Sono sempre stato un avido lettore di Mark Pilgrim, frequento il suo sito abbastanza regolarmente più o meno dai tempi in cui leggo John Gruber (quattro anni o giù di lì), ma, a differenza di Gruber, negli ultimi tempi leggo Pilgrim con sempre meno entusiasmo. I suoi post ‘tecnici’ continuano ad avere un certo valore informativo e, si sa — o almeno lo sanno i frequentatori abituali di diveintomark.org — che Pilgrim non è esattamente un autore politicamente corretto, che ha il suo carattere e manifesta atteggiamenti che lo rendono antipatico specie ai suoi nuovi lettori/commentatori. I newbie più clamorosi si beccheranno una sua risposta che, per chi lo segue da molto tempo, è ormai diventata un marchio registrato: You must be new here (Devi essere nuovo di qui).
Fin qui nulla di sostanziale da obiettare. Uno il proprio blog e la propria ‘persona-Web’ se li gestisce come vuole. C’è chi scrive pezzi infiammati, fortemente critici e magari poco informati (ma se ne frega, l’importante è espellere la propria opinione); c’è chi scrive cercando di considerare vari punti di vista e provando a essere il più esauriente possibile; c’è chi cerca un confronto costruttivo con i propri commentatori, e chi non fa altro che attizzare discussioni che scendono presto nel personale e da un post originario sul Trusted Computing o sul MacBook Air, dopo 30 commenti i partecipanti alla discussione stanno già dandosi del cretino e dell’idiota vicendevolmente.
In tutti questi esempi c’è comunque una onestà di fondo, a mio avviso. Il blogger astioso, dalle forti opinioni, è palesemente di parte: fa parte del suo modo di essere (almeno nel contesto di ciò che scrive). Il blogger pacato sarà magari più prolisso, discuterà con i commentatori se uno di essi gli farà notare un’incongruenza o se gli proporrà una lettura diversa dello stesso argomento, eccetera. Quando un blogger acquista autorità, è secondo me fondamentale che quell’onestà, in un senso o nell’altro, sia mantenuta. Se il blogger omette intenzionalmente certe informazioni solo perché così il suo discorso non si increspa, allora non va bene (per me). È dimostrato che un sacco di gente, malgrado i motori di ricerca esistano dall’infanzia del Web, non sappiano ancora cercare informazioni su Internet, o quantomeno non sappiano approfondire la tal notizia o il tal argomento di cui sentono voci di corridoio. Chi non sa destreggiarsi con Google per cercare altri punti di vista che aiutino a inquadrare una nozione, che contribuiscano a sviscerare un argomento o a vederlo in tutta la sua interezza, è piuttosto normale che finisca con l’affidarsi a siti noti, a voci autorevoli. Io stesso, che so utilizzare bene un motore di ricerca, non ho bisogno di verificare le fonti di un post di John Gruber, che ha fama di essere un articolista preciso, che se scrive un post lo fa con cognizione di causa, che prima di affermare qualcosa di importante egli stesso verifica le informazioni in suo possesso, eccetera.
Tornando a Pilgrim, è interessante e indicativa una sfumatura saltata fuori nei commenti a un suo post che risale agli inizi di maggio: The day the music died. Pilgrim spiega all’inizio che questo post è una lettera che ha inviato a suo padre per spiegargli cosa significa che Microsoft abbandona il supporto a MSN Music. (Il post è del 6 maggio, e non era ancora stato annunciato che Microsoft ha esteso tale supporto di altri tre anni).
Da gran sostenitore di standard aperti, di open source, e compagnia bella, è ovvio che Pilgrim si scagli contro la protezione dei diritti digitali (DRM), e che Microsoft con PlaysForSure, e Apple con FairPlay, siano brutti e cattivi. È ovvio che Pilgrim inviti a non acquistare musica protetta da DRM e che chi lo fa è fesso perché quando la piattaforma che mette a disposizione l’acquisto di brani protetti (MSN Music nel caso di Microsoft, iTunes Store nel caso di Apple) viene a mancare uno si ritrova con brani che, in sostanza, non può più gestire — almeno secondo Pilgrim. È interessante a questo punto leggere questo estratto:
[…] Microsoft ha chiamato questa piattaforma per sviluppatori “PlaysForSure”, e loro (e i loro partner) hanno pubblicato numerosi annunci in cui si diceva che la musica acquistata dall’iTunes Music Store di Apple si sarebbe potuta ascoltare “solo” sugli iPod o utilizzando iTunes. Questo, tecnicamente parlando, era vero, e lo è tuttora, ed è per questo che ho caldamente consigliato a Dora, a chi mi legge, e a chiunque mi stia a sentire, di non “acquistare” mai nulla dall’iTunes Music Store [sic] che potreste voler “possedere” per un periodo di tempo più lungo di quanto Apple permetta. Né dovreste “acquistare” nulla da uno store compatibile con “PlaysForSure” […]
Ad Apple bisogna riconoscere, se così si può dire, che ora è possibile acquistare alcuni brani dall’iTunes Store che sono privi di protezione e che possono essere riprodotti ovunque. Apple li chiama “iTunes Plus”, perché suona molto meglio così che chiamare tutti gli altri brani “iTunes Minus”. Apple ha inoltre promosso lo scaricamento di podcast e altre fonti non tradizionali di “cose che vorreste scaricare sui nostri dispositivi portatili che ci fruttano un sacco di soldi”. Steve è tutto fuorché un idiota. […]
I più informati, leggendo questo estratto, staranno già pensando quel che pensavo io quando lo lessi per la prima volta. Ossia: non è vero che la musica comprata su iTunes Store è riproducibile solo su iTunes e sugli iPod. È possibile masterizzarsi i brani su CD e riconvertirli in altri formati, sia lossy (come l’MP3) che lossless, e riprodurli ovunque si voglia. E infatti un paio di commentatori contrattaccano. Il primo commento avrei voluto scriverlo io:
Neanche a me piace il DRM, e acquisto brani iTunes Plus (“plus” perché il bitrate è superiore: 256kbps). Però trovo estremamente comodo che chiunque critica Apple sulla questione DRM spesso ignori la possibilità di masterizzare CD con i brani comprati. Fra l’altro con questa tecnica non si perde un livello di fedeltà audio se si reimportano i brani in un formato non compresso, un formato lossless o teoricamente nello stesso formato originario (AAC 128kbps). Per non parlare del fatto che molta gente non si accorgerebbe nemmeno di quella famigerata perdita di fedeltà audio.
Pertanto l’affermazione: ho caldamente consigliato […] di non “acquistare” mai nulla dall’iTunes Music Store che potreste voler “possedere” per un periodo di tempo più lungo di quanto Apple permetta. è semplicemente falsa. E dato che tu sei a conoscenza dell’opzione di masterizzare un CD (che anche Apple menziona apertamente), non stai facendo altro che nascondere questo fatto intenzionalmente, per “migliorare” il tuo punto di vista. Solo che nascondere i fatti (a volte si dice “mentire”) ti rende una fonte inattendibile. E che cosa hai ricavato di buono? Hai convinto tuo padre. Bravo.
ora è possibile acquistare alcuni brani dall’iTunes Store che sono privi di protezione e che possono essere riprodotti ovunque. Apple li chiama “iTunes Plus” — un’altra frase non proprio vera: si può e si è sempre potuto masterizzare un CD non criptato con la musica comprata su iTunes Store. Naturalmente non è possibile riprodurre un file AAC su un dispositivo che non riproduce gli AAC, e ci sono molti dispositivi che non lo fanno.
Ma a parte questo, Apple non vuole il DRM, e lo ha dichiarato pubblicamente. Le case discografiche vogliono il DRM, e lo hanno dichiarato pubblicamente. Perciò qualsiasi sfogo anti-DRM che non parli del fatto che molte, se non tutte, le etichette discografiche non venderebbero musica scaricabile se non fosse per il DRM, e che lo iTunes Store di Apple è stata l’unica prova per l’industria che questo era il futuro dell’industria musicale, rende un disservizio nei confronti dei propri lettori. Apple ha fatto quel che ha dovuto fare, nei termini più vantaggiosi per i consumatori che ha potuto contrattare con le case discografiche, così da poter dare alla gente quel che voleva: musica da scaricare.
Credo che il percorso della musica vada verso un futuro senza DRM. Amazon MP3 ne è la prova. Ma neanche vendendo musica non protetta a un bitrate più alto (malgrado l’MP3 non sia efficiente come l’AAC, può essere riprodotto in molti più luoghi) Amazon potrà superare Apple, perché le persone preferiscono la comodità del modello di Apple [la struttura dell’iTunes Store]. Per cui si critichi Apple finché si vuole, ma Apple vive nel vero mondo del business. Spesso business significa compromessi. Apple ha dovuto fare ciò che ha fatto, se voleva entrare in gioco. Oppure avrebbe potuto aspettare l’anno scorso, quando Amazon ha lanciato il proprio store musicale.
È ovvio che, per svariati milioni di persone, due anni di musica protetta con FairPlay sono stati meglio che non avere musica del tutto.
Le tue argomentazioni, che sarebbero semplici da sostenere (DRM = male) sono purtroppo indebolite dalle tue rappresentazioni dei fatti intenzionalmente scorrette. E ciò è triste.
Notare la risposta di Pilgrim:
> Ma a parte questo, Apple non vuole il DRM, e lo ha dichiarato pubblicamente.
Beh, lasciando perdere gli errori fattuali che stanno prima e dopo questa frase [quali, di grazia, mi chiedo. NdR], voglio provare a sfatare questo mito. Proprio come si misura un uomo da come agisce quando crede che nessuno lo stia osservando, si misura un’azienda da come agisce quando ha il controllo totale di un contesto. Prendiamo, per esempio, l’iPod Touch. Hardware Apple, hardware software, nessuna terza parte a dettar legge. Un sistema totalmente chiuso. Qualcuno lo sblocca, Apple lo riblocca. Dopo incredibili proteste, Apple, con riluttanza, permette agli sviluppatori di terze parti di scrivere applicazioni per il dispositivo. Tali applicazioni, anche quelle gratuite, devono essere scaricate attraverso lo store di Apple. Le applicazioni, anche quelle open source che l’autore VUOLE che la gente ridistribuisca, vengono poi criptate individualmente e circoscritte a quello specifico iPod dell’utente finale. Criptate con cosa, vi chiederete? Ma con FairPlay naturalmente — la stessa crittografia che Apple applica ai brani e ai contenuti video che “acquistate”.
La RIAA potrebbe aver originariamente costretto Apple a utilizzare il DRM nel 2004. Non conosco la vera storia, e non la conosci tu, ma diciamo che è andata così. Ma sai cosa? È successo molto tempo fa. E da allora ad adesso, a un certo momento, Apple ha deciso che il DRM le piaceva.
Questa risposta è, a mio avviso, ‘disonesta’ e fuorviante. Si parla di mele, e Pilgrim tira in ballo le arance. Un altro commentatore si inserisce nel discorso:
Beh, lasciando perdere gli errori fattuali che stanno prima e dopo questa frase, voglio provare a sfatare questo mito. Proprio come si misura un uomo da come agisce quando crede che nessuno lo stia osservando, si misura un’azienda da come agisce quando ha il controllo totale di un contesto. Prendiamo, per esempio, l’iPod Touch. Hardware Apple, hardware software, nessuna terza parte a dettar legge. Un sistema totalmente chiuso.
E l’iPod Touch, in quanto piattaforma software, che cosa ha esattamente a che vedere con il DRM della musica?
Ragionamento isomorfo: “Ehi, scommetto che Apple ha persino dei lucchetti al campus di Cupertino. E, Dio ce ne scampi, forse anche un firewall. Come può Jobs dichiarare apertamente che non gli piace la musica con il DRM?”
Qualcuno lo sblocca, Apple lo riblocca.
O anche: Apple pubblica degli aggiornamenti che, fra le altre cose, ripristinano i binari hackerati riportandoli ai contenuti originali (o, probabilmente, ai contenuti aggiornati).
Lascio come esercizio per il lettore comprendere come questo differisca dal “ri-bloccare” intenzionalmente.
Dopo incredibili proteste, Apple, con riluttanza, permette agli sviluppatori di terze parti di scrivere applicazioni per il dispositivo.
Davvero, solo “dopo incredibili proteste”? Per uno che ha scritto quel libro su Python (e molto altro, ne sono certo) non dimostri di avere le idee molto chiare in fatto di sviluppo software. Apple ha sviluppato le API per il dispositivo, unitamente alla relativa documentazione, a tutorial, all’integrazione con Xcode e a un completo set di strumenti. Per fare tutto questo occorre tempo. Il Touch (e iPhone), non poteva essere ‘aperto’ sin dal primo giorno alla scrittura di applicazioni di terze parti con una serie di API bell’e pronte. Per scrivere un set di API e la documentazione relativa è necessario molto tempo. Ancora di più per stabilizzare le API, specialmente se si vuole basare su di esse la propria piattaforma di sviluppo futura.
Tali applicazioni, anche quelle gratuite, devono essere scaricate attraverso lo store di Apple. Le applicazioni, anche quelle open source che l’autore VUOLE che la gente ridistribuisca, vengono poi criptate individualmente e circoscritte a quello specifico iPod dell’utente finale. Criptate con cosa, vi chiederete? Ma con FairPlay naturalmente — la stessa crittografia che Apple applica ai brani e ai contenuti video che “acquistate”.
Allora, Apple offre agli sviluppatori una soluzione ‘chiavi in mano’ per fornire applicazioni commerciali (molte delle quali bloccate da numeri seriali, se ricordo bene) ai loro utenti, una soluzione completa di protezione dalla pirateria. Che cosa c’entra tutto questo con la musica e il DRM, a parte l’uso dello stesso algoritmo?
La RIAA potrebbe aver originariamente costretto Apple a utilizzare il DRM nel 2004. Non conosco la vera storia, e non la conosci tu, ma diciamo che è andata così. Ma sai cosa? È successo molto tempo fa. E da allora ad adesso, a un certo momento, Apple ha deciso che il DRM le piaceva.
Qui siamo quasi alle allucinazioni, eh?
Mark Pilgrim (piccato?) risponde seccamente:
[…] A ogni modo, la questione non è che Apple metta dei lucchetti alle sue porte, ma che metta lucchetti alle mie porte. Se non riesci a vedere la differenza, non posso aiutarti.
E il tizio, una manciata di commenti più sotto, ribatte:
Spiegami allora in che modo Apple ti ha costretto a comprare brani su iTunes Store.
Insomma, Pilgrim se l’è cercata. Non mi dilungo ulteriormente, ma lascio comunque il link alla risposta meditata e pacata del primo commentatore alle obiezioni di Pilgrim. (Fra l’altro fa notare un’altra cosa importantissima: Sto attaccando le tue argomentazioni, non te personalmente, anche se molta gente spesso non riesce a operare una distinzione durante una discussione — che è assolutamente vero e chiunque abbia frequentato un qualsiasi forum o mailing list potrà constatarlo facilmente).
Anch’io mi trovo d’accordo con il primo commentatore quando afferma: E dato che tu sei a conoscenza dell’opzione di masterizzare un CD (che anche Apple menziona apertamente), non stai facendo altro che nascondere questo fatto intenzionalmente, per “migliorare” il tuo punto di vista. Solo che nascondere i fatti (a volte si dice “mentire”) ti rende una fonte inattendibile. È il nocciolo della questione e motivo principale che mi ha spinto a cimentarmi in questo post chilometrico e per alcuni forse un po’ noioso. Sono scambi come quelli riportati che mi fanno riflettere e alla fine mi domando: ma che se ne fa, Pilgrim, dei commenti e del feedback dei lettori, quando risponde di rado e — da come sembra — con fastidio? Aggiungiamo, nel caso specifico, senza umiltà e senza riconoscere che, magari, qualche sciocchezza nel suo post se l’è lasciata scappare. Invece le sue obiezioni, oblique e retoriche, non fanno altro che alimentare (almeno ai miei occhi) il sospetto che stia affrontando l’argomento con un pizzico di malafede.
E quando qualcuno prova ad argomentare in favore di Apple (o comunque non contro), ecco che diventa un ‘fanboy’, un Apple-fanatico. Pilgrim, da quando è passato a Linux, sembra vomitare acredine verso Apple appena se ne presenta l’occasione, a volte in modi che onestamente non comprendo, e lo fa da Linux-fanatico. Com’era la storia della pagliuzza e della trave?
Io non ho le migliaia di lettori di Pilgrim o Gruber, ma visto che nel mio blog parlo pubblicamente di Mac, tecnologia e affini, e riporto informazioni e opinioni, sento di avere una responsabilità verso chi mi legge; la responsabilità di riportare notizie fondate, di non tralasciare aspetti importanti di un discorso solo per aver ragione, di non nascondere informazioni perché fa comodo tacerle, e di permettere a chi mi legge di avere delle informazioni attendibili, stando bene attento a scindere fatti e opinioni personali. E sono aperto alla critica e allo scambio di idee. A volte mi sembra che i “grandi” se lo dimentichino.
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