Il ciclo di creazione — pubblicazione — fruizione di materiali di lettura su Internet ha raggiunto un’accelerazione assolutamente folle. Internet, maturando, ha provocato due macro-fenomeni, entrambi derivati dall’istantaneità che contraddistingue questo medium. Il primo fenomeno (che gradisco) è l’abbattimento delle distanze per quanto riguarda la comunicazione. Oggi possiamo interagire in tempo reale con persone all’altro capo del globo, scambiare informazioni, lavorare da casa potendo consegnare materiali a clienti tedeschi, americani, neozelandesi, sudafricani in maniera istantanea e quindi efficiente e produttiva. Grazie a questo abbattimento delle distanze abbiamo maturato una consapevolezza più ‘internazionale’ e questo non può che far bene: ci spinge (si spera) a una maggiore apertura mentale.
L’altro fenomeno, che mi piace meno, è l’accorciamento dei tempi. Lo si vede distintamente con l’email: tutti tendono a dare per scontato che tutti siano davanti al computer (o dispositivo equivalente) a tutte le ore, e quindi si creano determinate aspettative sui tempi di risposta a un messaggio email. Si invia un messaggio a qualcuno, e se la risposta non arriva in tempi rapidi ci si spazientisce, si diventa ansiosi, e in molti casi si arriva a formulare ipotesi premature sul perché il nostro interlocutore tardi ‘così tanto’ a risponderci. Quando magari sono le due del pomeriggio e l’email è stata inviata alle dieci e mezza del mattino.
Questo (falso) bisogno di istantaneità sul Web si traduce in uno stato di costante fame di informazioni. Come spesso ci si ritrova a premere ossessivamente il pulsante di ricezione della posta per vedere se sono arrivati nuovi messaggi, così ci rivolgiamo ossessivamente ai siti che seguiamo con assiduità per controllare la presenza di nuovi articoli.
Clic. Clic. Aggiorna il feed. Clic. Ancora niente. Clic. Clic.
A voi questo genere di comportamento cosa ricorda? A me quello di un drogato in crisi di astinenza.
Quando i nuovi contenuti arrivano, quando — finalmente! — nel lettore di feed RSS compaiono articoli non letti, li ‘bruciamo’ in pochi minuti e il ciclo si ripete. Quanto delle informazioni consumate ci rimanga è difficile da stabilire, ma personalmente sono pessimista a riguardo. La mentalità che si sta formando, per dirla con Shawn Blanc è quella per cui “importano solo le informazioni più fresche”. Le conseguenze di un simile atteggiamento sono facilmente immaginabili. La capacità di attenzione continuata si riduce, così come la vita delle informazioni che assorbiamo, che vengono appiattite e tendono a perdere peso specifico. Immagazziniamo molti più dati di quanto facevamo nell’èra pre-Web, ma queste informazioni, da quel che mi è dato vedere, rimangono ammassate in magazzino senza essere debitamente organizzate e strutturate. Collezioniamo migliaia di ‘preferiti’ sul 95% dei quali non torneremo più. Si arriva all’assurdo di accumulare anche lunghissime liste di lettura — complici strumenti come Instapaper, Read It Later e Readability — che l’ansia per nuovi articoli e nuove informazioni impedisce di smaltire.
In qualità di lettore e ‘consumatore di informazioni’ ammetto di essermi fatto prendere la mano in passato, di tanto in tanto. Ma in qualità di autore e creatore di contenuti originali (ossia non riciclati), questa combinazione di fame insaziabile di informazioni da una parte, e progressiva incapacità di trattenere informazioni più vecchie di qualche giorno dall’altra, provoca un effetto indubbiamente scoraggiante. L’impressione è quella di una rapida, accelerata svalutazione di quel che viene prodotto (parlo di qualunque genere di contenuti, ma ovviamente di articoli e interventi scritti in particolare, visto che si tratta di ciò che produco io). L’impressione è quella di ritrovarsi in un gigantesco fast-food, in cui l’importante è servire sempre cibo in quantità, senza pause, a più gente possibile, a tutte le ore. Quantità a scapito della qualità. Il guaio è che il lettore affamato tende a dare sempre più per scontata la produzione di ‘cibo da leggere’ da parte di chi scrive.
Di fronte a una tale domanda, vedo due reazioni. La prima, di chi cerca di cavalcare l’onda, buttando continuamente carne al fuoco. Ammirevole, ma a parte rari casi, il risultato è un abbassamento della qualità generale dell’offerta (articoli scritti male, non approfonditi, oppure semplici riempitivi con link ad altri articoli, ecc.). La seconda reazione è quella di chi cerca di non farsi travolgere dal pubblico, ma mira a fornire materiali più ragionati, di maggior qualità, pubblicandoli quando sono pronti e non prima. Io mi trovo in questo secondo gruppo, che secondo la mia esperienza è decisamente minoritario.
All’università avevo un compagno di corso le cui abitudini alimentari facevano inorridire: MacDonald’s quando era fuori, surgelati e cibi precotti quando era a casa. Quando un’amica comune diede una festa di compleanno e ci ritrovammo a una cena di gruppo in un costoso ristorante, questo compagno di corso non riusciva evidentemente ad apprezzare la qualità delle pietanze e dei vini che venivano passati a tavola, e si spazientiva in continuazione per i tempi di attesa fra una portata e l’altra. Per lui l’esperienza dello slow-food (che a casa mia si chiama ‘mangiare come si deve’) è stata scioccante e incomprensibile — lo dico senza esagerare. Fuor di similitudine, è quel che vedo accadere sovente sul Web. L’importante è aver ‘roba nuova’ da consumare: come venga preparata, e in quanto tempo, importa meno.
A me questa forma di consumismo culturale un po’ preoccupa. Ammassiamo una quantità ingestibile di dati frammentati che non abbiamo tempo o voglia di organizzare e digerire, di riprendere in un secondo momento e sistematizzare. Abbiamo a disposizione una quantità di informazioni mai vista prima, e le nostre conoscenze si espandono a macchia d’olio ogni giorno, ma è un’espansione asistematica, senza forma, con scarsa profondità (non basta la Wikipedia per farsi una cultura) e soprattutto su una superficie antiaderente. Chi propone contenuti si trova a dipingere su un muro bagnato.
Che cosa fare? Su larga scala non ho soluzioni efficaci da offrire: mi sembra una corrente troppo travolgente per sperare in un rallentamento della velocità di questo grande macchinario che è Internet. Nel piccolo, invece, invito pacatamente a soffermarsi con maggiore attenzione sui siti che ci sembrano più validi e che non vogliono fornire a tutti i costi contenuti sempre nuovi tutti i giorni, a scapito della qualità. E se i siti che preferiamo hanno un ritmo più lento nel proporre spunti interessanti, magari ogni tanto andiamo a esplorarne gli archivi, facciamo delle ricerche interne al sito per vedere se un argomento che ci interessa è stato affrontato in passato da altre angolazioni e punti di vista, cerchiamo di ‘disintossicarci’ dalla frenesia della novità, proviamo a leggere un paio di cose in meno e a dedicare un po’ più di tempo a organizzare il magazzino di nozioni, per esempio scegliendo un tema e seguendolo attraverso ricerche trasversali. Io faccio così da un bel pezzo, e ho notato che alla fine leggo meglio, penso meglio e scrivo meglio. Credo serva anche ad acuire il proprio senso critico: si finisce sapendo apprezzare la qualità delle informazioni che vengono proposte e a riconoscere a colpo d’occhio quei contenuti creati al solo scopo di riempire uno spazio o di portare più visite a un sito.
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