Il MacBook Pro con schermo Retina è il primo Mac presentato negli ultimi 15 anni a lasciarmi un sapore amaro in bocca. Ne ho già parlato qui, in un articolo in inglese, e ne parlo nella mia rubrica Appunti di iCreate di luglio/agosto, ma voglio cercare di tornare sul discorso da un altro punto prospettico.
Due sono le principali attrattive del nuovo MacBook Pro: lo schermo e l’ulteriore assottigliamento e alleggerimento della macchina. Qualche entusiasta aggiungerà anche la scelta di utilizzare tecnologie di connettività veloci, come Thunderbolt e USB 3, e magari anche la scelta di abbandonare i dischi rigidi tradizionali. Ma le due attrattive nominate poco sopra sono, al momento, esclusive del nuovo MacBook Pro.
A lasciarmi l’amaro in bocca è però tutto quel che sta dietro a quelle novità, in altre parole il prezzo che bisogna pagare per abbracciare la filosofia di questo nuovo portatile ‘pro’. E non mi riferisco soltanto al prezzo letterale, ovviamente. Come ho già avuto modo di dire altrove, sono la ridotta espandibilità e le scelte obbligate a cui l’utente (che decide di imbarcarsi in questa direzione) si trova di fronte.
Non mi piace la RAM saldata sulla scheda madre. Non mi piace il fatto che si debba decidere al momento dell’acquisto se lasciare la memoria di base o espanderla al massimo possibile pagando altri 200 Euro. Non mi piace il fatto che, se si decide di non espanderla, non sarà possibile farlo in un secondo momento. Non è tanto una questione di prezzo puro e semplice, è il costringere l’utente a prendere una decisione irrevocabile subito. Idem per il disco flash. Se uno è orientato al modello base del MacBook Pro con schermo retina, dovrà accontentarsi di 256 GB interni. Si vuole di più? O ci si porta appresso un altro disco esterno, o ci si orienta sul modello di MacBook Pro più caro, che offre la scelta di 512 o 768 GB. (Notare che la scelta di un disco interno più capiente costa 500 Euro in più. Inoltre, se si vuole anche il massimo della Ram e il processore più veloce occorrerà aggiungere altri 449,99 Euro, per un totale di 949,99 Euro su un computer che di suo già costa 2.899 Euro).
Questo genere di espandibilità, molto poco elastico e decisamente a salti forzati rappresenta il lato oscuro di quando è il design a dettare legge. Al di là dei meriti del nuovo MacBook Pro — che ci sono, perché quello schermo è favoloso e il design esterno e l’ingegnerizzazione interna sono dei veri capisaldi del disegno industriale moderno in ambito informatico — al di là di questi meriti, tutti gli aspetti più sottilmente irritanti sono legati a precise scelte di design. Le scarse opzioni di aggiornamento di RAM e disco interno hanno a che vedere con la mancanza di spazio per inserire strutture che rendano RAM e disco ‘mobili’ e facilmente sostituibili. L’esclusione di connessioni come FireWire 800 ed Ethernet sono dovute alla sottigliezza nella nuova scocca. Idem la scomparsa di unità ottica e la necessità di ridisegnare il connettore MagSafe. Notate come il tutto esemplifichi perfettamente quel che io chiamo l’effetto valanga di una scelta di design. Notate come il desiderio di risparmiare qualche millimetro di spessore (e 500 grammi di peso) si ripercuota su ogni altro aspetto della macchina, fino alla sua stessa longevità.
Non dubito che a molti utenti vada benissimo così. Del resto questa progressiva chiusura dei portatili Apple non è una novità: il MacBook Air insegna, e visto il grosso successo della linea Air era prevedibile che Apple avrebbe seguito l’esempio nella linea Pro. Questo, fra l’altro, mi porta a domandarmi per quanto tempo le due linee rimarranno separate. Una volta una macchina ‘pro’ si distingueva da una macchina ‘consumer’ per l’espandibilità e le tecnologie che incorporava. Si pensi alla differenza fra un iBook G3 e un PowerBook G3: il modello base dell’iBook ‘conchiglione’ aveva una porta USB, una porta Ethernet, una porta modem e una presa per cuffie. Un PowerBook G3 ‘Lombard’ aveva due uscite video, uscita e ingresso audio separati, due porte USB, una porta SCSI, Ethernet, modem, uno slot PCMCIA (la serie anteriore ne aveva addirittura due). Il modello seguente, ‘Pismo’, aveva persino due porte FireWire 400. Queste differenze tra macchina pro e macchina consumer sono andate progressivamente diminuendo, al punto in cui oggi la principale differenza fra un MacBook Air e il MacBook Pro con schermo Retina è praticamente lo schermo e ben poco altro. Per questo ho l’impressione che presto le due linee confluiranno in un’unica famiglia di portatili, dagli 11 ai 15 pollici, punto e basta. In fin dei conti, alla Apple degli ultimi dieci anni è sempre piaciuto semplificare al massimo l’offerta dei prodotti.
Ultimamente però mi sto chiedendo se per caso Apple non stia semplificando un po’ troppo. Non guardiamo la linea di portatili adesso, perché è ovvio che si tratta di una situazione transitoria: immaginiamola tra un anno, un anno e mezzo, quando potrebbe benissimo essere composta da MacBook (Air) da 11″, MacBook (Air) da 13″ e MacBook (Pro Retina) da 15″ e nient’altro. Ho l’impressione che quei professionisti che necessitano espandibilità e versatilità dai loro Mac dovranno orientarsi sempre più verso i Mac da scrivania, sperando ovviamente che il grosso aggiornamento previsto per il Mac Pro l’anno prossimo sia un aggiornamento che lo mantenga espandibile e ‘aperto’ come oggi. I portatili stanno ormai diventando macchine di zona media, ‘prosumer’. Macchine di tutto rispetto da un punto di vista prestazionale, ci mancherebbe, ma che — e qui ritorno sul MacBook Pro Retina — possono dare il meglio di sé più l’utente si avvicina al tipo di utilizzo professionale che intende Apple. Con certe applicazioni, con certe periferiche. (Una nota di passaggio, sempre sull’espandibilità del nuovo MacBook Pro: al momento, la sola idea di collegarlo a un monitor esterno è ridicola se lo si è acquistato per la risoluzione Retina. Non essendovi ancora un monitor Retina esterno, tanto vale usare quello del MacBook Pro. Che è ottimo, è denso, è nitido, però le dimensioni fisiche dello schermo possono essere scomode per alcuni).
L’altra sottile contraddizione: ci si ritrova con portatili sempre più sottili, sempre più potenti, che dovrebbero quindi durare di più, specie considerando caratteristiche di grande attrattiva come lo schermo Retina, ma al tempo stesso più chiusi, più difficilmente espandibili, che spingono a investimenti più dispendiosi[1], e che alla fine hanno un ciclo di vita di poco superiore ai due anni. Evidentemente, il Mac declassato a ‘dispositivo’ (ricordate quel che disse Jobs all’evento Back To The Mac nel tardo 2010?), e quindi al livello di iPhone e iPad, nel medio-lungo termine finisce con l’ereditarne la brevità di ciclo di vita e la frequenza di rinnovo. A ritmi che per un iPhone o iPad mi stanno benissimo, per stazioni di lavoro portatili un po’ meno. Sono molto curioso di vedere cosa succederà da qui al 2014, e confido che Apple sappia quando, come e quanto tirare la corda. Ma non nascondo qualche sensazione contrastante a riguardo.
- 1. Infatti, se prendiamo l’utente che vuole il MacBook Pro Retina più potente, con RAM al massimo, disco flash al massimo, ecc., ovviamente a tutta la spesa (che già arriva ai 4.000 Euro) vorrà aggiungere anche l’Apple Care per stare più tranquillo. Idea intelligente e condivisibile, ma sempre e comunque un ulteriore esborso. ↩