Quando si tratta di acquistare hardware, ma soprattutto software e servizi, noto in parecchie persone un atteggiamento piuttosto irritante — quello della scappatoia. In forum e mailing list, un tipo di richiesta frequente è Sto cercando un programma che faccia x, y, e z — e soprattutto che sia freeware. Oppure, se la richiesta riguarda quale software scegliere fra varie alternative per svolgere un determinato compito, magari si legge un consiglio del tipo …Oppure si può usare l’applicazione x, che è ottima, però a pagamento. L’hardware deve costare poco e durare una vita. Se non si riesce a pagarlo poco, si prova a giocare la carta dell’estero. Parlavo giusto ieri con un conoscente, tutto contento perché un suo parente, che risiede negli USA da una quindicina d’anni, gli compra iPhone 3G; quella persona, per acquistare regolarmente iPhone — lo ricordo — dovrà giocoforza sottoscrivere un contratto biennale con AT&T e subito terminarlo, pagando una penale. Poi, una volta spedito iPhone al mio conoscente, questi dovrà togliere il blocco operatore se vorrà usarlo come telefono, perché al momento si può fare solo il jailbreaking (per installare applicazioni di terze parti al di fuori dell’App Store), ma non lo sblocco. Tutta questa trafila per risparmiare cinquanta, forse cento Euro, e per ritrovarsi totalmente privi di garanzie di qualunque tipo.
Oggi si pagano molte cose: alcune si è obbligati a farlo (le bollette per servizi fondamentali come luce, gas, telefono/internet, l’assicurazione dell’auto, ecc.), altre sono frutto di acquisti ‘di piacere’ (libri, musica, film; andare al cinema, a teatro, ai concerti; comprarsi vestiti e accessori), e alla fine troviamo il software, la Cenerentola della situazione. Per molti, pagare per utilizzare un software o effettuare una piccola donazione (per un programmatore che mette liberamente a disposizione i suoi sforzi chiedendo solo un piccolo contributo “se trovate utile il software”), sembra un’eresia. Allora si cerca l’alternativa gratis, oppure si cerca il software commerciale su canali alternativi, oppure si cercano i codici pirata per sbloccare il programma — magari alla fine della giornata, compiuta la missione, ci si sente anche furbi e brillanti. Poc’anzi ho citato musica e film fra gli acquisti di piacere, ma anche questi ovviamente vengono spesso ottenuti utilizzando canali alternativi. Io però voglio soprattutto concentrarmi sul software.
E parlando di software, la cosa che più mi fa imbestialire, è che la scappatoia molto spesso non è nemmeno dettata da reali considerazioni o problematiche economiche. Ho provato centinaia di shareware, pagando quelli che ho continuato a usare con regolarità e lasciando perdere gli altri, e nella maggior parte dei casi il costo varia dai 15 ai 35 dollari, ossia, al cambio attuale, dai 7 a 16 Euro. Come dicevo, la mentalità della scappatoia spesso non dipende da problemi economici, ma agisce ‘di principio’, l’unico obiettivo è farla franca. Il conoscente di cui sopra non ha problemi a raccontarmi della sua avventura per procurarsi iPhone risparmiando qualche decina di Euro mentre stiamo cenando ed è lui a offrire la cena, presentandosi ben vestito e con la sua BMW coupé.
Lungi da me scrivere un post moralista, ognuno è liberissimo di spendere il proprio denaro come vuole, basta che non venga a sventolarmi in faccia i propri espedienti e la propria — diciamolo — disonestà atteggiandosi a gran volpone. Il fatto è che tutto il software che non è freeware ha un costo ed è giusto pagarlo. I sistemi operativi e i grandi pacchetti a uso professionale sono in genere i software più costosi, frutto dello sforzo di centinaia di ingegneri e programmatori, e devono portare la pagnotta a casa pure loro. Photoshop o InDesign hanno costi che non ci possiamo permettere? Sono strumenti di lavoro, e chi li ha bisogno per lavoro li acquista e li paga come è giusto che sia. Se uno fa il grafico, l’impaginatore, lo stampatore, ecc., e non può permettersi gli strumenti per il proprio lavoro, forse c’è qualcosa che non va a monte. Se invece Photoshop e InDesign servono per fare qualche semplice operazione di fotoritocco o per mettere insieme una newsletter o il dépliant occasionale, allora ha senso cercare alternative più economiche (e ci sono).
Stesso discorso per i font. In tanti si stupiscono dei prezzi dei font commerciali, ma spesso dietro un font commerciale c’è il lavoro di un disegnatore (o di un piccolo gruppo di disegnatori) che lo fa di mestiere, ed è giusto che possa vivere di quel mestiere. E il font commerciale si rivolge a un target di acquirenti che andrà a utilizzarlo per scopi commerciali (una casa editrice, una rivista, un periodico, un’agenzia di Web design, eccetera). Vuoi usare il font carino per un documento che stai scrivendo? O per fare una brochure amatoriale? Le alternative sono innumerevoli, e Internet è piena di siti di font gratuiti. Persino i grandi produttori di font mettono a disposizione alcune delle loro creazioni a prezzi ridotti o gratuitamente se i font non servono a scopo di lucro.
Tornando allo shareware, la bellezza di essere in regola a mio avviso non ha prezzo (scusate il gioco di parole). La bellezza di provare un’applicazione, vedere che fa davvero al caso proprio (sfruttando il periodo di prova gratuita che praticamente tutti i programmatori/sviluppatori offrono) e poi acquistarla… Uno si sente bene. Se poi l’inglese non è un problema, un valore aggiunto è rappresentato dalla comunicazione diretta con l’autore o con la piccola impresa creatrice del software. Parlo per esperienza: queste persone sono contentissime di ricevere feedback, suggerimenti per migliorare, notifiche di bug o comportamenti inaspettati dell’applicazione, e così via. Io non potrei fare a meno di programmi come Mailsmith (50 Euro), SpamSieve (14 Euro — ma offerto gratuitamente se si compra Mailsmith), TextExpander (14 Euro), MarsEdit (14 Euro), Transmit (14 Euro), BBEdit (60 Euro), Tex-Edit Plus (circa 8 Euro). Il totale speso è di poco più di 150 Euro, che è un’inezia considerando che:
- Sono strumenti essenziali per il mio lavoro, e mi aiutano a essere più produttivo
- Non li ho acquistati tutti insieme, ma progressivamente
- Gli aggiornamenti minori sono in genere gratuiti
- Ho diritto al supporto diretto del produttore del software
- E, perché no, aumentano la positività del karma
Ma soprattutto è un’inezia considerando il valore che acquistano quei programmi quotidianamente — oppure anche occasionalmente, ma è per toglierci le castagne dal fuoco, come DiskWarrior (47 Euro) o Pacifist (meno di 10 Euro). E ci sono applicazioni gratuite per le quali ho donato un piccolo contributo, perché le uso in continuazione, perché le trovo utili, perché mi sembrava corretto farlo (Goliath, VLC, Skim, 1001, ecc.).
Sarà che la mia professione di traduttore freelance mi porta a essere solidale con chi sviluppa software, visto che entrambi investiamo molto tempo ed energie in quel che facciamo, spesso venendo retribuiti in maniera nient’affatto proporzionale con quanto investito, a volte scontrandoci con atteggiamenti che non rispettano per niente il nostro lavoro e il nostro tempo (clienti che vogliono tutto subito e che costi poco da un lato; utenti che piratano il software pur di non pagare nemmeno 5 Euro dall’altro). Sarà per questo che per me chi cerca la scappatoia per non pagare un programma che costa 15 Euro (e che in molti casi ne vale di più) è un pezzente. Si può discutere fin che si vuole, ma ai miei occhi è e rimane un pezzente.
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