Sunrise

Mele e appunti

Stavo dando un’occhiata ad alcune cartelle di applicazioni che uso di rado, per fare un’ulteriore sfoltita e mi sono imbattuto in una vecchia versione di Sunrise. Nemmeno mi ricordavo che fosse un altro browser Web. Sono andato sul sito e ho scaricato la ultima versione, 1.8.3 (io avevo ancora la 0.8.qualcosa), e ci ho fatto un giro di prova. Non faccio mistero che dei browser ‘piccoli e indipendenti’ continuo a preferire Stainless, ma anche Sunrise non è male. Non c’è bisogno che inserisca schermate, l’aspetto di Sunrise è ben visibile sul sito, ma va detto che le migliorie sono consistenti. (Piccola parentesi: in applicazioni che vengono aggiornate con grande frequenza a volte non ci si rende conto della portata delle migliorie apportate strada facendo; ho l’abitudine di conservare vecchie versioni di browser e altri programmi. Di tanto in tanto vado a lanciarle e le differenze, a distanza di svariate versioni, sono proprio evidenti — come Chimera e Firebird, le precedenti incarnazioni di Camino e Firefox. Lanciare l’ultima versione di Sunrise e confrontandola con quella che avevo prima, forse di un anno fa o più, è stato interessante e i passi avanti sono subito saltati all’occhio).

Sunrise è l’ennesimo browser basato su WebKit ma che si propone di avere un’interfaccia più snella di Safari e di guadagnare in velocità, oltre a presentare alcune funzioni oggettivamente assenti in altri ‘colleghi’. I Visual Bookmarks non sono una brutta idea: il concetto è presentare i segnalibri in una griglia di miniature (simili a quelle che crea OmniWeb nella barra laterale quando si aprono più pannelli). È quel che Safari 4 beta fa con la tecnologia CoverFlow, ma che in Sunrise mi pare più efficiente e meno avida di risorse grafiche.

Le due funzionalità che mi paiono degne di nota, e che distinguono Sunrise da altri browser, sono però le seguenti:

  1. Snapshot Entire Page: Permette di catturare una schermata dell’intera pagina Web e di editarla all’interno del browser stesso. Una volta dato il comando, si apre un pannello dal fondo scuro in cui è possibile specificare le dimensioni in pixel, la percentuale di zoom in caso si voglia rimpicciolire/ingrandire la selezione, e il formato del file che verrà salvato (TIFF, GIF, JPG, PNG). La grandezza del file viene continuamente aggiornata a ogni modifica.
  2. Save Entire Page as PDF: Permette di salvare l’intera pagina Web in un file PDF.

La comodità di entrambe le funzioni (accessibili dal menu File) è proprio la gestione della pagina intera. A volte può capitare di voler catturare l’intero contenuto di una pagina e non solo la porzione visibile nel browser. Un altro tocco apprezzabile è la possibilità, nelle preferenze dell’applicazione, di specificare il proprio editor di testi preferito per la visualizzazione del codice sorgente delle pagine Web.

Non ho fatto confronti cronometro alla mano fra Sunrise, Safari e Stainless, ma Sunrise sembra davvero scattante nel caricamento di siti complessi. Tutti e tre i browser renderizzano comunque a una velocità più che soddisfacente. Sunrise è freeware (chi vuole può inviare donazioni) e pesa davvero poco (l’applicazione occupa meno di 3 MB sul mio PowerBook). Non va certo a sostituire altri browser che uso regolarmente, come Camino, Safari e Stainless, ma forse vale la pena di tenerselo buono per sfruttarne le funzioni particolari viste sopra.

Dal PowerBook al MacBook

Mele e appunti

No, non ho ancora fatto il grande salto ai processori Intel con un MacBook nuovo fiammante, ma un articolo apparso su Macworld.com un paio di giorni fa ha attirato la mia attenzione. Il pezzo, scritto da Derik DeLong si intitola Can a MacBook replace a 12-inch PowerBook?, ovvero Può un MacBook sostituire un PowerBook G4 a 12 pollici? L’autore possiede lo stesso identico modello di PowerBook G4 che ho io, e racconta le sue impressioni dopo essere stato costretto ad aggiornare a un MacBook per inconvenienti hardware al PowerBook:

Dopo aver sostituito lo schermo e il disco rigido, la batteria ha deciso di abbandonarmi mentre mi trovavo al Macworld Expo. […] È stato in quel momento che ho iniziato a rendermi conto che era il principio della fine. Come giustificare l’acquisto di una nuova batteria per un portatile ormai anziano, come giustificare la spesa di più di cento dollari per una macchina in grado di fare sempre meno di ciò di cui avevo bisogno? 

Su questa specifica osservazione tornerò dopo. DeLong decide quindi di acquistare un MacBook unibody da 13,3 pollici (suppongo il modello base, visto che parla di 2 GHz) e di portarlo subito a 4 GB di RAM. Le sue impressioni sono decisamente positive: il salto prestazionale, scrive, è impressionante:

[…] soprattutto i tempi di avvio e spegnimento. Fare un riavvio non mi spaventa più, che è un’ottima cosa se consideriamo la mia seconda osservazione.

La mia seconda osservazione ha a che vedere con il consumo della batteria durante lo stop. I miei PowerBook mi avevano abituato all’idea che mettere il portatile in stop era efficace quasi quanto spegnerlo. Potevo metterlo in stop, lasciarlo staccato dalla corrente per giorni, e perdere al massimo un paio di punti percentuale della carica. Adesso metto il MacBook in stop, lo stacco dalla corrente e lo lascio così durante la notte o per una decina di ore. Quando lo risveglio scopro che ha perso circa il 12% della carica — è pazzesco. 

Su questo non ho esperienze di prima mano. Sono così spreconi i nuovi MacBook? Dai commenti all’articolo di DeLong parrebbe di sì, ma mi farebbe piacere avere conferme da chi, fra i miei lettori, ha fatto un passaggio analogo da PowerBook a MacBook.

Terza osservazione di DeLong:

Fatico a credere che sia così scomodo aggiornare/sostituire la RAM, ma incredibilmente pratico sostituire il disco rigido. Certo, si porta al massimo la RAM una volta sola, ma togliere tutte quelle viti è stata un’esperienza di ‘piacere ritardato’ che non avevo mai sperimentato con i miei PowerBook G3 Pismo e PowerBook G4 12 pollici. Invece cambiare il disco rigido (l’unico componente del PowerBook G4 a 12 pollici che ho pagato affinché venisse sostituito) è stato un gioco da ragazzi. 

Heh, DeLong non ha voluto sporcarsi le mani con il disco rigido del PowerBook G4 12 pollici. Io sì. Per chi non lo sapesse, sostituire il disco interno del PowerBook significa togliere più di trenta viti di varie dimensioni. Per quanto riguarda la RAM, in effetti i PowerBook di una volta rendevano l’operazione molto ma molto più semplice, soprattutto i Titanium, per i quali era questione di sollevare la tastiera e si aveva accesso immediato ai banchi di RAM, senza nemmeno togliere una vite.

Le ultime osservazioni riguardano la retroilluminazione sensibile alla luce ambiente (Se uno non è abituato o non sa che c’è, l’effetto è piuttosto sconcertante — anche qui mi farebbe piacere sapere le vostre impressioni) e l’impatto con il nuovo form factor del MacBook.

Mi piace lo spazio in più a disposizione sulla barra dei menu, grazie al formato widescreen del MacBook. Allo stesso tempo mi mancano le proporzioni ‘corte’ e le dimensioni fisiche del PowerBook G4 12 pollici. In realtà il MacBook non è molto più ingombrante del PowerBook, ma è un cambiamento che, seppur minimo, si nota senza dubbio.

Io farò il grande passo fra qualche mese. Il piano iniziale era prendermi un MacBook unibody entry-level intorno a questo periodo, ma una serie di riflessioni ed esigenze mi hanno portato ad aspettare un po’ di più e optare per il MacBook Pro da 15 pollici e 2,4 GHz. In primo luogo, la portabilità estrema non è più un requisito principale. Ho ancora bisogno di Mac portatili, ma mi muovo decisamente meno di quando vivevo nella provincia di Milano; o meglio, i miei spostamenti non sono meno frequenti, ma più brevi. Avere con me un portatile un po’ più ingombrante o pesante del PowerBook G4 12 pollici non è un grosso problema. Secondariamente, mi serve la porta FireWire, e il MacBook bianco (l’unica alternativa) non mi piace. Il mio nuovo MacBook deve essere un investimento destinato a durarmi più di quanto mi sta durando il PowerBook G4, e il MacBook bianco, malgrado il prezzo appetibile, non mi comunica affatto la robustezza degli unibody, anzi.

In terzo luogo voglio proprio evitare il confronto con il PowerBook G4 12 pollici, per valorizzare sia il nuovo MacBook Pro da 15 pollici, sia il vecchio PowerBook. E qui si innesta l’osservazione di DeLong citata all’inizio. Lui dichiarava che aveva poco senso continuare a investire denaro nel PowerBook G4 12 pollici, arrivato ormai al pensionamento. Il mio approccio è differente. Quando sarò passato al MacBook Pro da 15 pollici, il valido PowerBook G4 12 pollici sarà sottoposto a un trattamento di bellezza: nuovo e più capiente disco rigido, nuova batteria e nuovo alimentatore. Diciamo che sarà il mio netbook Apple. Dimensioni contenute, peso accettabile, prestazioni ancora decenti (almeno per me).

Per concludere, è interessante notare nei commenti all’articolo di DeLong l’enorme successo che ha avuto e ha tuttora il PowerBook G4 12 pollici, probabilmente il miglior portatile Apple nel rapporto potenza/dimensioni. Molti lo usano ancora a distanza di 5–6 anni, altri, pur essendo passati ai MacBook, non lo mollano o non lo dimenticano; altri ancora vorrebbero aggiornare ma temono di abbandonare le dimensioni e proporzioni azzeccate del ‘vecchio’ PowerBook G4 12 pollici. Diverse persone infatti, alla domanda che dà il titolo all’articolo (Può un MacBook sostituire un PowerBook G4 a 12 pollici?) hanno risposto con un no deciso.

Poi c’è chi non si arrende e vuole che Apple recepisca il messaggio: serve un MacBook da 12 pollici!

Gratis

Mele e appunti

Questa mattina scarico la posta, e nell’account Gmail che ho fornito in questo blog per i contatti in privato trovo due messaggi di natura diametralmente opposta.

Il primo è estremamente irritante, malgrado l’oggetto dell’email prometta bene: “Proposta di lavoro”. L’autore dell’email — un idiota che non merita nemmeno che lo chiami per nome — mi proporrebbe un lavoro di traduzione, anche abbastanza articolato, una sorta di pacchetto che comprende la traduzione di alcune pubblicazioni, la possibile versione in inglese di un piccolo software di accompagnamento, e una consulenza per verificare la correttezza della versione inglese del suo sitarello Web. Problemino (parola sua): l’eventuale pagamento avverrebbe in data da precisarsi e solo dopo l’approvazione del lavoro.

Notare, prego, la parola ‘eventuale’. Notare inoltre che, in altre parole, questo personaggio vuole che gli faccia il lavoro e, se gli piace, mi pagherà. Eventualmente. A babbo morto.

L’idiota allega al messaggio tre corposi file formato Word, per un totale di oltre 6 MB. Aperti i file, giusto per curiosità, scopro che sono un disastro di formattazione, che contengono immagini bitmap tanto scalettate quanto inutili e ingombranti, e che il materiale ricorda quelle newsletter amatoriali che iniziarono ad apparire con il boom del Desktop Publishing e che io facevo molto meglio e in maniera decisamente più professionale con un Macintosh SE alla fine del 1989.

Purtroppo l’idiota è rappresentativo di un campione umano che mi capita di incontrare da diverso tempo. Quelli che credono che solo il loro tempo abbia un valore e il mio no. Quelli che credono che occuparmi di traduzioni, di scrittura (anche) tecnica, e di consulenze (che in genere spaziano dalla risoluzione dei problemi su piattaforma Mac alla revisione di traduzioni altrui, fatte spessissimo con i piedi) sia un hobby, mica un ‘lavoro serio’ che porta a casa la pagnotta. La mia figura professionale sembra manchi di professionalità per queste persone, che probabilmente si immaginano un nerd che non fa altro che cazzeggiare davanti al computer tutto il giorno. Come se io ritenessi un rappresentante commerciale uno che non fa altro che cazzeggiare in macchina tutto il giorno. O un avvocato uno che cazzeggia tutto il giorno fra il suo studio, il bar ristorante giù all’angolo, col suo BlackBerry e quattro scartoffie sotto braccio.

Per quelli come l’idiota che mi ha scritto la mia professione vale così poco che, pur non sapendo fare il mio lavoro (altrimenti non si servirebbero di un traduttore), si permettono di ‘giudicarlo’ o ‘approvarlo’ prima di un ‘eventuale’ pagamento.

Se rispondo che dovrei far pagare anche il preventivo si mettono a ridere. Moltissime altre categorie di liberi professionisti lo fanno, che c’è di tanto strano? Eh, ma io mica sistemo tubazioni o impianti elettrici, mica rifaccio pavimenti, mica restauro appartamenti.

Il mio tempo vale né più né meno di quello di ogni altro professionista; e per fare quello che faccio il tempo è un grosso investimento, dato che è necessario che io sia sempre aggiornato, a livello di conoscenze e a livello di strumenti. Essere a disposizione per traduzioni tecniche, senza ulteriori specificazioni, significa potenzialmente lavorare a testi con linguaggi tecnici spesso molto diversi fra loro. Può capitare di tradurre un libro o parte di un volume su C# o Ajax o l’amministrazione delle reti, oppure di tradurre la manualistica di un impianto di riscaldamento industriale, oppure uno studio accademico su una malattia cerebrale, o un testo di architettura, e così via. In più cerco di ritagliare del tempo anche per il mantenimento della mia presenza in Internet, per i miei blog e progetti personali. In più devo ritagliare del tempo per la mia famiglia. In più devo poter dormire almeno cinque-sei ore per notte.

E secondo questo idiota dovrei accettare di lavorare praticamente gratis?

Scusate lo sfogo, solitamente il mio atteggiamento segue il famoso passaggio dantesco Non ragioniam di lor, ma guarda e passa, ma a volte i vasi si riempiono e arriva la proverbiale goccia a farli traboccare.

* * * * *

Il secondo messaggio un po’ mi rinfranca. Giulio mi scrive una breve email facendomi i complimenti per il blog, per lo stile, per la qualità dei contenuti, eccetera. Si definisce un lurker di poche parole, però mi domanda: Il tuo impegno dovrebbe essere premiato. Immagino il tempo che ci metti per fare quel che fai. Sul blog non c’è nemmeno un annuncio pubblicitario. C’è un modo per farti una donazione o ringraziarti per quel che fai?

Giulio, bella domanda. Avevo pensato di mettere il classico badge di PayPal, come metodo semplice e veloce di raccolta offerte, ma davvero non saprei. Mi dico che forse è troppo presto, che forse cambierebbe sottilmente il rapporto con i pochi-ma-buoni lettori che mi seguono con assiduità. Che forse a me creerebbe false aspettative o ‘ansia da prestazione’ (cioè cercare di aggiornare il blog frequentemente e sempre con articoli di alto livello). Non so. È chiaro che ogni donazione è ben accetta; come deve essere chiaro che non è vincolante.

Se qualcuno vuole sbarazzarsi di Mac vintage, sul mio blog inglese System Folder c’è da sempre una pagina con la mia lista dei desideri. Sto anche aiutando una nascente associazione culturale qui a Valencia, fatta di giovani in gamba ma con un budget all’osso, per cui dei portatili G3 o G4 sono sempre ben accetti (colgo l’occasione per ringraziare Marco Fiore, che mi ha inviato un paio di mesi fa un PowerBook G4 Titanium in eccellente stato di conservazione). Insomma, si può donare in tante maniere, se si vuole.

Detto questo, nessuno è obbligato. Ho menzionato il messaggio di Giulio semplicemente perché mi ha fatto piacere ricevere la sua stima specie dopo il messaggio dell’idiota suddetto. Mi ha rinfrancato lo spirito e già questa è una bella donazione. Grazie, Giulio, e grazie a tutte le persone che mi seguono e che accrescono il valore di questo spazio con i loro contributi. Ho grande rispetto per voi tutti.

I compromessi nella realizzazione di un dispositivo portatile (2)

Mele e appunti

Sorta di appendice al post di ieri, volevo presentare alcuni stralci interessanti di uno studio/presentazione curato nel 1994 da Michael Culbert, allora System Architect di Apple (Informazioni e PDF).

Il documento illustra il percorso di design dell’architettura hardware e software e dimostra come uno dei fondamentali punti di convergenza sia proprio il risparmio energetico. Vengono spiegati i compromessi e le soluzioni adottati per raggiungere un equilibrio prestazionale che offra da una parte un’interfaccia sempre responsiva e pronta all’uso, dall’altra una serie di accorgimenti per ottenere bassi consumi quindi grande autonomia quindi grande affidabilità del dispositivo portatile (specie se consideriamo le forti garanzie di persistenza dei dati archiviati).

L’Abstract e l’Introduzione riassumono con efficacia:

Abstract

Il primo prodotto della linea Newton opera in un ambito estremamente limitato per quanto concerne prestazioni, costo, dissipazione del calore, consumo energetico, scalabilità, dimensioni e peso. Questa presentazione offre una panoramica dell’hardware di sistema del Newton MessagePad e si incentra sulle tecniche e i compromessi utilizzati per superare tali limiti. In particolare verrà trattata la migrazione sinergica di funzioni dall’hardware verso il software e viceversa.

Introduzione

La linea di prodotti Newton ha un obiettivo di primaria importanza: offrire all’utente un’interfaccia uomo-macchina fluida e semplice. Nessun utente del Newton dovrebbe rendersi conto di star utilizzando un computer. Gli utenti dovrebbero poter usare il Newton come fosse un foglio di carta. A mano a mano che la loro familiarità con il Newton aumenta, nuove e potenti applicazioni si renderanno visibili. Per conseguire questo obiettivo occorre considerare svariate scelte di design cruciali, non ultime quelle che riguardano dimensioni, peso, costo e consumo energetico. Il presente studio tratta specificamente il consumo energetico di hardware e software dell’attuale linea di Newton MessagePad. 

Occorre notare che, essendo il documento del 1994, i MessagePad a cui Culbert si riferisce sono i primi che vennero prodotti fra il 1993 e il 1994, quindi l’Original MessagePad, il MessagePad 100, il 110 e forse anche il 120. Tutti erano dotati di processore ARM 610 RISC a 20 MHz. I MessagePad 2000 e 2100, introdotti nel 1996 e 1997, e con processore StrongARM SA-110 RISC a 162 MHz erano tutt’altra cosa dal punto di vista prestazionale e di consumo energetico, ma è lecito supporre che le premesse di design e le ottimizzazioni siano dello stesso tipo, seppur a un livello superiore.

Il processore

Nelle primissime fasi del processo di design fu chiaro da subito che occorrevano prestazioni paragonabili a quelle di un processore Intel 486 per poter fornire un’esperienza utente fluida e reattiva, visto l’ambiente software che avevamo iniziato a creare. Vennero valutati più di una dozzina di processori, […] ma soltanto uno — lo ARM3 di Acorn Computers Limited (Regno Unito) — rispondeva a tutte le esigenze. Lo ARM3, tuttavia, non era un candidato perfetto: il processore non aveva una memory management unit (MMU) integrale e Acorn non aveva le risorse per svilupparne una. Apple si presentò ad Acorn e, in congiunzione con VLSI Technology Incorporated, fondò una nuova azienda chiamata Advanced Risc Machines, Limited (Regno Unito). Lo scopo di questa compagnia era fornire risorse di sviluppo per mantenere l’architettura ARM aggiornata e competitiva in questo nuovo scenario di mercato.

[…]

Il sistema energetico

La scelta del voltaggio per l’alimentazione di un dispositivo di questo genere presenta una serie di compromessi importanti dal punto di vista dei costi, delle prestazioni e del consumo. […]

La scelta di uno schema a 5V ha avuto un impatto considerevole nella scelta delle batterie da impiegare. Per ottenere un’alimentazione a basso costo avevamo bisogno di un minimo di 4 celle. L’idea originaria di utilizzare pile AA non era più compatibile con il design fisico del prodotto. Dovevamo decidere fra aumentare le dimensioni del prodotto o ridurre ancora una volta l’autonomia delle batterie. L’utilizzo di pile NiCad di dimensioni AAA poteva continuare a soddisfare uno dei nostri obiettivi primari, ossia quello di fornire all’utente medio almeno una settimana d’uso continuato del prodotto; pertanto per il primo Newton vennero scelte batterie AAA.

La progettazione dell’alimentazione era complicata perché i carichi nel sistema variavano da un minimo di circa 10 mA quando il sistema era in stand-by, a un massimo di circa 400 mA nella situazione di maggior carico. Inoltre il carico poteva cambiare in modo praticamente istantaneo da uno stato inattivo di 10 mA a uno stato attivo di circa 180 mA. Il compito era progettare un convertitore a basso costo che potesse rivelarsi efficace in entrambi i casi. Siamo riusciti a ottenere un 85% circa di efficienza nello stato inattivo (10 mA) e più del 90% di efficienza nello stato attivo (180 mA). […] 

Come si può vedere, dietro alla catena di scelte e di compromessi vi è una considerazione di costi e risparmi, ma si cerca di non limitare eccessivamente l’efficienza e le prestazioni del dispositivo. In casi come questo la scelta non è tanto un bivio fra una soluzione A e una soluzione B, ma la creazione di una soluzione C che bilanci A e B (batterie più piccole in modo da rientrare nelle dimensioni pensate per il dispositivo, ma sufficientemente potenti da non offrire prestazioni degradate).

Risparmi energetici e l’interfaccia utente

Il display a cristalli liquidi (LCD), la tavoletta digitalizzatrice, e l’hardware per l’output audio compongono ciò che Apple definisce lo hardware dell’interfaccia utente. Questi elementi vengono scelti con cura e implementati in modo da fornire bassi consumi e facilità d’uso. L’interfaccia utente è il punto in cui si può maggiormente notare l’attenta interrelazione fra hardware e software in questo prodotto.

Quando la tavoletta digitalizzatrice è in uso, il sistema operativo effettua una scansione costante alla ricerca di coordinate sulla tavoletta, con una frequenza di circa 80 punti al secondo. La validità di un punto specifico viene determinata dinamicamente attraverso un metodo proprietario. Tale valutazione automatica evita che siano inviate coordinate errate (causate da più di un punto di contatto sulla superficie dello schermo durante la scrittura) ai livelli più alti del sistema per l’elaborazione. Anche l’area digitalizzata viene controllata costantemente. Se la penna passa in una zona dello schermo che non richiede un controllo preciso delle coordinate, la frequenza di campionamento della tavoletta viene rallentata a circa 10 punti al secondo. Tali aree dello schermo sono dinamiche e vengono definite automaticamente dall’architettura di visualizzazione del Newton. Ciò permette a chi sviluppa le applicazioni di avvantaggiarsi automaticamente di questo metodo di risparmio energia senza nemmeno conoscerne l’esistenza. I risparmi energetici derivati dall’impiego di tali tecniche sono significativi. La circuiteria della tavoletta consuma in media circa 17 mA e il 10% della CPU ARM quando è al massimo dell’attività. […]

Anche lo stesso display LCD è un elemento importante nell’ottica dei risparmi energetici del MessagePad. In un classico sistema LCD, vi è un controller LCD che utilizza una propria RAM oppure accede alla memoria di sistema principale. Il controller LCD poi guida un orologio ad alta frequenza e un flusso di dati ai driver di righe e colonne sul display LCD. Questo porta a un sistema LCD che può consumare più di 100 mW solo per visualizzare un’immagine statica. Nel MessagePad, i frame buffer LCD sono integrati nei driver di righe e colonne del display LCD. […] Il risultato finale è un pannello LCD che consuma meno di 5 mW per visualizzare un’immagine statica. […] 

Per finire, un altro elemento di design essenziale per la realizzazione di un dispositivo portatile di questo tipo: l’archiviazione e la conservazione dei dati. Quando ci si trova in movimento bisogna poter spegnere o mettere in stop il dispositivo in ogni momento, oppure considerare imprevisti come l’esaurimento delle batterie e la conseguente interruzione di un lavoro senza temere per l’integrità delle informazioni se il dispositivo si spegne prima che sia possibile salvare i progressi.

Robusta archiviazione dei dati

Anche la robustezza del sistema è un elemento di cruciale importanza in un dispositivo in cui si archiviano dati sensibili. L’utente può, ovviamente, togliere e sostituire le batterie dal sistema in qualunque momento. Il sistema deve essere in grado di ripristinarsi dopo un tale evento senza perdita alcuna di informazioni personali.

È pertanto necessaria la creazione di un database che possa sopportare l’interruzione delle operazioni in qualsiasi momento senza subire danni. Il MessagePad incorpora un completo database transazionale e orientato agli oggetti. Con tale sistema è impossibile perdere dati archiviati nell’object store permanente, a meno che non venga rimossa anche la batteria di backup della memoria.

A chi conosce l’inglese suggerisco la lettura integrale del documento originale, che è scritto in un linguaggio tecnico ma non eccessivamente astruso. È impressionante notare il diagramma di flusso delle scelte di design che hanno contribuito alla formazione di un prodotto, il Newton, che ha avuto sì poca fortuna commerciale, ma che è e rimane una lezione fondamentale di progettazione hardware/software per un dispositivo portatile.

I compromessi nella realizzazione di un dispositivo portatile (1)

Mele e appunti

In uno dei suoi post più recenti, Questi erano netbook, Lucio esalta la grande autonomia di due dispositivi portatili da lui usati in passato, un Cambridge Z88 e un Newton MessagePad 2100. Come ho accennato in un mio commento a quel post, a mio avviso il confronto fra quei dispositivi (il primo ha vent’anni, il secondo dieci) e gli attuali netbook non deve essere inteso come un parallelo fra mere specifiche tecniche e prezzi di listino. Se così fosse, è ovvio che i netbook moderni vincerebbero senza problemi.

Ciò che forse vuole dire Lucio — e ciò che sicuramente intendo dire io — è che quei dispositivi ormai vintage e dalle caratteristiche tecniche risibili per gli standard di oggi, hanno moltissimo da insegnare su quali compromessi attuare e su come pensare al design di un dispositivo che nasce per essere portatile e affidabile.

Che cosa rende appetibile un netbook attuale? Il prezzo. È quindi il prezzo a dettare legge nella progettazione e realizzazione di uno di questi sub-computer. Quindi piccole dimensioni, piccole tastiere, piccoli trackpad, piccoli schermi, processori meno veloci e meno avidi di risorse, materiali di costruzione economici, qualità dei componenti media, e batterie che fanno quello che possono. Qualsiasi eccezione farà aumentare il prezzo. I netbook più belli — perché hanno maggiore potenza, o uno schermo più luminoso o a maggiore risoluzione, o materiali migliori, o una tastiera usabile, ecc. — costano di più.

Prezzo e buona qualità sono però due parametri inconciliabili. Se è il prezzo a dettare legge, la serie di compromessi che ne deriva finisce ben presto con lo svantaggiare il prodotto finale. Il prezzo costringe a rinunce praticamente su ogni fronte. Sacrifica questo, sacrifica quello, e il risultato è sì un prodotto da 300 Euro più portatile di un computer portatile standard, ma la raggiunta ultraportatilità va a scapito di una serie di fattori da non trascurare: scomodità di tastiera e trackpad ridotti, scomodità di uno schermo spesso troppo piccolo ovvero con un rapporto densità/dimensioni sfavorevole (schermo da 7–10 pollici + alta risoluzione = icone testo ed elementi di interfaccia minuscoli), usabilità discutibile, un’integrazione fra hardware e software non sempre efficiente, e infine un’autonomia che dovrebbe essere maggiore considerando la varietà di sacrifici apportati ai netbook, e che invece non è.

C’è chi si accontenta di un prodotto così, e non discuto. La parola chiave è però ‘accontentarsi’.

La mia tesi è che gli attuali netbook potrebbero essere prodotti migliori se i costruttori operassero una serie differente di compromessi. Per esempio, nessuno o quasi sembra partire dal software e dall’interfaccia utente. La stragrande maggioranza dei netbook sono concepiti per funzionare come normali computer ma in forma ‘concentrata’ e assai di rado vengono davvero ottimizzati per fare bene una serie ristretta e precisa di compiti. Pensiamo a quando visitiamo un sito Web con MobileSafari su iPhone: confrontiamo la versione standard del sito e quella ottimizzata per lo schermo di iPhone. Quale delle due sarà più efficiente e usabile? Torniamo ai netbook e sostituiamo ‘sito Web’ con ‘sistema operativo’. Meglio un Windows XP e applicazioni derivate che trattino un netbook con schermo da 9 pollici e processore da 1 GHz come fosse un computer da scrivania normale, o un sistema operativo ‘ridotto’ e ottimizzato per quello schermo, per quella famiglia di processori, per gestire le risorse in maniera più economica e far quindi risparmiare energia al dispositivo e aumentarne l’autonomia?

Invece no: il netbook deve anzitutto costare poco, e cercare di fare tutto, non importa quanto bene. Evidentemente, quando il prezzo è l’unità di misura, anche la ricerca & sviluppo e il marketing sono quelli che sono.

Tornando al Newton e al Cambridge Z88, nessuno dei due era e voleva essere un computer completo. Entrambi erano dispositivi incentrati sulla portabilità e ottimizzati per svolgere con relativa agilità una serie di compiti lontano dal proprio computer principale. Il lavoro fatto in viaggio o in movimento poteva poi essere trasferito, se lo si desiderava, sulla macchina principale. Vi era quindi una componente ‘gregaria’, dipendente, e questo limite apparente era a mio avviso il punto di forza di tali dispositivi, del Newton in primis.

Sul Newton non girava il Mac OS né aveva uno schermo a colori (e nei primi MessagePad non vi era nemmeno la retroilluminazione), ma per svolgere i compiti di assistente personale digitale non era necessario. Per gestire note, documenti, appuntamenti, email e fax, leggere e‑Book, ecc., basta uno schermo a scala di grigi — è un compromesso accettabile e funzionale. Che forse potrebbe funzionare anche oggi sui netbook: meglio uno schermo a colori o uno schermo leggibile, ben contrastato, che faciliti la lettura e scrittura di messaggi email, siti Web, e quant’altro? “Eh, ma le foto… i video…”. Beh, uno non si mette a fare del fotoritocco serio su un netbook, e i video si vedono comunque meglio su schermi più grandi (e consumano risorse CPU e batteria).

Con un sistema operativo ottimizzato e orientato al risparmio energetico come punto di partenza, ecco che il processore e la scheda grafica si ritrovano con un carico di lavoro minore e possono compensare sotto il profilo della responsività. Possono essere più efficienti a parità di prestazioni, consumare meno, e contribuire ad avere un netbook che dura più a lungo. (Riuscire a realizzare un netbook che potesse alimentarsi con normali pile alcaline o ricaricabili e durare settimane, non ore, sarebbe il non plus ultra, ma dati i consumi dell’hardware e software moderni, mi pare un traguardo alquanto improbabile). Partendo da questo genere di compromessi è forse possibile arrivare allo stesso obiettivo, quello di avere un computer ultraportatile a un prezzo competitivo, e con i vantaggi dati da un’interfaccia e da un sistema forse meno completi e attraenti, ma più efficaci e usabili. Il netbook nasce come seconda o terza macchina — se si comportasse come tale sarebbe ancora meglio.

Nota: questo pezzo è stato originariamente concepito come un unico articolo che avrebbe integrato la traduzione di parti dello studio del 1994 Low Power Hardware for a High Performance PDA a cura di Michael Culbert, allora System Architect in Apple. Ma sarebbe diventata una lettura lunghissima e complessa. Ho deciso quindi di dividere l’articolo in due parti e di dedicare la seconda parte allo studio citato, che è un ottimo esempio dei compromessi e delle scelte di design architettonico effettuati per rendere il Newton un dispositivo potente, versatile e dai consumi contenuti.