale si può trovare a questo link. Ho deciso di tradurne alcuni stralci salienti.

Di seguito, Jobs parla di come Apple ha avvicinato le etichette discografiche e del conseguente scontro di mentalità. Si noti come Jobs abbia in mano la strategia vincente (che culmina nell’iTunes Music Store) fin dall’inizio:

Come hanno reagito le aziende discografiche quando le avvicinò per la prima volta con la sua proposta di collaborazione con Apple?

Le compagnie discografiche hanno molte persone intelligenti. Il problema è che non sono pratiche di tecnologia. Le buone case discografiche sono in grado di fare una cosa incredibile: hanno persone che riescono a scegliere il candidato su 5.000 che avrà successo. E non hanno a disposizione molte informazioni per fare tale scelta: è un procedimento intuitivo. E le case discografiche migliori sanno come farlo con un tasso di successo ragionevolmente alto.

Credo che sia una buona cosa. Il problema è che non ha nulla a che vedere con la tecnologia. Perciò, quando arrivò Internet, quando arrivò Napster, questa gente non sapeva che pesci pigliare. Molte di queste persone non usavano computer né l’email; e per anni non hanno capito esattamente che cosa fosse Napster. Furono molto lenti a reagire. Anzi, in un certo senso non hanno ancora reagito. E quindi sono piuttosto vulnerabili quando vengono avvicinati da ‘esperti’ che sostengono che soluzioni tecniche risolveranno il problema, mentre in realtà non è vero.

A causa della loro ignoranza tecnica.

A causa della loro innocenza tecnica, mi sento di dire. Quando abbiamo iniziato a parlare con queste aziende discografiche… beh, ne è passato del tempo. Ci abbiamo messo 18 mesi. All’inizio abbiamo detto loro: nessuna di queste tecnologie di cui state parlando sarà in grado di funzionare. Abbiamo dei laureati qui che conoscono l’argomento a menadito, e non crediamo che sia possibile proteggere i contenuti digitali.

Naturalmente il furto di musica non è nulla di nuovo. Non ascoltava i bootleg di Bob Dylan?

Ovviamente. La novità oggi è questo sistema di distribuzione incredibilmente efficace di proprietà intellettuale rubata che si chiama Internet. E nessuno chiuderà Internet. E basta che un’unica copia rubata arrivi su Internet. E il modo in cui lo abbiamo spiegato alle case discografiche è stato: forza una serratura e aprirai ogni porta. Basta una sola persona che forzi la serratura. Nel peggiore dei casi uno prende gli output analogici del proprio riproduttore di CD, li registra nuovamente e li sbatte su Internet. Non potrete mai fermarlo. Quindi quel che dovete fare e competere con tutto questo.

All’inizio ci hanno sbattuti fuori. Ma siamo tornati più e più volte. La prima casa discografica a comprendere davvero il nostro discorso fu Warner. […] La seconda fu Universal. Poi iniziammo a fare progressi. Credo perché ci mettemmo a fare previsioni.

Abbiamo detto: questi servizi musicali su abbonamento che vengono forniti oggi sono destinati a fallire. Music Net fallirà, Press Play fallirà. Perché? Perché la gente non vuole comprare la musica per abbonamento. Prima acquistavano i 45 giri, poi gli LP, poi le musicassette, poi gli 8 tracce, poi i CD. La gente vuole comprare quel che scarica, vuole possedere la propria musica. Non si può noleggiare la musica e poi, un giorno, se si smette di pagare, tutta la musica noleggiata se ne va.

E poi, 10 dollari al mese sono 120 dollari l’anno. E 1.200 dollari in dieci anni. È una bella quantità di denaro che spendo per ascoltare le canzoni che amo. È più economico acquistare, ed è questo che farà la gente.

Ma le case discografiche non la vedevano così. C’erano persone dedicate allo sviluppo del business che continuavano a indicare AOL come il modello da seguire e dicevano: no, vogliamo quello, vogliamo un business basato sugli abbonamenti. La nostra risposta: non funzionerà.

Lentamente ma inesorabilmente, quando tali modelli non riuscirono ad avere successo, cominciammo ad acquisire un po’ di credibilità con queste persone. E inziarono a dirci: sapete, avete ragione sull’argomento — diteci di più.

[…]

Più tardi l’industria musicale ha minacciato di sbattere in galera chiunque fosse stato scoperto a scaricare musica illegalmente. Una mossa brillante, vero?

Beh, ma li capisco. Apple possiede una gran quantità di proprietà intellettuale. Abbiamo detto anche questo alle case discografiche: è molto seccante quando la gente ruba il nostro software. Per cui penso che sia nei loro diritti cercare di impedire che la gente rubi i loro prodotti.

La nostra posizione, fin dal principio, era che l’80% delle persone che rubano musica online non vogliono realmente essere dei ladri. Ma quello è un modo molto attraente di ottenere musica: è gratificazione istantanea. Non occorre recarsi al negozio di dischi; la musica è già digitalizzata, per cui non serve nemmeno rippare il CD. È così attraente che le persone sono disposte a diventare ladri pur di ottenere la musica con tale facilità. E dire loro che non dovrebbero comportarsi da ladri, senza un’alternativa legale che offra gli stessi benefici [dello scaricare musica illegalmente], suona un po’ vuoto. Abbiamo detto alle case discografiche: non sappiamo come possiate convincere gli utenti a non comportarsi da ladri, a meno che non siate in grado di offrire loro la carota e non solo il bastone. E la carota è questa: offriremo agli utenti un’esperienza migliore, e costerà loro soltanto un dollaro a canzone.

Finora avete venduto circa 20 milioni di brani su iTunes: sembra una bella cifra, finché non ci rende conto che in un anno la quantità di file musicali scambiati su Internet arriva a 35 miliardi.

Beh, non è necessario per noi arrivare così lontano. Mi pare che in un anno negli Stati Uniti si vendano circa 800 milioni di CD. Sono circa 10 miliardi di brani, giusto? Circa 10 miliardi di brani venduti legalmente negli USA. I nostri prossimi obiettivi sono di arrivare a 100 milioni di brani in un anno, poi 250 milioni, poi mezzo miliardo e infine un miliardo. E per arrivare a quel traguardo ci vorrà del tempo. Ma possiamo già vedere un percorso in cui la gente arriverà ad acquistare online un miliardo di brani all’anno. Da noi, sull’iTunes Music Store, e da altri. E sarà il 10% della musica che viene venduta oggi in USA. Arrivati a quel punto si continuerà a crescere. E magari un giorno tutta la musica verrà distribuita online. Perché Internet è stata fatta per distribuire musica, e Napster lo ha dimostrato.

David Bowie ha previsto che, a causa di Internet e della pirateria, il copyright morirà entro dieci anni. Lei è d’accordo?

No. Se scompare il copyright, se scompaiono i brevetti, se la protezione della proprietà intellettuale viene erosa, allora le persone smetteranno di investire. E questo fa male a tutti. Le persone devono avere l’incentivo per cui se investono e va tutto bene possano riceverne un guadagno adeguato. Altrimenti smetteranno di investire. […] Noi vogliamo offrire un’alternativa legale. E vogliamo renderla così attraente che tutti quegli utenti che vogliono essere onesti per davvero, e non vogliono rubare — ma che finora non hanno avuto altra scelta per ottenere online la loro musica — potranno avere finalmente quella scelta. E crediamo che, col tempo, la maggioranza delle persone che rubano musica sceglieranno di non farlo se si trovano di fronte un’alternativa economica e ragionevole. Siamo ottimisti, lo siamo sempre stati.

[…]

Altrettanto interessante è il punto di vista di Jobs sull’industria cinematografica e sulle sue differenze con l’industria musicale:

Molte persone che lavorano nell’industria cinematografica hanno visto quel che è accaduto all’industria musicale e credono che poi toccherà a loro. Lei come la vede?

È un problema. Ma i film sono molto diversi dalla musica. Anzitutto, sono centinaia di volte più grandi. Per cui, in paesi come gli Stati Uniti in cui la banda larga non è così evoluta, ci si mette un’eternità a scaricare una versione ad alta qualità di un film. E ricordiamoci che lo standard qualitativo verrà innalzato nel giro di quattro anni, quando avremo sul mercato i DVD ad alta definizione. Ciò farà aumentare i tempi di scaricamento di altre dieci volte. Secondariamente, i film non sono scomponibili in brani (come un album) facili da scaricare. Cinque minuti di un film non sono molto utili. Uno vuole l’intero film. In terzo luogo, vi è sempre stato un solo modo di comprare musica: su CD. Ora guardiamo i vari modi in cui è possibile acquistare legalmente un film: lo si può vedere al cinema, lo si può comprare su videocassetta o su DVD. Ma lo si può anche noleggiare presso Blockbuster o Netflix. Lo si può vedere con la pay-per-view. Lo si può vedere via cavo. Vi sono svariate maniere di ottenere legalmente un film. C’era solo un modo per ottenere legalmente la musica. È una differenza molto grande. Il sistema di distribuzione è molto più evoluto nell’industria cinematografica di quanto lo sia mai stato nell’industria musicale.

[…]

Verso la fine dell’intervista, l’attenzione ritorna nuovamente su Apple, e viene tirata in ballo l’annosa questione della ‘quota di mercato’. In passato ho cercato anch’io di spiegare — in conversazioni e per iscritto — che non bisogna osservare la quota assoluta e saltare alle conclusioni, ma occorre prima analizzare in quali mercati Apple si trova in competizione, e poi vedere qual è la vera quota di mercato di Apple in tali mercati. E le percentuali sono molto diverse. Ma Jobs lo spiega forse più chiaramente e sinteticamente:

Ovviamente la musica è un fattore importante per il futuro di Apple. Ma gli scettici hanno da sempre visto Apple come poco più di un innovativo laboratorio di Ricerca & Sviluppo per l’industria informatica. Apple innova, tutti saltano sul treno e ci guadagnano. Come sopravvive Apple in un’industria che sta diventando sempre più consolidata e matura?

Beh, anzitutto non credo che il ritratto che lei ha fatto della situazione sia poi così male. In questo momento, nel mercato del personal computer — nei termini di aziende che vendono personal computer — tutti stanno perdendo un sacco di soldi, tranne due compagnie.

Hewlett-Packard ha appena annunciato i suoi risultati, e ha appena perso 56 milioni di dollari nel mercato PC in un trimestre. Sono più di 200 milioni di dollari in un anno. Sony sta perdendo molto denaro nel mercato PC; stesso dicasi per Gateway, IBM, Toshiba. Tutti stanno perdendo soldi in questo business, a eccezione di Dell, che sta guadagnando un bel po’ di denaro, e Apple, che sta guadagnando abbastanza denaro.

Dell fa soldi perché sta portando via quote di mercato alla concorrenza, dato che tutti loro vendono lo stesso prodotto. Noi stiamo facendo un po’ di soldi perché stiamo innovando. […]

Eppure la quota di mercato di Apple sembra ferma al 5% circa negli USA e al 3% nel resto del mondo.

Quindi la nostra quota di mercato è ancora più grande di quella di BMW e Mercedes nell’industria dell’automobile. Eppure nessuno pensa che BMW e Mercedes spariranno, e nessuno pensa che si trovino in una posizione svantaggiata, perché quella è la loro quota di mercato. Anzi, sono entrambi marchi e prodotti altamente desiderabili.

Ma è un’analogia appropriata? Mercedes non dipende da una massa critica di sviluppatori software per creare un prodotto utile.

Solo che noi, adesso, quella massa critica l’abbiamo. In altre parole, la cosa che occorre capire della famigerata quota di mercato di Apple è che se si guarda con più attenzione, Apple non vende computer in massa perché arrivino su tutte le scrivanie di tutte le aziende. Pertanto, eliminato questo particolare, nei mercati rimanenti la nostra quota di mercato è molto più alta. La nostra quota di mercato consumer è raddoppiata negli ultimi anni — raddoppiata. Analogamente la nostra quota di mercato nel settore creativo-professionale supera il 50%.

Perciò, quando osserviamo i mercati in cui Apple compete, la nostra quota di mercato non è il 5% o il 3%, ma va dal 10% al 60%. In certi casi raggiunge persino il 90%. È questo il mito della quota di mercato. Se buttiamo dentro le enormi quantità di PC vendute alle aziende, ciò non potrà che diluire la nostra quota di mercato. Ma si tratta di un mercato in cui noi non competiamo. È come dire: aggiungiamo i computer venduti, che so, su Nettuno.

Si immagina un tempo in cui una versione di iPod diventerà per Apple più importante del Mac stesso?

Apple ha una serie di eccellenze: produciamo, credo, un design hardware molto buono; produciamo un ottimo design industriale; e scriviamo ottimo software di sistema e applicazioni. E siamo davvero bravi a racchiudere tutti questi elementi in un unico prodotto. Siamo gli unici rimasti a farlo nell’industria dei computer. E siamo davvero gli unici nell’industria dell’elettronica di consumo a sviluppare a fondo il software per i prodotti consumer. Pertanto tutte quelle qualità talentuose di Apple possono essere impiegate per realizzare personal computer, ma anche per realizzare prodotti come gli iPod. Ora stiamo producendo entrambe le cose, e vedremo che cosa ci riserva il futuro. […] 

The Author

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