Sono passate due settimane dall’introduzione di iPad, e una decina di giorni dal dibattito scaturito da un articolo di Steven Frank che ho deciso di tradurre e proporre al pubblico di lingua italiana perché l’ho considerato interessante e meritevole di attenzione. La discussione che si è aperta in questa sede è stata altrettanto interessante e non considero sprecato il tempo (non poco) che vi ho dedicato, cercando di comprendere i punti di vista altrui e cercando di far capire i miei, quelli di Steven Frank e quelli di altri d’accordo con la sua posizione.
Ho pensato di scrivere questo intervento — che sarà l’ultimo sull’argomento almeno per ora — per dare una sorta di chiusura temporanea al dibattito sul mio blog e per ribadire alcune cose che a mio avviso sono state fraintese nei botta e risposta. A chi vorrà commentare chiedo solo di cercare di evitare di riaprire questioni già discusse, magari leggendosi prima con attenzione quanto è stato già detto nei commenti ai post precedenti, soprattutto le mie risposte.
1. Il primo grande fraintendimento è stato nella lettura della posizione di Steven Frank. Sarà perché l’ho tradotta con attenzione, e quindi credo di aver capito bene quel che egli sostiene, ma ho l’impressione che molti l’abbiano scambiata per una sorta di manifesto di chissà quale nuovo movimento o religione. È un punto di vista, non è la verità rivelata. Non è affatto detto che le cose vadano nella direzione intravista da Frank. Dalle reazioni di alcuni mi sembra invece che si siano presi molti dettagli alla lettera e che lo scenario immaginato da Frank sia già praticamente un fait accompli. Come ho già ripetuto, l’azienda Apple e il prodotto iPad, nell’articolo di Frank, hanno la valenza di pretesto per discutere di un possibile corso che l’informatica personale potrà o meno intraprendere nei prossimi dieci-vent’anni. Pensare che con esso lui (e io, che condivido le sue riflessioni) voglia dire che il futuro è un iPad per tutti e che Apple sarà l’unica forza innovatrice in questo senso, è profondamente riduttivo.
2. Un secondo fraintendimento l’ho avvertito nei confronti dell’interfaccia di iPad, ossia di iPhone OS. Nessuno ha detto che quell’interfaccia che vediamo oggi sui dispositivi Touch di Apple sarà l’interfaccia del futuro, presente su tutti i dispositivi personali, fatta per un pubblico di ignorantoni e sempliciotti che non hanno voglia di imparare quei quattro concetti base per far funzionare un computer. Tutto il discorso presuppone un concetto che mi pare sia passato oscenamente in secondo piano durante la discussione. Quel concetto è evoluzione. Un discorso evolutivo prescinde dai singoli dispositivi e si concentra su aspetti più generali, come appunto l’interfaccia e i sistemi operativi che faranno funzionare i computer e i dispositivi personali di domani. Temere che saremo invasi da dispositivi che non permettono un ‘vero multitasking’ perché ci si sofferma sulle presunte limitazioni che oggi caratterizzano iPhone OS, è fuori luogo. È scontato che lo hardware si evolverà sempre, e infatti Steven Frank lo dà come fatto certo nelle premesse; lo hardware, ai fini della discussione, è un non-problema. La questione riguarda il software e l’interazione fra esseri umani e dispositivi informatici. È questo ciò che mi sta a cuore, ed è di questo che Frank, Speirs, e altri programmatori hanno parlato nei loro interventi. Può l’interfaccia di iPhone OS essere una risposta verso un’esperienza utente migliore e meno frustrante? Certamente, con alcuni distinguo e una volta superati certi ostacoli specifici che Steven Frank stesso discute nel suo pezzo.
3. Mi è sembrato di scorgere un terzo fraintendimento quando si è dibattuto sui concetti che Frank ha chiamato Vecchio Mondo e Nuovo Mondo dell’Informatica. Alcuni hanno reagito come se si stesse facendo una questione di valori e come se Frank emettesse un giudizio inappellabile su quelle due categorie, come se dicesse “Nuovo Mondo: buono, Vecchio Mondo: cattivo”. Anche questa posizione è riduttiva e perde di vista un altro elemento importante. Non si tratta di buttare nel cesso tutte le tappe evolutive per le quali è passato il personal computer negli ultimi trent’anni. Non si tratta di abbracciare acriticamente l’interfaccia e la metafora della piattaforma Touch di Apple. Né si vuole dire che il lavorare per sviluppare un’interfaccia più immediata e facile da usare significhi menomarla o renderla meno potente. In tanti (qui e altrove nel Web) hanno frainteso questo nodo per me cruciale. Svecchiare la metafora della scrivania, far evolvere l’interfaccia utente in modo che l’esperienza informatica diventi qualcosa di più gradevole e alla portata di persone meno pratiche non significa impoverirla. Da certe reazioni che ho letto mi è invece parso di capire che molti temono un prossimo futuro in cui l’interfaccia di computer e dispositivi personali sarà ridotta, semplificata, e istupidita per scendere al livello di chi non è nerd. Che si andrà verso una non ben definita involuzione.
L’errore è avvicinarsi a un dibattito che parla di scenari futuri utilizzando le categorie del passato. C’è chi vede nella possibilità che il filesystem venga reso invisibile all’utente un grosso sbaglio, una tendenza sciocca, un voler togliere qualcosa agli utenti esperti per creare delle protesi ai non esperti. Questo perché oggi poter accedere al filesystem direttamente è un’operazione che ha importanza e che offre una certa flessibilità, ma tale punto di vista è viziato dal fatto che un filesystem visibile e accessibile è un elemento importante per il modello dei sistemi operativi di oggi. Nell’evoluzione verso l’informatica di domani, se il filesystem verrà reso invisibile all’utente non sarà tanto perché l’utente medio è troppo stupido per capirlo o perché può commettere degli errori, ma sarà perché il sistema operativo e l’interfaccia utente si saranno trasformati in modo da essere altrettanto flessibili e potenti, avranno sposato concetti di approccio e manipolazione dei dati per cui vedere il filesystem non avrà importanza alcuna se non, forse, per chi necessita un tipo di accesso a basso livello per scopi che hanno a che vedere con la programmazione e con il sistema stesso. Quindi i programmatori, i tecnici, mentre il resto dell’utenza potrà concentrarsi su scopi differenti, sui propri lavori, e sfruttare al meglio il mezzo (il computer, il dispositivo personale) che permetterà loro di svolgere tali scopi (che riguardino compiti lavorativi o l’intrattenimento e il gioco).
4. Il quarto fraintendimento riguarda il ruolo di Apple. Qui parlo per me perché non pretendo di conoscere l’opinione personale di Frank e degli altri sulla sua linea di pensiero. Non dò affatto per scontato che oggi Apple sia l’unica in grado di innovare e che il futuro dell’informatica sia praticamente nelle sue mani. Il mio essere utente Apple di lungo corso, e il fatto che il Mac abbia un ruolo spesso di primo piano in questo blog che curo, sono fattori che non mi impediscono affatto di vedere oltre Apple e di avere una mentalità aperta in materia. Come amo spesso dire nelle discussioni di persona, il giorno in cui un’azienda proporrà un insieme di hardware e software migliore per le mie esigenze di quanto Apple mi ha offerto finora, non esiterò a cambiare.
Detto questo mi sembra evidente l’importanza di Apple nel discorso relativo all’interfaccia utente e i suoi possibili sviluppi. Apple può non piacere per certe sue scelte e certe sue politiche, ma è innegabile il fatto che le spinte verso altre direzioni (ho detto altre, non necessariamente nuove o innovative) in ambito informatico siano spessissimo venute dall’azienda di Steve Jobs. Le attuali interfacce non sarebbero dove sono senza il Macintosh presentato nel 1984 (e senza il Lisa prima di lui). La fruizione della musica digitale non sarebbe dov’è ora senza iPod (2001) e iTunes Store (2003). Il concetto di PDA, assistente personale digitale, è nato negli anni Novanta e Apple ha avuto la sua parte nel dare un’impronta a quel tipo di informatica. Non sempre gli avanzamenti tecnici sono arrivati da parte di Apple, ma spesso Apple ha portato innovazione sotto altre forme, e lo si è visto nei due mercati dei lettori MP3 portatili e nei cellulari.
In questi due mercati, Apple non è entrata da pioniera, non ha ‘inventato’ nulla. Ma ha saputo individuare determinate carenze ed è stata in grado di colmarle in maniera se non completa, almeno sufficientemente credibile da produrre i risultati senza precedenti che tutti abbiamo visto e vediamo tuttora. Pertanto, come già scrivevo nei commenti, non è peregrino supporre che Apple continui ad avere un ruolo non indifferente nella spinta di processi trasformativi nell’informatica prossima ventura. Stiamo a vedere intanto l’impatto che avrà iPad nel mercato dei netbook e dei lettori di e‑book. Un impatto che sarà deciso dal pubblico, non dimentichiamolo, perché è il pubblico, in ultima analisi, a decretare il successo di una piattaforma o di un dispositivo. Stiamo a vedere se qualche azienda concorrente riuscirà a sfornare un’idea nuova, che non sia un tentativo di imitazione; stiamo a vedere se qualcun altro saprà dimostrare di guardare avanti e di osare, rendendo il gioco ancora più interessante.
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