La mia formazione è umanistica. Sono sempre stato portato alle lettere e alla scrittura: i miei primi sforzi poetici risalgono all’età di 14 anni, e fino ai 19 tutta la mia produzione creativa (poesie e racconti brevi) è stata diligentemente scritta e corretta usando carta e penna e riempiendo un considerevole numero di agende che mio nonno e mio padre mi regalavano (erano i classici omaggi aziendali e/o delle banche, e loro non sapevano che farsene). Dai 19 ai 23 fu l’epoca della macchina da scrivere (elettrica): una Olivetti ETP 56 dotata di un mini-display sul quale era possibile pre-visualizzare la riga che si stava scrivendo ed effettuare tutte le correzioni del caso prima di inviarla ‘in stampa’ premendo Return (era anche possibile usare la macchina in modo manuale, come una tradizionale macchina da scrivere).
Contemporaneamente c’era l’interesse per i computer, che in varia misura sono sempre stati presenti nella mia vita: il primo fu un Commodore VIC-20 che mi fu regalato per il mio decimo compleanno. Pur essendo una macchina dalle prestazioni ridicole sia per i tempi attuali che per quei tempi, mi aprì un mondo di interessi e iniziai a comprare libri e riviste per saperne di più, sul VIC-20 e sui computer in generale. Già conoscevo Apple: frequentavo di tanto in tanto un amico che possedeva un Apple IIe e ci faceva di tutto. Fu anche grazie a lui che l’informatica prese a occupare una parte sempre più grande fra i miei interessi. Avrei voluto passare ad Apple già in quel periodo, ma gli Apple II costavano troppo per le tasche della mia famiglia, e dovetti accontentarmi dei Commodore; il VIC-20 prima e il Commodore 64 poi. Mi limitavo a seguire gli sviluppi di Apple e dei personal computer più ‘seri’ attraverso la letteratura: libri, come ho già detto, e riviste quali Bit, Applicando, Personal Software, Microcomputer; per il mondo Commodore ricordo con affetto Commodore Gazette.
I Commodore erano computer per giocare. A quei tempi cercavo di convincere i miei genitori e forse anche me stesso che fosse possibile anche realizzare qualcosa di costruttivo con il C=64, ma il gioco e la diversione erano le attività primarie. Poi la svolta: quando GEOS arrivò in Italia (fine 1986, primi 1987, se non vado errato) non stavo più nella pelle e fui tra i primi a ordinarlo (tanto che il negoziante non poteva darmi un manuale in italiano a corredo del dischetto, e dovetti accontentarmi di un manuale in tedesco e orientarmi con le figure!). Il floppy costò la bella somma di 25.000 Lire. Potete vedere una schermata di GEOS in fondo a questa pagina. C’era più di una similitudine con l’interfaccia grafica dei primi Macintosh, e l’uso intensivo di GEOS sul Commodore 64 è stato indubbiamente propedeutico, visto che quando finalmente iniziai a usare i Mac già mi trovavo perfettamente a mio agio con icone, doppi clic e metafore di scrivania. Con GEOS — a mio parere uno dei migliori software mai scritti per il Commodore 64 — iniziavo a fare un uso ‘serio’ di quel piccolo home computer solo-per-giocare. Infatti, grazie alla comodità di poter immagazzinare file in floppy da 5″ 1/4, presi a trascrivere buona parte della mia produzione letteraria usando GeoWrite, che come MacWrite sul Macintosh era un word processor WYSIWYG e permetteva di scrivere testi con stili, grassetti, corsivi e quant’altro.
Poi arrivarono in casa computer più potenti: mio padre mi portava a casa gli scarti aziendali, e nei primi anni Novanta ho avuto per le mani un po’ tutti gli IBM, dagli 8088 con doppio floppy e monitor a fosfori arancio, agli 8086, agli XT/AT 80286, per non parlare dei Compaq. Lì tornavo a un tipo di videoscrittura a caratteri monospaziati e senza alcun tipo di anteprima realistica a video di quel che sarebbe stato il documento finale, però erano i miei primi computer ‘seri’ e la mia scrittura creativa continuò con essi. Intanto collaboravo con piccole agenzie e associazioni, tutte in ambiente Mac, e avevo la mia postazione per fare i primi lavori di Desktop Publishing (ricordo ancora un certo Macintosh SE e una LaserWriter che all’epoca costavano insieme come una berlina di un certo pregio). Non vedevo l’ora di trasferire la mia opera su Mac, ma per il momento il Mac era fuori casa; in casa avevo un muletto, un PC 386DX a 40 MHz, 8 MB di RAM, coprocessore matematico e unità CD-ROM, sul quale ho scritto tantissimo: per diversi anni la mia configurazione fu quel computer con installato Windows 3.1 e Word 2.0. L’output avveniva su una HP LaserJet 4L comprata nel 1994 e pagata quasi 1.200.000 Lire (funziona ancora, tra l’altro).
Poi arrivarono i Mac anche a casa: dopo quasi dieci anni di utilizzo senza possederne di miei, fecero il loro ingresso un Macintosh Classic e un PowerBook 150, poi arrivarono le StyleWriter e una pesantissima Personal LaserWriter.
Infine arrivò Internet. E mi rovinò la vita. Almeno per quanto riguarda la scrittura creativa. Fino al 1999–2000 la mia produzione (poesie, racconti brevi, un romanzo breve e uno più articolato) non aveva incontrato battute d’arresto ed era anzi proseguita con grande prolificità. Internet, la corrispondenza elettronica, i newsgroup, cominciarono un lento ma inesorabile lavoro di erosione: del mio tempo, delle energie, della capacità di concentrarsi su un progetto, su una storia, e chiudere il mondo fuori. Il tempo dedicato alla scrittura è andato assottigliandosi sempre più, fino ad arrivare ai tempi odierni, in cui è pressoché inesistente. Ironia vuole che per lavoro e anche per il mio interesse per la tecnologia, io non faccia altro che scrivere al computer tutto il giorno, cosa che frustra di molto il mio lato creativo.
Sono presto arrivato alla conclusione che non è possibile — per me, almeno — scrivere alla stessa postazione in cui lavoro, leggo notizie, gestisco la posta, navigo il Web. Con la possibilità di tenere svariate applicazioni aperte, è facile essere distratti dall’arrivo di email, di Feed RSS aggiornati, dalla tentazione di fare ricerche sul Web seguendo l’impulso del momento e ritrovarsi dopo due ore ad aver letto tante informazioni (seguendo il link del link del link del link) ma senza aver prodotto nulla. La soluzione è configurarsi una postazione senza connessione a Internet, senza browser, senza email, senza distrazioni: solo io, le mie idee, e il word processor. Ora che sono entrato in possesso della tastiera ADB dell’Apple IIGS, che è la più compatta (e solida) delle piccole tastiere ADB prodotte da Apple, l’ho collegata al mio Macintosh Colour Classic, e in questi giorni sono andato configurando il Colour Classic come postazione desktop di scrittura creativa. La sua controparte portatile è l’eMate 300, che posso facilmente collegare al Colour Classic per il trasferimento dei file. Un’altra postazione mobile che sto approntando è l’iBook clamshell recentemente acquistato su eBay, che vorrei tenere come macchina solo OS 9, nonché tramite efficiente fra il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’ mondo.
In questi giorni, forse complici anche le festività e il periodo di vacanza, ho ripreso a scrivere, e vorrei continuare così anche il prossimo anno. L’effetto di tornare a usare quotidianamente un Mac con schermo a 10 pollici e System 7.1 è senza dubbio interessante, ma ci sono una calma e un ordine nell’interfaccia del vecchio System 7 e nel fatto di avere una sola applicazione in primo piano, che sono quasi sufficienti a ispirare il processo creativo. Devo ancora decidere quale strumento di scrittura usare (Word 5.1, WordPerfect, un vecchio Nisus Writer o WriteNow? Sono tutti ottimi candidati, ognuno con i suoi pro e contro, anche se tendo a preferire WordPerfect e WriteNow) e per il momento prendo appunti con il buon vecchio SimpleText. Senza contare il piacere di un Mac che si avvia in 40 secondi e si è già al lavoro…
Buon Anno Nuovo a tutti!
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