Sulla preservazione dei dati

Mele e appunti

Questo articolo trova la sua genesi da una serie di input disordinati raccolti di recente. Non sto a elencarli tutti in dettaglio, ma ne riassumerò alcuni.

1. Un paio di giorni fa mi sono riletto questo vecchio articolo di Mark Pilgrim, del giugno 2006. Nel luglio 2007 menzionai questo articolo in un mio breve post. Riporto nuovamente il passaggio che contestualizzava il riferimento:

Per chi non frequenta il sito/weblog di Pilgrim, occorre spiegare come il nostro stia portando avanti una campagna personale volta all’utilizzo sempre più esclusivo di sistemi e soluzioni open source. Pilgrim ha più volte criticato Apple in quanto, nel suo (più o meno) piccolo, anche Apple implementa soluzioni proprietarie che “obbligano” l’utente Mac a rimanere “legato” ad Apple per la conservazione dei propri dati.

Ricordo di aver letto quanto scritto da Pilgrim con un filo di sufficienza, soprattutto quando dice Ora sto creando cose che voglio essere in grado di leggere, ascoltare, guardare, cercare e filtrare da qui a 50 anni. Ricordo di aver pensato ‘Auguri vivissimi’. Non perché ritengo che il suo sia un proposito sciocco o velleitario, semplicemente perché ritengo che sia un proposito difficilmente attuabile, non importa in che misura uno abbracci l’open source. Su questo ritorno più avanti.

2. Nel mio studio ho ancora in mostra una bella cartolina che presi a Milano nel 2004 quando visitai l’esposizione che celebrava i 50 anni dell’Alfa Romeo “Giulietta”. Tempo fa, quando mi occupai di effettuare un backup accurato di tutte le foto digitali che ho scattato dal 2002 in poi, notai una ‘falla temporale’ nel periodo maggio-luglio 2004, e infatti non riuscivo a trovare da nessuna parte le foto che avevo scattato all’esposizione sulla Giulietta. Un peccato, perché fotografai parecchie automobili Alfa Romeo storiche, e sono un po’ un patito di auto d’epoca. Dopo molto cercare fra CD di backup parziali e provvisori, mi sono ricordato che in quel periodo il disco rigido del mio PowerBook si guastò. Riuscii a ricuperare informazioni importanti (personali e di lavoro), ma evidentemente un folto gruppo di foto digitali scattate nell’arco di tre mesi erano andate perdute senza rimedio. Ho pensato ai rullini di foto che mio padre scattò alle prove del Gran Premio di Monza del 1978: lui possiede ancora i negativi, ben conservati in un’apposita valigetta. Quelle foto, scattate 31 anni fa, sono ristampabili e nuovamente scansionabili oggi. Sono rimaste assolutamente accessibili come lo erano il giorno dopo lo sviluppo.

3. Oggi leggo un commento sul blog di Lucio, rilevante (per me) il punto in cui ‘mAx’ dice: Chiediamo ad un utente WIN se è riuscito a conservare e riesce a visionare i file creati 9 anni fa sul suo attuale PC??.

Come accennavo all’inizio, gli input sono molti di più (ultimissimo in ordine cronologico: una serie di file di sottotitoli con estensione .srt perfettamente leggibili da VLC su Mac ma non da VLC su Windows Vista), ma gli ingredienti della mia riflessione sono sostanzialmente contenuti nei tre punti qui elencati. Partirò dall’ultimo.

Non vi è mai stato un periodo nella mia vita informatica in cui ho utilizzato esclusivamente Windows, ma negli anni più prolifici della mia scrittura creativa l’unico sistema completo (computer più stampante laser) che avevo in casa era un PC, un IBM compatibile con processore Intel 80386DX a 40 MHz. La stampante, un’ottima HP LaserJet 4L. Il sistema, acquistato 15–16 anni fa, era costato circa 3 milioni e mezzo di Lire. Evidente, quindi, che fosse nelle mie intenzioni farlo durare il più a lungo possibile.

Da ‘ex-utente Windows’ posso rispondere a mAx e dire: sì, sono riuscito a conservare e ad accedere a file creati non 9, ma almeno 15 anni fa. I file — incredibile dictu — risiedono tuttora su più di 300 floppy disk gelosamente conservati e protetti in tutto questo tempo. Non ho utilizzato un computer attualissimo per accedervi, lo ammetto, ho dovuto ricorrere a un PC portatile con qualche anno sulle spalle (e soprattutto ancora dotato di un lettore floppy), ma posso dire che file creati in Word 2.0 sotto Windows 3.1 sono stati aperti e letti da Word 2003 sotto Windows XP Professional. Nessuna perdita di dati o formattazioni, se si esclude la mancanza di certi font usati nel 1993 (problema risolvibile installando quei font sul PC più moderno — li ho ancora tutti, conservati in una quarantina di floppy).

È però una cosiddetta vittoria di Pirro. Nel 1993–1995 creai moltissimo materiale (piccole raccolte di poesie, progetti per libri altrui, materiale pubblicitario, opuscoli, guide, ecc.) utilizzando Microsoft Publisher 2.0 per Windows 3.1. (Sì, vi vedo sorridere. Mi sono fatto le ossa su Publisher, sono arrivato a conoscere quel programma come il palmo della mia mano, ho appreso i primi rudimenti di book designing con quel sistema e quel software, e non me ne vergogno. Publisher 2.0 e Word 2.0, a quell’epoca e su quella piattaforma, erano ottimi programmi, robusti e stabili. Nella mia esperienza, Word 2003, Word 2007, sono andati in crash in un pomeriggio più volte che Word 2.0 in cinque anni).

Ora l’esistenza di quel materiale è appesa a un filo. Il formato Microsoft Publisher è proprietario e, che io sappia, non esiste un software in grado di aprire un file .pub in modo trasparente. Per accedere a quei file e a quei lavori devo utilizzare una certa combinazione di hardware e software, più moderni ma ancora ‘retrocompatibili’, e da lì tentare un’esportazione verso formati più accessibili e duraturi, anche se dopo alcune prove è chiaro come sia più semplice conservare i contenuti che non la forma e le formattazioni — che per un progetto librario, un opuscolo, una guida, non ha completamente senso.

Il primo passo per mettersi sulla buona strada verso la preservazione dei propri dati è cercare di essere il più lungimiranti possibile all’atto stesso della creazione di quei dati. Mai pensare al presente soltanto, mai pensare Adesso creo. Di tutto il resto mi occuperò in un secondo momento. Per non perdere tutto il materiale da me creato nel 1993–1995 con quella workstation PC oggi sono costretto a mantenere una analoga workstation che supporti le tecnologie hardware vigenti in quegli anni (lettore di floppy, porta parallela per collegare la stampante HP — sì, sempre quella, ancora funzionante), e dei software che mi permettano di leggere tali informazioni. E non è tutto: per ‘tramandare’ quei dati e fare in modo che siano ancora accessibili fra 5–10 anni, è necessario che l’hardware sia sufficientemente moderno per esportare i dati in altri formati o per scriverli su altri supporti (CD e DVD, per esempio). Altrimenti tutti quei dati saranno presto illeggibili.

Quando producevo quei lavori, ancora reduce della spesa per il PC prima e per la stampante laser poi, ragionavo in modo miope: siccome quella workstation ‘doveva durare’, mentre creavo quel materiale non mi preoccupavo della sua accessibilità di lì a pochi anni. Una parte di me dava per scontato che avrei sempre trovato un modo per cavarmela, e tiravo avanti. Ma è bastato cercare di passare quei file su piattaforma Mac nel 1996 per scontrarmi con problemi di incompatibilità e di illeggibilità.

Oggi avverto le preoccupazioni di Mark Pilgrim in maniera più acuta. Rispetto al 1993, l’informatica ha fatto passi in avanti inconcepibili, eppure la persistenza dei dati e la loro potenziale volatilità rimangono un problema. Negli anni ’80 e ’90 una fonte magnetica poteva cancellare floppy e nastri e tutto era perduto. Oggi si salta un backup e/o si guasta un disco rigido e la situazione può essere ugualmente disperata. Il problema dell’accessibilità dei dati (e quindi della loro preservazione) abbraccia più livelli. Devono essere copiati su supporti sempre attuali o quantomeno leggibili da dispositivi con un minimo di compatibilità all’indietro. Devono essere duplicati per sicurezza su più supporti. Devono essere in formati il più possibile ‘aperti’ e comprensibili dalle applicazioni oggi in uso. O meglio: possibilmente dalle applicazioni in uso domani. Per non parlare della compatibilità fra piattaforme differenti.

Non si tratta di giocare agli indovini ma, come dicevo, di cercare di evitare il rischio miopia. Io mi sono sempre occupato di testi, e questa è stata una fortuna, in retrospettiva. Il testo puro, non formattato, è leggibile da un centinaio di applicazioni di qualsiasi epoca e piattaforma. In altri ambiti — audio, video, grafica, DTP — le insidie aumentano. Con applicazioni che registrano file in formati proprietari, le insidie aumentano, e quel che può essere normale amministrazione oggi diventa quasi sicuramente un bel grattacapo domani.

Quando dicevo all’inizio che l’approccio di Pilgrim nel rivolgersi all’open source è lodevole ma non sufficiente a garantire la leggibilità dei suoi dati da qui a 50 anni, non intendevo sottovalutare l’open source (è grazie a progetti open source che si riesce, come nel caso dello scanner di Lucio, a interfacciare tecnologie datate con strumenti attuali). Intendevo semplicemente far notare come le variabili in gioco siano comunque molte. Esempio: supponiamo di avere una serie di file .qxd creati da QuarkXPress 3.3 su un Macintosh con System 7.1 nel 1995 e registrati su un disco magneto-ottico. Per poter leggere quei file nel 2009 da un Macintosh con processore Intel e con l’ultima versione di Mac OS X è necessario avere un lettore compatibile con il supporto in cui sono stati archiviati; una versione del programma che ha generato i file abbastanza moderna da girare sui Mac di oggi e che abbia la capacità di leggere i file creati da una versione così datata dello stesso programma; oppure un’altra applicazione in grado di interpretare quei file in maniera sufficientemente affidabile. Magari si possiede il dispositivo per leggere fisicamente i dati, ma non il programma per interpretarli. O viceversa. Questo per limitarmi alla punta dell’iceberg.

Ammetto che l’esempio di prima possa essere una situazione-limite, ma non è del tutto improbabile. Gli utenti come me e voi che mi leggete ormai ben conoscono un altro caposaldo per una migrazione e conservazione (abbastanza) efficiente dei dati: il backup e la loro copia continua su supporti sempre attuali, la ridondanza dei luoghi e possibilmente dei formati dei dati (di quella fattura fatta in Pages o Numbers, meglio avere anche una copia in PDF, sai mai). Ma quando mi capitano in mano i negativi fotografici, miei e quelli di mio padre o mio nonno; quando sfoglio libri antichi, oppure solo racconti da me dattiloscritti una ventina d’anni fa, mi vien da pensare a una cosa di cui ho già parlato qui tempo addietro. Penso che un bel traguardo tecnologico nella preservazione dei dati sarebbe la creazione di un supporto duraturo che non ci costringa a fare i ‘data-sitter’, che non ci obblighi alla costante manutenzione delle informazioni create. Che elimini (almeno in parte) la costante preoccupazione per la salvaguardia e la compatibilità di file e informazioni.

Ovviamente non sarebbe una panacea e risolverebbe il lato hardware della questione. Il lato software rimarrebbe un ostacolo interessante. È forse anche per questo che sono vent’anni che la metafora dell’interfaccia dei sistemi operativi è ferma alla ‘scrivania’, ai ‘file’ e ‘cartelle’, e così via? La ‘paura del nuovo’ in quest’ambito è forse quella di creare una metafora così innovativa da tagliare irrimediabilmente i ponti con il passato, lasciando i vecchi archivi sull’altra sponda del guado? Ma è un’altra storia, che affronterò presto in questa sede.

Lo strano caso dei feed RSS in Mail

Mele e appunti

Scrivo questo post senza aver nulla di risolutivo in mano — sono più che altro appunti di osservazione di un fenomeno. La considerazione che viene spontaneo fare è presto formulata: nella prossima versione di Mail, o migliora la gestione dei feed RSS, o sarebbe preferibile eliminarla del tutto.

Sono dell’idea che un programma debba saper svolgere al meglio la funzione primaria per cui è stato ideato. Un browser deve permettere una navigazione soddisfacente del Web di oggi, un client email deve gestire la posta elettronica, un word processor deve permettere un’efficiente creazione e gestione di documenti di testo. Il software in circolazione è pieno di ottimi e pessimi esempi, ma senza divagare troppo e tornando a Mail, più di una persona ha criticato l’arricchimento di funzioni di Mail 3. Un’applicazione di posta elettronica non dovrebbe disperdersi in gestioni di ‘note’, ‘attività’, né indulgere nella composizione di messaggi con tanto di modelli preconfezionati, manco fosse Pages o un altro programma similare con cui realizzare inviti, striscioni, newsletter, ecc.

In linea di massima sono d’accordo con questa posizione, anche se a onore di Mail va detto che le funzioni aggiunte, se a uno non servono, possono starsene abbastanza nascoste. L’interfaccia utente non ne ha risentito e non è stata appesantita in modo particolare.

Per quanto riguarda i feed RSS in Mail, ritengo invece che sia stata una buona idea. L’idea di trattarli come messaggi, nella visualizzazione e nella gestione, è efficace. Io tengo in Mail i quattro feed che seguo più assiduamente. Quei quattro feed sono impostati, insieme ad altri, anche in Safari sullo stesso Mac, e in NetNewsWire sul Cube che ho a fianco. Averli su un altro computer e su un altro monitor è comodo per la lettura. Averli in Mail è comodo per l’interazione (inoltrare un buon articolo a terze persone, copiare il link dell’articolo per utilizzarlo sul mio blog, e così via). Un’altra comodità: avendo impostato nelle preferenze di Mail la rimozione manuale degli articoli dei feed RSS, significa avere un archivio dei feed che va piuttosto indietro nel tempo (nel mio caso, primi di novembre 2007, quando attivai i feed in Mail) e spesso mi è utile cercare vecchi post o riferimenti. Con Spotlight in Mail è molto più veloce che, per esempio, andare su Macworld.com o Daring Fireball e usare i loro motori di ricerca.

Purtroppo ho notato che, con l’andar del tempo e, forse, con successivi aggiornamenti di pezzi del sistema, l’affidabilità dei feed RSS in Mail è andata progressivamente degenerando. Vado essenzialmente a memoria, per cui potrei dire delle castronerie, ma all’inizio i feed in Mail venivano gestiti indipendentemente da altre applicazioni con funzione analoga. Nelle preferenze del mio sistema, Safari è identificato come il lettore di feed principale, e la cartella con i miei feed è sempre stata aggiornata in Safari senza perdita di informazioni. Inizialmente anche in Mail, e i feed in entrambi i programmi hanno proceduto ben sincronizzati per diversi mesi. Poi gli articoli contrassegnati come letti in Mail venivano mostrati come letti anche in Safari, e viceversa. Una finezza gradevole.

Poi gli articoli scaricati nel feed reader in Safari non venivano scaricati dal feed reader in Mail, ma non viceversa. Forzando l’aggiornamento dei feed in Mail spesso non accadeva nulla. Poi magari durante l’aggiornamento automatico seguente venivano ripescati tre o quattro articoli vecchi non precedentemente scaricati. Poi tutto sembrava tornare a funzionare come prima. Questo senza modificare alcuna impostazione, né in Mail, né in Safari. Poi Mail ha smesso di aggiornare un feed per alcuni giorni. Facendo Ctrl-Clic sul feed e selezionando ‘Archivia feed’, quindi reimpostando il feed, la situazione sembrava risolta, seppur a scapito dell’integrità dell’archivio di articoli. Tale situazione ha retto fino a qualche giorno fa, poi Mail ha ricominciato a fare i capricci con l’aggiornamento dei feed, perdendo per strada svariati articoli.

A questo punto, per provare a ricuperare qualcosa, mi è venuto in mente un espediente al quale avrei dovuto pensare prima — forse non sarebbe stato necessario archiviare i feed. Dato che Mail tratta i feed e le relative ‘caselle’ alla stessa stregua di messaggi email, ho selezionato la casella di feed problematica e ho fatto Casella > Ricostruisci. Mail ha diligentemente svuotato e ripopolato la casella, senza alcuna aggiunta apparente. Ma, chiuso e rilanciato, Mail aggiornava correttamente il feed ‘malato’, andando a ripescare gli articoli non caricati degli ultimi sette giorni, compresi alcuni doppioni. Cancellati i doppioni, tutto tornava alla normalità. Fino a stamattina. Su NetNewsWire, tutto aggiornato correttamente. Su Safari, idem. Mail, invece, non ne vuole sapere.

Visto che per il resto Mail funziona ottimamente, non vale la pena cancellare preferenze né altro per quattro feed in croce. Ma è notevolmente seccante l’apparente casualità e incoerenza del comportamento di Mail con i feed. È una situazione che prima è degenerata, poi è entrata in una fase di intermittenza: ora i feed funzionano, ora no. Niente di serio, intendiamoci, non casca il mondo. Ma sono proprio piccoli fenomeni come questo che più stuzzicano la mia curiosità. Idee, suggerimenti? Sono tutto orecchie (occhi).

A quick note on my relationship with Neal Stephenson’s work

Et Cetera

Perhaps two years ago, I bought Quicksilver, the first of the three volumes of Stephenson’s The Baroque Cycle, and considering the vastness of the world I was entering (more than 900 pages per volume), I decided for a calm and slow approach. No method planned, though. I am ever so often stymied by method(s) when I write, I really don’t want any when I read. So the plan was simply Read as many pages you like when you can. The pace has admittedly been intermittent, with high and low tides in reading, almost always depending on my truly-free time and general disposition.

Now I’ve reached more or less the half of Quicksilver, and I’ve resumed the reading after a four-month pause. What’s amazing is that I remember exactly what was happening before I stopped last December. And I still have a pretty vivid idea of what I’ve been reading so far. I usually have a good memory but it can’t be just that. It’s surely also due to the power of Stephenson’s writing, his ability to draw detailed scenes and passages in such a way that they’re easily retained and you can reunite with the narration anytime as if you just left it the day before. As a writer, this is certainly something to aspire to.

Quando resettare la PRAM e il Power Manager

Mele e appunti

Ogni tanto, MacFixIt se ne esce con qualche contributo interessante, come questo. Avevo intenzione di scrivere un articolo molto simile, andando a memoria e pescando nella Knowledge Base di Apple. Questo di MacFixIt mi pare un ottimo riassunto, anche perché prende in esame i Mac con processore PPC e Intel; non avendo ancora una buona pratica con questi ultimi, di certo avrei tralasciato qualcosa. Ho quindi deciso di tradurlo integralmente. Aggiungo anche il link all’articolo originale, anche se non credo servirà a molto se MacFixIt continua con la sua politica di rendere i contributi solo per abbonati dopo alcuni giorni dalla pubblicazione.

Ecco la traduzione dell’articolo. I miei commenti e aggiunte sono in corsivo fra parentesi quadre.

La PRAM

La RAM Parametrica è una piccola porzione di RAM ‘non volatile’ (NVRAM) che mantiene una serie di impostazioni utilizzabili dal sistema prima che il sistema operativo venga caricato; tali impostazioni vengono mantenute anche quando si spegne il Mac. Vi è una piccola batteria sulla scheda madre del computer che aiuta a mantenere le impostazioni della PRAM quando il Mac è spento.

Quando i Mac presentano dei problemi, in moltissime occasioni [fin dai tempi del Mac OS classico] il consiglio più frequente è stato quello di ‘resettare la PRAM’. In certe situazioni tale manovra può sortire degli effetti e anche risolvere l’inghippo, ma nella maggior parte dei casi si tratta di un consiglio buttato lì alla cieca. […] Non è una procedura necessariamente dannosa per il Mac, ma può risultare in una variazione delle impostazioni inaspettata (cambio del volume di boot, volume degli altoparlanti che ritorna ai valori di default). Se i vostri problemi rientrano nell’elenco seguente, allora un reset della PRAM può essere d’aiuto:

  • Le impostazioni del volume cambiano o non rimangono impostate.
  • Le risoluzioni video non rimangono impostate o non sono tutte disponibili.
  • Le impostazioni di orologio e fuso orario non rimangono coerenti.
  • Il volume di avvio non è impostato (appare per un istante la cartella con il punto interrogativo prima del boot)
  • Le impostazioni di velocità ripetizione tasti del pannello Tastiera cambiano o non rimangono fissate.
  • I valori di velocità di spostamento e di doppio clic del mouse cambiano o non rimangono impostati.
  • Problemi con i font di sistema.

Nelle versioni del sistema operativo precedenti a Mac OS X, la PRAM conteneva anche i parametri di rete, ma sono stati rimossi e pertanto il reset della PRAM non dovrebbe avere alcun effetto su eventuali problematiche legate alla rete. A volte si sono presentati strani problemi rimediati con un reset della PRAM, fra cui uno riportato di recente da MacFixIt che aveva a che fare con il mancato funzionamento del correttore ortografico. È possibile che le impostazioni nella PRAM influiscano indirettamente su altre funzioni di sistema come il correttore ortografico, ma quali e in che misura non è sempre noto. [Per quanto riguarda la mia esperienza diretta, il reset della PRAM è servito anche quando un Mac aveva apparentemente perduto il ‘bong’ di avvio, quando un Mac rifiutava di estendere la scrivania collegando un monitor esterno, e quando un Mac aveva apparentemente perduto tutte le voci normalmente elencate in Preferenze di Sistema > Voce].

Se queste impostazioni vengono costantemente resettate anche quando la PRAM non è stata resettata manualmente, può darsi che sia necessario sostituire la batteria tampone.

Per resettare la PRAM, riavviare il Mac e tenere premuti i tasti Opzione-Comando-P‑R contemporaneamente. Il Mac farà il ‘bong’ di avvio e poi si riavvierà, e continuerà a farlo finché si terranno premuti quei tasti. Lasciate che il Mac si riavvii un paio di volte [direi anche tre, non si sa mai], poi rilasciate i tasti per permettere l’avvio normale.

NOTA: Dopo un reset della PRAM è probabile che sia necessario reimpostare alcuni valori, come la velocità del puntatore o la velocità di ripetizione tasti. [Inoltre spesso è necessario ri-selezionare il volume di avvio nel pannello Disco di Avvio].

Il Power Manager

Il SMC — System Management Controller / Controller di gestione del sistema (sui Mac Intel) o la PMU — Power Management Unit (sui Mac PowerPC) è un chip che si occupa di gestire l’alimentazione di alcuni componenti del sistema come le ventole e la retroilluminazione, così come i circuiti che inviano l’alimentazione a tutto il sistema quando viene acceso il Mac.

Come nel caso della PRAM, molte persone consigliano di resettare il SMC o la PMU come ‘rimedio generico’ a fronte dei problemi più vari. Tuttavia esistono comportamenti specifici che trarranno beneficio da un reset del SMC o della PMU, e altri per i quali il reset non avrà effetto. In linea di massima, si dovrebbe resettare il Power Manager del Mac se si hanno problemi con impostazioni apparentemente ‘bloccate’ o indicatori non funzionanti, soprattutto quelli presenti sull’hardware stesso (l’indicatore sull’alimentatore o sulla batteria). L’elenco seguente presenta una serie di situazioni in cui un reset del SMC o PMU può essere almeno in parte risolutivo:

  • La batteria non si sta caricando in maniera appropriata.
  • L’illuminazione dello schermo non funziona come dovrebbe.
  • La retroilluminazione della tastiera non funziona.
  • Le ventole girano al massimo costantemente.
  • Il pulsante di accensione/spegnimento non funziona correttamente.
  • La chiusura/apertura del coperchio non manda in stop/risveglia il Mac portatile.
  • Le porte non ricevono alimentazione.
  • I dispositivi esterni collegati al Mac non vengono riconosciuti.
  • Componenti interne come AirPort e Bluetooth non si attivano.
  • Il Mac si spegne improvvisamente.

Il metodo per resettare il SMC o la PMU dipende dal modello di Mac in vostro possesso. Ecco alcune pagine utili:

Per il Mac Pro.
Per l’iMac e il Mac mini.
Per il MacBook e MacBook Pro.

[Ho modificato i link affinché puntino alla pagina in italiano. In più aggiungo le pagine per i portatili con processore PPC e Motorola 68xxx]:

Per i portatili Mac dal PowerBook 100 al PowerBook 5300. (In inglese)
Per i PowerBook G3/G4 e gli iBook G3/G4.

Cercherò di compilare una pagina simile per quanto riguarda un’altra procedura che viene spesso consigliata a sproposito o come panacea per curare ogni male: la riparazione dei permessi.

Sunrise

Mele e appunti

Stavo dando un’occhiata ad alcune cartelle di applicazioni che uso di rado, per fare un’ulteriore sfoltita e mi sono imbattuto in una vecchia versione di Sunrise. Nemmeno mi ricordavo che fosse un altro browser Web. Sono andato sul sito e ho scaricato la ultima versione, 1.8.3 (io avevo ancora la 0.8.qualcosa), e ci ho fatto un giro di prova. Non faccio mistero che dei browser ‘piccoli e indipendenti’ continuo a preferire Stainless, ma anche Sunrise non è male. Non c’è bisogno che inserisca schermate, l’aspetto di Sunrise è ben visibile sul sito, ma va detto che le migliorie sono consistenti. (Piccola parentesi: in applicazioni che vengono aggiornate con grande frequenza a volte non ci si rende conto della portata delle migliorie apportate strada facendo; ho l’abitudine di conservare vecchie versioni di browser e altri programmi. Di tanto in tanto vado a lanciarle e le differenze, a distanza di svariate versioni, sono proprio evidenti — come Chimera e Firebird, le precedenti incarnazioni di Camino e Firefox. Lanciare l’ultima versione di Sunrise e confrontandola con quella che avevo prima, forse di un anno fa o più, è stato interessante e i passi avanti sono subito saltati all’occhio).

Sunrise è l’ennesimo browser basato su WebKit ma che si propone di avere un’interfaccia più snella di Safari e di guadagnare in velocità, oltre a presentare alcune funzioni oggettivamente assenti in altri ‘colleghi’. I Visual Bookmarks non sono una brutta idea: il concetto è presentare i segnalibri in una griglia di miniature (simili a quelle che crea OmniWeb nella barra laterale quando si aprono più pannelli). È quel che Safari 4 beta fa con la tecnologia CoverFlow, ma che in Sunrise mi pare più efficiente e meno avida di risorse grafiche.

Le due funzionalità che mi paiono degne di nota, e che distinguono Sunrise da altri browser, sono però le seguenti:

  1. Snapshot Entire Page: Permette di catturare una schermata dell’intera pagina Web e di editarla all’interno del browser stesso. Una volta dato il comando, si apre un pannello dal fondo scuro in cui è possibile specificare le dimensioni in pixel, la percentuale di zoom in caso si voglia rimpicciolire/ingrandire la selezione, e il formato del file che verrà salvato (TIFF, GIF, JPG, PNG). La grandezza del file viene continuamente aggiornata a ogni modifica.
  2. Save Entire Page as PDF: Permette di salvare l’intera pagina Web in un file PDF.

La comodità di entrambe le funzioni (accessibili dal menu File) è proprio la gestione della pagina intera. A volte può capitare di voler catturare l’intero contenuto di una pagina e non solo la porzione visibile nel browser. Un altro tocco apprezzabile è la possibilità, nelle preferenze dell’applicazione, di specificare il proprio editor di testi preferito per la visualizzazione del codice sorgente delle pagine Web.

Non ho fatto confronti cronometro alla mano fra Sunrise, Safari e Stainless, ma Sunrise sembra davvero scattante nel caricamento di siti complessi. Tutti e tre i browser renderizzano comunque a una velocità più che soddisfacente. Sunrise è freeware (chi vuole può inviare donazioni) e pesa davvero poco (l’applicazione occupa meno di 3 MB sul mio PowerBook). Non va certo a sostituire altri browser che uso regolarmente, come Camino, Safari e Stainless, ma forse vale la pena di tenerselo buono per sfruttarne le funzioni particolari viste sopra.