Doverosa premessa: seguo da tempo Diego Petrucci de Il Mac Minimalista, e apprezzo molto i suoi contributi (altrimenti non avrei nemmeno preso spunto per scrivere questo pezzo). Tuttavia il suo recente post, Analogico e digitale mi ha lasciato un po’ perplesso. Ho inteso il succo del discorso di Diego, ma il ragionamento mi appare forzato in alcuni punti.
Anzitutto — e qui parlo in generale — trovo fuorviante presentare analogico e digitale come due sfere in opposizione su tutto, con una che deve necessariamente escludere l’altra (ed è una cosa che ho visto fare abbastanza spesso per la rete o chiacchierando fra persone). Per come la vedo io, è molto più produttivo sfruttare i punti di forza di entrambe le sfere. Io sono cresciuto con l’analogico e ho visto il digitale penetrare nella mia vita progressivamente. Certe vecchie abitudini mi sono rimaste, sono senza dubbio più legato alla soluzione ‘carta e penna’ rispetto a persone dell’attuale generazione, e mi sono rifiutato di farmi travolgere dal digitale in maniera acritica; ma riconosco senza problemi certe comodità e certo progresso vero che il digitale ci ha dato.
Conosco persone che sembrano quasi ossessionate dal voler rimpiazzare qualunque brandello di analogico rimasto cercando e adottando la controparte digitale a tutti i costi. Eccoli quindi buttare qualsiasi cosa abbia a che vedere con la carta (libri, manuali, pubblicazioni, ecc.) e rifarsi la biblioteca in formato digitale; eccoli vantare il paperless office, l’ufficio senza carta, dopo aver passato giornate intere a scannerizzare cartellette su cartellette di materiale archiviato per avere tutto memorizzato nel computer; eccoli importare decine e decine di CD, nastri e vinili (o anche a ricomprare in formato digitale album che già possiedono, così da evitare il lavoro di conversione e importazione) per poi disfarsi di quei supporti ingombranti; e via dicendo.
Rispetto queste decisioni, intendiamoci. Comprendo l’entusiasmo e riesco a intravedere anche l’elemento liberatorio dietro a questo processo di ‘digitalizzazione totale’ della propria vita. Ci si guadagna in spazio, non v’è dubbio. Quel che mi lascia perplesso sono certi estremismi, da entrambe le parti, sia di chi vede il digitale come il nuovo male, sia di chi vede l’analogico come qualcosa di vecchio, ridicolo, inutile, buono per nostalgici (e neo-nostalgici), e soprattutto ‘peggiore’ perché col digitale si fa tutto meglio a prescindere, secondo loro. Da questi atteggiamenti scaturisce proprio quella posizione oppositiva — analogico contro digitale, o digitale contro analogico — che non condivido per niente.
E da tale contrapposizione saltano fuori confronti impropri, in cui si mettono sullo stesso piano le proverbiali mele e arance. Qui torno all’articolo di Petrucci, dove un povero taccuino Moleskine viene risucchiato in un confronto da cui non può granché difendersi perché viene forzosamente fatto competere in ambiti non sempre pertinenti:
[…] per usare l’analogico devo: avere una Moleskine, sempre con me — cosa tutt’altro che banale: ce l’hai a scuola/lavoro ma non quando esci
Uh, e perché no? Ci sono Moleskine e simili taccuini che stanno senza problemi nella tasca posteriore dei pantaloni, e penne come la Pilot Super Grip XS che sono piccole (in questa immagine si vede la differenza rispetto a una Pilot normale), stanno comodamente in tasca, si impugnano bene e scrivono bene. Questo per chi è assolutamente allergico a ogni tipo di borsa, zaino, zainetto, e vuole andare in giro senza alcun bagaglio sempre e comunque. Altrimenti, se si è abituati ad avere con sé una borsa o uno zainetto, il problema di avere penna e taccuino sempre a portata di mano non si pone nemmeno.
ce l’hai sul treno ma è da pazzi appuntare velocissimamente qualcosa se hai solo trenta secondi e devi nel frattempo raggiungere un altro luogo
Questo è assolutamente soggettivo e opinabile e dipende parecchio dalle abitudini di ognuno. In una simile circostanza io riesco a essere più veloce con carta e penna, e trovo più laborioso estrarre l’iPhone, sbloccarlo, aprire l’applicazione che voglio usare per scrivere l’appunto (anche se si trova sulla schermata Home), e infine digitare. E Siri è fuori discussione perché dubito molto che riesca a trascrivere fedelmente quel che voglio appuntare. Se poi l’appunto stesso è un’inezia come “Chiamare Paolo domani”, allora non ho bisogno di appuntare niente; ma qui, ripeto, si entra nelle abitudini personali. Comunque, rimanendo nell’ambito del buonsenso, non mi sembra una cosa tanto impossibile prendere un appunto veloce su un block notes o un quaderno. (Nel caso estremo in cui devo proprio prendere nota di qualcosa e sono così di fretta che devo farlo camminando, allora siamo d’accordo: meglio cavare l’iPhone e scrivere, perché almeno uso una mano sola.)
non ce l’hai mentre guidi (per dio usate Siri però, non le mani)
Ecco, questa non l’ho capita. A cosa dovrebbe servire una Moleskine mentre si guida? Io guido dal 1990, da prima che cellulari, smartphone e navigatori satellitari fossero onnipresenti: non ho mai usato un taccuino in macchina. Forse Petrucci vuole dire che una Moleskine non può darmi indicazioni punto a punto? Beh, ovvio, non fa parte delle caratteristiche di un taccuino, né me lo aspetto. O forse vuol dire che non posso usare una Moleskine per appuntarmi delle cose mentre guido? Ma appuntarmi che cosa, di grazia? Non c’è circostanza peggiore del guidare per volersi cimentare nel multitasking. Da 23 anni a questa parte, le uniche attività che svolgo mentre guido sono conversare (se in compagnia) e ascoltare musica (e non sempre).
In più: devi avere sempre una penna a disposizione; una penna perfetta, magari, che non sporca e asciuga subito, una penna carica di inchiostro (che non è banale), e soprattutto una penna che non hai perso (per me, cosa tutt’altro che banale)
Questa mi sembra un’esagerazione un tantino sofistica per tirare acqua al proprio mulino. In realtà non è così complicato: di penne decenti ed economiche ce n’è a bizzeffe: sono anni che scrivo con tutto e su tutto, e solo in rare occasioni mi sono trovato delle biro davvero pessime per le mani. Il consumo di inchiostro è sorprendentemente contenuto in una penna a sfera (le stilografiche con cartucce di plastica sono molto più sprecone da questo punto di vista), e in tanti anni di scrittura mi sarà capitato un paio di volte di terminare l’inchiostro proprio mentre stavo scrivendo e senza avere una penna di ricambio sottomano. E come rimedio contro gli smarrimenti, molti legano le penne ai taccuini con un elastico.
E ancora: devi avere un minimo di standard, una formattazione, altrimenti dopo cinque gironi [sic] non ci capisci più niente.
Di nuovo: siamo nel soggettivo più squisito. Io ho notato che le cose che scrivo o copio usando carta e penna tendono a rimanermi più impresse col passare del tempo, e difficilmente mi perdo tornando sui vecchi appunti. In ogni caso, anche decidendo di seguire un certo ‘standard’ e una certa ‘formattazione’, non mi pare uno sforzo cognitivo insostenibile: si schematizza, si scrive la data (se non è già presente nel taccuino), si numerano i vari frammenti, ecc. ecc. Se il problema è il proprio essere disordinati, il mezzo con cui si scrive è relativo e il digitale non ci rende automaticamente ordinati se non lo siamo per natura. Nella mia esperienza di consulente Mac ho visto i computer di gente disorganizzata in cui il caos cominciava dai 50 file di Word ed Excel piazzati a casaccio sulla Scrivania…
E devi ricordarti di riguardarla, ogni tanto, la Moleskine, ché non suona mica da sola per ricordarti che devi comprare la pasta.
Mi sembra ovvio che chi preferisce usare una Moleskine rispetto a uno smartphone tenda a guardarla spesso e a farvi riferimento. Mio nonno era così: si segnava tutto su quelle agende che gli venivano regalate dall’azienda dove lavorava o dalla banca, e si portava l’agenda dappertutto. Se il tuo mondo, la tua organizzazione, ruota intorno a un quaderno, è chiaro che darai un’importanza particolare a quel quaderno. Proprio come chi oggi fa tutto con lo smartphone o con il tablet: non lo molla mai.
Sui promemoria: uno dei vantaggi di essere cresciuti con l’analogico e di non aver potuto fare affidamento su ‘assistenti personali digitali’ è per me quello di non aver bisogno di ricorrere ad applicazioni di promemoria, calendari o task manager di sorta. (O forse sono io ad avere buona memoria ed è tutta predisposizione!)
Diego conclude:
Insomma: in un mondo ideale usare l’analogico è bello e facile e figo e viene visto con un filtro a là Instagram, un po’ meno in quello in cui viviamo tutti i giorni. Il digitale, invece, sebbene apparentemente cattivo, e brutto, e mai adatto, ha vantaggi — tipo l’essere sempre con te […], l’essere sempre sincronizzato, l’essere intelligente a ricordarti nel momento giusto le cose, l’essere utile perché ti permette di usare l’internet per aumentare quel che fai (link, luoghi, ecc.) — che l’analogico non ha. Non ha il fascino del vecchio, quello sì, non glielo perdoneremo mai. Ma funziona, almeno per me, meglio.
La reazione spontanea sarebbe quella di rispondere che quando non esistevano gli smartphone le persone riuscivano lo stesso a vivere e a organizzarsi senza dover compiere sforzi immani. Concretamente, e ribadendo il discorso fatto più sopra: perché mettere analogico e digitale uno contro l’altro a tutti i costi? “Usare l’analogico”, penna e taccuino in particolar modo, non è affatto così complicato come lo fa sembrare Petrucci. A parte la Moleskine, Diego non entra nello specifico di questo “usare l’analogico”, ma possiamo estendere il discorso ad altri esempi. La macchina fotografica a pellicola non è più complicata di una digitale, comporta un flusso di lavoro leggermente diverso, e non offre la gratificazione istantanea di vedere subito le foto. Le macchine a pellicola punta-e-scatta sono semplici da usare quanto le punta-e-scatta digitali, le reflex sono complesse come le reflex digitali (ma neanche tutte: alcune reflex Canon degli anni Settanta sono molto più semplici e intuitive delle DSLR di adesso).
Usare mappe cartacee può essere più scomodo che non seguire pedissequamente le direzioni impartite dal navigatore, ma anche qui non è richiesto uno sforzo intellettivo insostenibile per usarle se e quando si vogliono usare. Una cosa che ho notato — uso come campione la mia cerchia di conoscenze, quindi non so quanto sia attendibile come statistica — è che le persone abituate a cavarsela da sole con le indicazioni stradali e geografiche tendono ad avere un maggior senso dell’orientamento in generale e soprattutto nei casi di emergenza. Forse accade perché, non dovendo seguire in modo passivo il percorso fornito dal navigatore, prestano maggiore attenzione all’itinerario e a dove stanno andando. Di contro, ho visto un’amica lasciarsi sopraffare da un attacco di panico il giorno in cui si era dimenticata di ricaricare la batteria del navigatore satellitare e si era spento durante il viaggio. Si era sentita completamente persa.
Per concludere: analogico e digitale possono coesistere benissimo senza necessariamente escludersi a vicenda. Se una persona ha abitudini radicate nell’analogico non vedo perché dovrebbe cambiarle per forza. Se io riesco a prendere appunti più velocemente e più comodamente con penna e taccuino, non ha senso che mi imponga di utilizzare metodi e dispositivi che, pur all’avanguardia, alla fine mi rallentano e mi ostacolano. (E il bello è che il discorso vale anche al contrario: se uno è cresciuto nel digitale e si trova meglio a fare le cose ‘digitalmente’, eccetera eccetera.) La diatriba fra ‘modernisti/progressisti’ e ‘passatisti’ mi fa un po’ ridere e dimostra sostanzialmente come chi sostiene l’analogico sopra tutto sia poco pratico di digitale, e anche chi sostiene il digitale come il meglio sempre e comunque sia poco pratico di analogico — magari semplicemente per non averne avuto esperienza diretta e prolungata.
Personalmente faccio uso di entrambe le sfere, analogico e digitale, cercando di ottenere il meglio da entrambe. Non considero il digitale “cattivo e brutto e mai adatto”, tuttavia faccio il possibile per non dipendervi completamente e per ogni sciocchezza. Ho sempre il terrore, tutto personale s’intende, che tutto questo delegare a dispositivi elettronici ogni genere di sforzo cognitivo e mnemonico alla lunga finisca col renderci più pigri mentalmente, e alienati da un sovraccarico di informazioni (rumore) invece che affamati di conoscenza (segnale). L’importante è ricordarsi che, analogico o digitale, sempre di mezzi si tratta, non di fini.
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