Figli di un keynote minore

Mele e appunti

Ecco il consueto post di riflessioni del dopo keynote di ieri al Macworld Expo di San Francisco. Stavolta però sarò breve e leggermente provocatorio.

1. A tutti i delusi, a quelli che volevano la presentazione di una dozzina di novità hardware e software (“E il nuovo Mac mini?”, “E i nuovi iMac con processore a 8 core?”, “E la demo di Snow Leopard?”, “E perché il nuovo MacBook Pro da 17 pollici non ha il nuovo processore Intel quad core?”, eccetera), rispondo semplicemente: è proprio per questo che Apple abbandona il Macworld Expo. Troppa pressione e, se mi passate l’espressione, ‘ansia da prestazione’. È vero, il Macworld è una vetrina importante e bla bla bla. Ma Apple ha dimostrato chiaramente negli ultimi mesi (io direi perfino negli ultimi due anni) di saper creare comunque un evento e catalizzare l’interesse di tutti ogni qual volta ne ha organizzato uno per suo conto. Perché essere costretti a presentare qualcosa quando magari non vi è nulla di veramente pronto o definitivo? La grande pressione esercitata da tutti quei siti di rumour e voci di corridoio è finalmente arrivata a massa critica, e giustamente Apple si toglie di mezzo. L’aria si è fatta tossica.

In ogni caso, i delusi devono soltanto avere un po’ di pazienza. I tempi sono maturi per un nuovo Mac mini, e certamente per un aumento di prestazioni della linea iMac. Non è escluso (in passato è già accaduto) che Apple introduca lo speed bump da un giorno all’altro, annunciandolo sul sito e senza organizzare alcun evento. Che poi qualcuno mi spieghi perché Apple dovrebbe sprecare tempo e risorse per organizzare una presentazione di Mac identici ai precedenti ma con processori più veloci e dischi più capienti. Che demo volete, i benchmark di Photoshop come negli anni Novanta?

La mia sfera di cristallo è appannata dalla condensa — fa freddo anche qui a Valencia — però quel che potrebbe accadere in primavera è un mini-evento simile a quello dello scorso ottobre in cui vennero presentati i MacBook unibody, ma dedicato ai desktop, magari riunendo una serie di piccole novità estese a tutta la linea dei Mac da scrivania, dal Mac mini al Mac Pro. Oppure no. Chissà. Chi se ne frega, in fondo: prima o poi qualcosa succederà. Non muore nessuno se non succede il 6 gennaio 2009, no?

Qualcuno ha persino ipotizzato che Apple avesse in realtà altre novità da annunciare, ma che non l’abbia fatto per scelta strategica. Ammetto di averlo pensato anch’io.

2. Le suite iLife ’09 e iWork ’09 sembrano racchiudere novità significative. Devo ancora vedere il keynote in streaming QuickTime, o una delle ‘visite guidate’ a disposizione sul sito Apple per avere un’idea dell’efficacia di queste nuove funzioni, ma sulla carta iPhoto appare rivoluzionato e finalmente, dopo sette versioni, degno di nota (eh sì, non sono un fanatico di questa applicazione). Faces e Places, nonché i nuovi strumenti di editing, mi paiono delle belle pensate e sono curioso di vederle in azione. Altra bella pensata sono le lezioni di musica in Garageband. La domanda di rito: “Ma saranno disponibili anche in Italia?”. La risposta uno se la dà da solo prendendo un mappamondo e osservando le dimensioni del Bel Paese. Nella pagina dei Requisiti di sistema di iLife ’09 si dice che Le Lezioni degli artisti GarageBand sono in vendita separatamente e disponibili in alcuni paesi tramite il Negozio delle lezioni GarageBand. L’idea è buona comunque: personalmente spero sia possibile acquistarle anche in inglese. Per alcuni potrebbe essere l’occasione buona per imparare due cose insieme.

iWork ’09 è interessante, specie per il nuovo servizio iWork.com, una sorta di .Mac per la condivisione dei documenti creati con la nuova suite. Per ora il servizio è in beta gratuita, ma diventerà a pagamento. Il fatto di annunciarlo come Beta è senza dubbio una prova di come Apple abbia imparato la lezione del lancio affaticato e farraginoso di MobileMe lo scorso luglio. Che iWork.com in un futuro diventerà a pagamento, lo ammetto, mi ha fatto un po’ storcere il naso, specie in quanto già abbonato a MobileMe. Ora come ora, da quel che ho potuto vedere, iWork.com non offre molto di più dell’ottimo e gratuito Google Docs, ma tutto è in divenire, e sono sicuro che — anche grazie al feedback che Apple riceverà da coloro che stanno già collaudando la versione di prova di iWork ’09 (che dura un mese, è gratis, e offre tutte le funzionalità del pacchetto) — i servizi di iWork.com finiranno con l’avere quel qualcosa in più marcato Apple che li rende meritevoli di una quota periodica.

Ieri sera ho scaricato la versione di prova di iWork ’09 e, malgrado i requisiti minimi di sistema prevedano un Mac con processore G4 a 500 MHz e 32 MB di RAM video, e Mac OS X 10.4.11, sono lieto di riportare che la suite è discretamente utilizzabile anche da macchine lievemente meno potenti. La sto provando sul mio Power Mac G4 Cube, che ha un processore a 450 MHz e 16 MB di RAM video, e finora non ho riscontrato problemi. I momenti più faticosi per un vecchio G4 sono soprattutto legati agli effetti visivi, e a volte compare la rotellina arcobaleno per qualche secondo (come nella paginata iniziale: dopo aver scelto di creare un documento nuovo partendo da uno dei modelli forniti — tanti — c’è un effetto di animazione in cui il modello viene ingrandito fino a diventare il nuovo documento, e lì il Cube arranca qualche istante, ma l’editing del documento fila via liscio). Sono quindi soddisfatto di questa ‘retrocompatibilità’: temevo, per esempio, che già fosse finito il supporto ai Mac con architettura PowerPC.

3. Il nuovo MacBook Pro da 17 pollici. Tutto come previsto, ma Apple riesce a infilare la novità anche qui: una nuova batteria intelligente, interamente progettata ad hoc, che (almeno sulla carta) dovrebbe durare il doppio rispetto al normale, arrivando a un’autonomia di otto ore. E con la bellezza di 1000 cicli di ricarica (più del doppio di quanto offrano altre batterie). Il rovescio della medaglia? Non è rimovibile. E, ovvio, già ci si lamenta. Io vorrei tanto sapere quanti avranno bisogno di una batteria di ricambio con un’autonomia così grande. (Sì, so che qualcuno risponderà “Ma io che faccio tutti i giorni Milano-Sydney come faccio?”). Un’altra buona nuova è che per 45 Euro in più è possibile ordinare il MacBook Pro con schermo antiriflesso. Chissà se più avanti renderanno disponibile questa opzione anche per i modelli da 15 pollici.

4. L’èra del DRM in iTunes è virtualmente finita. Se non è una grossa novità questa…

Under (re)construction

Et Cetera

In this period of economic uncertainty, many companies are trimming their (human) resources. Similarly, but virtually, I’m carrying out a ‘pruning plan’ on my online presence and projects. The verb to prune expresses my intent with utmost precision: to prune is to cut away dead or overgrown branches or stems, esp. to increase fruitfulness and growth. Looking back at how 2008 went, I have not been able to maintain all the projects I started — some, admittedly, on a sudden impulse. Also, I have not been able to update blogs and journals, or to constantly visit and update websites (social or not) where I have an account (ma.gnolia and Shelfari, I’m looking in your direction).

2009 starts with a new angle, and with the need of cleaning up the virtual online mess left behind. I need focus, and therefore I will devote my attention, energies and interest to some selected places, and delete or otherwise abandon other ones to their natural Web-rotting. To avoid confusion, misunderstandings, false expectations, and to help my current readers and followers to keep finding me at the right corners, here is a list of the places/accounts I’m dropping or leaving or abandoning, and the places I will continue to maintain and update:

Closing, deleting, abandoning:

  • Wordth: One day, towards the end of September 2008, this neologism came to mind, and with it the idea of starting a blog where each entry would consist of one word only. The tag line of this blog was The width, length, depth of a word. It lasted a couple of weeks, then in mid-October I started to forget about it. It hasn’t been such a powerful idea in the end, so it goes. I cannot delete it at the moment because it is tied to a Tumblr account that also hosts another space I don’t want to delete, but consider it abandoned.
  • Ma.gnolia: Not deleting my account, because I’d like to keep reading and consulting other people’s links and bookmarks every now and then, but I haven’t updated it in months and therefore is abandoned.
  • LiveJournal: Rizlas of Rick: No longer maintained. I will migrate the contents of that space here, in the Literary Supplement. I will not delete the LiveJournal account for the benefit of those who have ‘friended’ the Rizlas of Rick journal, but I will post a notice pointing readers to the new space if they want to continue reading new material.
  • Shelfari: I was invited to join the site by a Flickr’s contact in November 2007. I thought it was cool to be able to give people an idea of what I have on my shelves, which books I’m reading, and so on. And I was tempted to get more involved in the social aspect of Shelfari, joining groups closer to my interests and views, participating in discussions, writing reviews. I soon found out it was too time-consuming. I’m not deleting the account only because of the time I spent finding my books by ISBN and getting the right (or the most similar) covers for my virtual shelf. I’m leaving the social part of it but I may be updating my book list in the future.

 

Keeping in the freezer:

  • Crosslines: A project I started on February 26, 2007. The idea is to write an ‘interactive webfiction’ as a collective work of writing, developed as a Role-Playing Text Adventure, where the parser is not an artificial intelligence (the computer) but, rather, the Prime Mover, who is the creator of the Story and is responsible of the general direction of the narrative (yours truly). The project, as the About Page states, has no expiration date. You’re welcome to participate but be warned that — since it’s not in my top priority list, interaction times may be long and slow. On the other hand, should Crosslines attract enough active and motivated participants, it can definitely return to an active state and updated accordingly.
  • My main LiveJournal account, t_pot: I opened this account in March 2001 and spent some amazing years sharing my personal life and thoughts with a selected and lovely group of people I really consider my friends, despite not having met 98% of them in person. Some of them (you know who you are) have helped me through difficult times by commenting in my journal, writing me privately, and chatting online. I met my wife through LiveJournal, for Heaven’s sake! Thus, I will never delete this account (unless the company behind LiveJournal, whichever it may be at the moment, will decide to shut the site off and dump everything in the bin), but I have to acknowledge the fact that my presence and my updates have been dramatically decreasing in the past year, and that I’ve lost that continual ‘being in touch’ with most of those aforementioned lovely people. I’ve given much thought to it and the solution appears quite simple: I will keep doing what I did with the previous post in this blog: synchronise the two blogs from now on. This ‘best of both worlds’ approach seems to me the most efficient: those in the LiveJournal community will be able to easily follow my future updates, plus they’ll be able to take a look here and enjoy whatever additional content I’ll post. And that will help me keep the bond with LiveJournal in return. I will try to read others’ livejournals more frequently.
  • My LinkedIn account: I still think the idea of LinkedIn is a good one, and I’m keeping my account ‘just in case’; yet, I’ve kept it for two years and nothing happened work-wise.

 

Keeping alive and well and living:

  • This place: I like it and it’s a good starting hub pointing readers to other site I keep up-to-date.
  • My vintage-Mac-oriented System Folder blog.
  • My Italian Mac-oriented Autoritratto con Mele blog.
  • My Flickr account. If you like my photos, keep looking, I’m not going away.
  • My Twitter account, although I still don’t use it daily or on a regular basis. It’s enough to have a faint idea of what’s happening in my life, though.
  • My member page at Veer — I still have to refine it and decide what kind of content to publish on a regular basis.

 

It still seems a lot to maintain, but only a couple of places are that intense and time-consuming. On the whole, I think it’s much more manageable than before. I don’t think I’ll join social networking sites for the foreseeable future, so don’t bother looking for me there — especially on Facebook.

That said, Happy New Year to all of you.

Update, January 2012

Of course, many things have happened since this post. Check my Projects page for an updated list of active/inactive projects. 

La lettera di Steve Jobs sul suo stato di salute

Mele e appunti

Letter from Apple CEO Steve Jobs: Steve Jobs, stufo dei vari rumour che lo davano per spacciato, ha deciso di pubblicare una lettera in cui parla del suo stato di salute. In sostanza, niente di estremamente serio, e il Nostro continuerà a essere CEO di Apple, Inc.

Ecco una veloce traduzione della lettera:

Cara Comunità Apple,

per la prima volta in dieci anni passerò le festività con la mia famiglia invece di cimentarmi nell’intensa preparazione del keynote per il Macworld Expo.

Purtroppo, la mia decisione di lasciare che sia Phil [Schiller] a occuparsi del keynote ha dato il via all’ennesima serie di congetture sulla mia salute, alcuni addirittura pubblicando storie su di me ormai prossimo alla morte.

Ho deciso di condividere con la Comunità Apple qualcosa di molto personale, così che tutti possiamo finalmente rilassarci e goderci lo spettacolo domani.

Come molti di voi sapranno, durante tutto il 2008 ho continuato a perdere peso. Il motivo è sempre stato un mistero, sia per me che per i medici che mi hanno seguito. Alcune settimane fa ho deciso che la mia priorità principale sarebbe stata andare a fondo della questione, scoprire la causa di tutto questo e cercare di fermare la perdita di peso.

Fortunatamente, dopo ulteriori esami, i dottori pensano di aver trovato la causa: uno squilibrio ormonale che ha continuato a ‘rubarmi’ le proteine necessarie alla salute del mio organismo. Sofisticate analisi del sangue hanno confermato la diagnosi.

La cura per questo problema nutrizionale è abbastanza semplice e diretta, e ho già iniziato il trattamento. Tuttavia, così come non ho perso tutto questo peso in una settimana o in un mese, secondo i dottori dovrò arrivare a tarda primavera prima di poterlo riacquistare del tutto. Durante il periodo di convalescenza continuerò a essere il CEO di Apple.

In questi ultimi 11 anni ad Apple ho dato tutto me stesso e anche di più. Sarò il primo a farmi avanti e a informare il Consiglio di Amministrazione quando non potrò più svolgere il mio lavoro di CEO di Apple. Spero che la Comunità Apple mi sarà di supporto durante la mia ripresa, e che sappia che darò sempre precedenza a ciò che è meglio per Apple.

Ecco, ho detto più di quanto avevo intenzione di dire a riguardo, ed è tutto quel che ho da dire.

Steve

Più rumore che segnale

Mele e appunti

Gennaio: cominciano ufficialmente le pulizie che avevo preannunciato. Primo bersaglio: le mailing list. Voglio parlarne in questa sede perché la mia esperienza può servire ad altri che si trovano in una posizione simile e che analogamente hanno voglia di fare pulizia.

Quante mailing list?

È la stessa storia delle ciliegie (o delle olive snocciolate, a seconda dei gusti): una tira l’altra. Ci si iscrive abbastanza impulsivamente perché si sta passando un periodo di interesse particolare verso un determinato argomento o settore e, guarda un po’, c’è un gruppo di discussione a riguardo che può essere utile. L’interesse sfuma, l’iscrizione alla mailing list rimane lì e si continuano a ricevere messaggi, si dà loro un’occhiata comunque perché potrebbe saltar fuori la discussione utile, e di fatto non succede. Però si perde tempo. Forse poco tempo, ma se questa situazione è simile per altre dieci mailing list…

Alla fine del 2008 nei miei due client di posta, Mail e Mailsmith, c’erano più di 100.000 messaggi provenienti da una quindicina di mailing list. Ieri ho archiviato tutto, ho cancellato la sottoscrizione da nove mailing list, ho cambiato la modalità di ricezione dei messaggi ad altre due mailing list (da email singole a ‘digest’ giornalieri, ossia mi vengono inviati 20 messaggi alla volta raggruppati in un unico messaggio) e ora posso apprezzare una certa quiete quando lascio i due client di posta aperti. Il traffico è decisamente diminuito, così come è diminuita la frequenza di avvisi “c’è posta per te”, che fanno perdere tempo e concentrazione.

A meno che non abbiate un’infinità di interessi o non siate programmatori, a mio avviso seguire e partecipare attivamente a più di cinque mailing list è troppo. Ovviamente è un limite arbitrario e i fattori che rendono interessante seguire una mailing list sono vari e svariati. Ovviamente io parto dalla mia esperienza, che fa testo fino a un certo punto, e ovviamente parto dal presupposto che chi mi sta leggendo — come anche accennavo all’inizio — sia stanco delle sue abitudini online e voglia fare un po’ di pulizia. Un altro fattore che determina quel limite di cinque mailing list è senza dubbio il traffico: io ho mantenuto l’iscrizione a un paio di liste che producono dai 2 ai 5 messaggi giornalieri — è traffico irrilevante. A portar via tempo ed energie sono liste con un traffico quotidiano più movimentato e con discussioni coinvolgenti, spesso magari fuori tema.

Più sono specifiche, meglio è

Dopo quasi quattro anni in usenet, e otto anni di partecipazione più o meno intensa alle mailing list più varie, sono giunto alla conclusione che dà titolo a questo paragrafo. Meglio una mailing list che tratti le macchine fotografiche Canon a pellicola, che una mailing list che parli di fotografia ‘analogica’ in generale; meglio una mailing list che tratti i Mac vintage che una mailing list che parli del Mac in generale (questo naturalmente se si è appassionati di fotografia tradizionale e si utilizzano macchine Canon, e se si ha una particolare predilezione per i Mac degli anni Ottanta/Novanta). In questo modo è assai più probabile che gli iscritti a una certa lista abbiano un’esperienza specifica dell’argomento o del settore in questione, e possano venire in aiuto agli utenti meno esperti, offrendo soluzioni e opinioni informate. Vi sono liste che hanno certamente un tema che le contraddistingue, ma risultano essere troppo generiche e vengono frequentate da gruppi di utenti con esperienze e background diversi che inevitabilmente finiscono con lo scontrarsi di fronte a un argomento comune a tutti ma affrontato necessariamente da punti di vista inconciliabili. È il classico esempio di molte liste a tema Macintosh in lingua italiana. Queste liste, di solito a grande affluenza di iscritti, raccolgono professionisti dei settori più disparati (stampa, musica, reti, fotografia, editoria, ecc.) nonché utenti neofiti, nerd appassionati, e molti altri. È chiaro che di fronte ad argomenti come iPhone e i nuovi MacBook unibody si scateni un putiferio in cui ognuno porta la propria opinione che spesso e volentieri vuol far passare come fatto provato e per questo vuole avere l’ultima parola.

A ognuno il suo

Ne possiamo discutere a piacere, ma io sono dell’idea che una mailing list non sia, né debba rappresentare, una community. Questa è a mio avviso meglio rappresentata dai forum. I forum sono architettati in una forma più agevole affinché i singoli utenti possano esprimere la propria personalità e le proprie inclinazioni all’interno del gruppo. Il formato permette la creazione di immagini che distinguono i vari utenti (i cosiddetti avatar), la creazione di un completo profilo personale con varie modalità di contatto (chat, email, …) nonché l’uso di signature fantasiose. I forum possono permettersi di essere dedicati a un argomento generico (es. la fotografia digitale) perché si possono dividere in sottosezioni specifiche (es. gallerie personali, tipo di macchine digitali, stampa delle foto, ecc.) e il partecipante alla community può indirizzarsi verso la sezione che più gli è congeniale. In genere vi sono delle sezioni dedicate alle chiacchiere da bar sport e perfino ad argomenti non strettamente attinenti al tema del forum (es. “per conoscersi di più”, o addirittura per organizzare incontri fra i soci e partecipazioni di gruppo a eventi e fiere).

Una mailing list è monolitica: i messaggi più vari sugli argomenti più vari arrivano tutti nella stessa casella. È per questo che a mio parere la funzione di una lista dovrebbe essere anzitutto quella di fornire informazioni utili in merito ad argomenti e settori specifici; certo, ben vengano le discussioni, se a tema. È da tempo che sono iscritto a una mailing list dedicata a un browser (iCab) e a un’altra lista dedicata a un programma specifico (Mailsmith). Entrambe a traffico medio-basso, entrambe estremamente gestibili, e soprattutto utili — vi è molto più segnale che rumore.

Ecco, appunto: segnale e rumore

Come dice la Wikipedia, Nell’uso corrente, in particolar modo in contesti come Internet e i gruppi di discussione online, la locuzione rapporto segnale/rumore viene spesso usata per indicare in modo informale il rapporto tra informazioni utili, corrette e rilevanti presenti in un dato contesto, forum, ecc. (considerati segnale) e i messaggi inutili, errati o irrilevanti, considerati alla stregua del rumore. Un’altra cosa che considero rumore è purtroppo un vizio di tante mailing list, specie italiane: vuote discussioni in cui gli iscritti criticano la persona e non l’idea o l’informazione fornita, in cui si manca di rispetto all’intelligenza o all’esperienza altrui. Purtroppo in passato mi sono lasciato invischiare in questo tipo di discussioni (sempre per difendermi, però, mai per attaccare gratuitamente qualcuno). La morale è semplice: ognuno rimane arroccato nelle proprie convinzioni, e nel frattempo si sono sprecati tempo ed energie che potevano essere impiegati in modo migliore in altre attività.

Queste mailing list sono le prime da abbandonare. A volte è difficile, può essere che si conoscano personalmente degli iscritti, può esserci una componente sentimentale (ci si è iscritti nei ‘tempi d’oro’ della lista e si è andati sopportando l’inesorabile calo in qualità e clima di discussione, nonché l’accresciuto livello del rumore a scapito del segnale), ma, specie se in fondo si è disposti ad ammettere che la tale lista non offre più niente di sostanziale, è opportuno staccare la spina. Ci si stupirà della velocità con cui ci si dimentica di quel piccolo fardello.

Una ragione personale, che mi ha spinto a lasciare alcune liste, è proprio l’atteggiamento di certi personaggi, che prima chiedono aiuto e poi hanno l’arroganza di respingere certi suggerimenti perché a loro sembrano scempiaggini, senza nemmeno prendersi la briga di chiedere chiarimenti. Io tendo a partecipare a una discussione o a rispondere a una richiesta d’aiuto se e solo se sono sufficientemente informato (per conoscenza diretta, per esperienza) sull’argomento. Non ho l’abitudine di buttar lì la prima idea che mi viene in mente. Se l’argomento mi intriga, e la richiesta d’aiuto è un’occasione per approfondire un determinato aspetto, a volte inizio a cercare quante più informazioni possibili, condividendo quelli che ritengo i frutti migliori della ricerca. In ogni caso, se intervengo, lo faccio con cognizione di causa, altrimenti taccio. L’incapacità di riconoscere questo da parte di certe persone, malgrado la mia lunga militanza in alcune liste, alla fine ha fatto traboccare il vaso e mi sono stufato. Certe ostilità fanno perdere la voglia di aiutare gli altri. Quindi, come dicono gli anglofoni, good riddance.

Riassumendo

  1. Se avete l’impressione che le mailing list che seguite e a cui partecipate siano troppe, probabilmente è così.
  2. Se in generale il livello di rumore supera quello del segnale, e ciò accade costantemente (non quindi di tanto in tanto, perché scatta una qualche discussione estemporanea), lasciate perdere. A maggior ragione se la mailing list è ad alto traffico. Probabilmente non ne vale la pena.
  3. Se quel che vi dà una mailing list è meno di quel che vi toglie, lasciatela perdere.

Propositi per il 2009: più scrittura creativa

Mele e appunti

La mia formazione è umanistica. Sono sempre stato portato alle lettere e alla scrittura: i miei primi sforzi poetici risalgono all’età di 14 anni, e fino ai 19 tutta la mia produzione creativa (poesie e racconti brevi) è stata diligentemente scritta e corretta usando carta e penna e riempiendo un considerevole numero di agende che mio nonno e mio padre mi regalavano (erano i classici omaggi aziendali e/o delle banche, e loro non sapevano che farsene). Dai 19 ai 23 fu l’epoca della macchina da scrivere (elettrica): una Olivetti ETP 56 dotata di un mini-display sul quale era possibile pre-visualizzare la riga che si stava scrivendo ed effettuare tutte le correzioni del caso prima di inviarla ‘in stampa’ premendo Return (era anche possibile usare la macchina in modo manuale, come una tradizionale macchina da scrivere).

Contemporaneamente c’era l’interesse per i computer, che in varia misura sono sempre stati presenti nella mia vita: il primo fu un Commodore VIC-20 che mi fu regalato per il mio decimo compleanno. Pur essendo una macchina dalle prestazioni ridicole sia per i tempi attuali che per quei tempi, mi aprì un mondo di interessi e iniziai a comprare libri e riviste per saperne di più, sul VIC-20 e sui computer in generale. Già conoscevo Apple: frequentavo di tanto in tanto un amico che possedeva un Apple IIe e ci faceva di tutto. Fu anche grazie a lui che l’informatica prese a occupare una parte sempre più grande fra i miei interessi. Avrei voluto passare ad Apple già in quel periodo, ma gli Apple II costavano troppo per le tasche della mia famiglia, e dovetti accontentarmi dei Commodore; il VIC-20 prima e il Commodore 64 poi. Mi limitavo a seguire gli sviluppi di Apple e dei personal computer più ‘seri’ attraverso la letteratura: libri, come ho già detto, e riviste quali Bit, Applicando, Personal Software, Microcomputer; per il mondo Commodore ricordo con affetto Commodore Gazette.

I Commodore erano computer per giocare. A quei tempi cercavo di convincere i miei genitori e forse anche me stesso che fosse possibile anche realizzare qualcosa di costruttivo con il C=64, ma il gioco e la diversione erano le attività primarie. Poi la svolta: quando GEOS arrivò in Italia (fine 1986, primi 1987, se non vado errato) non stavo più nella pelle e fui tra i primi a ordinarlo (tanto che il negoziante non poteva darmi un manuale in italiano a corredo del dischetto, e dovetti accontentarmi di un manuale in tedesco e orientarmi con le figure!). Il floppy costò la bella somma di 25.000 Lire. Potete vedere una schermata di GEOS in fondo a questa pagina. C’era più di una similitudine con l’interfaccia grafica dei primi Macintosh, e l’uso intensivo di GEOS sul Commodore 64 è stato indubbiamente propedeutico, visto che quando finalmente iniziai a usare i Mac già mi trovavo perfettamente a mio agio con icone, doppi clic e metafore di scrivania. Con GEOS — a mio parere uno dei migliori software mai scritti per il Commodore 64 — iniziavo a fare un uso ‘serio’ di quel piccolo home computer solo-per-giocare. Infatti, grazie alla comodità di poter immagazzinare file in floppy da 5″ 1/4, presi a trascrivere buona parte della mia produzione letteraria usando GeoWrite, che come MacWrite sul Macintosh era un word processor WYSIWYG e permetteva di scrivere testi con stili, grassetti, corsivi e quant’altro.

Poi arrivarono in casa computer più potenti: mio padre mi portava a casa gli scarti aziendali, e nei primi anni Novanta ho avuto per le mani un po’ tutti gli IBM, dagli 8088 con doppio floppy e monitor a fosfori arancio, agli 8086, agli XT/AT 80286, per non parlare dei Compaq. Lì tornavo a un tipo di videoscrittura a caratteri monospaziati e senza alcun tipo di anteprima realistica a video di quel che sarebbe stato il documento finale, però erano i miei primi computer ‘seri’ e la mia scrittura creativa continuò con essi. Intanto collaboravo con piccole agenzie e associazioni, tutte in ambiente Mac, e avevo la mia postazione per fare i primi lavori di Desktop Publishing (ricordo ancora un certo Macintosh SE e una LaserWriter che all’epoca costavano insieme come una berlina di un certo pregio). Non vedevo l’ora di trasferire la mia opera su Mac, ma per il momento il Mac era fuori casa; in casa avevo un muletto, un PC 386DX a 40 MHz, 8 MB di RAM, coprocessore matematico e unità CD-ROM, sul quale ho scritto tantissimo: per diversi anni la mia configurazione fu quel computer con installato Windows 3.1 e Word 2.0. L’output avveniva su una HP LaserJet 4L comprata nel 1994 e pagata quasi 1.200.000 Lire (funziona ancora, tra l’altro).

Poi arrivarono i Mac anche a casa: dopo quasi dieci anni di utilizzo senza possederne di miei, fecero il loro ingresso un Macintosh Classic e un PowerBook 150, poi arrivarono le StyleWriter e una pesantissima Personal LaserWriter.

Infine arrivò Internet. E mi rovinò la vita. Almeno per quanto riguarda la scrittura creativa. Fino al 1999–2000 la mia produzione (poesie, racconti brevi, un romanzo breve e uno più articolato) non aveva incontrato battute d’arresto ed era anzi proseguita con grande prolificità. Internet, la corrispondenza elettronica, i newsgroup, cominciarono un lento ma inesorabile lavoro di erosione: del mio tempo, delle energie, della capacità di concentrarsi su un progetto, su una storia, e chiudere il mondo fuori. Il tempo dedicato alla scrittura è andato assottigliandosi sempre più, fino ad arrivare ai tempi odierni, in cui è pressoché inesistente. Ironia vuole che per lavoro e anche per il mio interesse per la tecnologia, io non faccia altro che scrivere al computer tutto il giorno, cosa che frustra di molto il mio lato creativo.

Sono presto arrivato alla conclusione che non è possibile — per me, almeno — scrivere alla stessa postazione in cui lavoro, leggo notizie, gestisco la posta, navigo il Web. Con la possibilità di tenere svariate applicazioni aperte, è facile essere distratti dall’arrivo di email, di Feed RSS aggiornati, dalla tentazione di fare ricerche sul Web seguendo l’impulso del momento e ritrovarsi dopo due ore ad aver letto tante informazioni (seguendo il link del link del link del link) ma senza aver prodotto nulla. La soluzione è configurarsi una postazione senza connessione a Internet, senza browser, senza email, senza distrazioni: solo io, le mie idee, e il word processor. Ora che sono entrato in possesso della tastiera ADB dell’Apple IIGS, che è la più compatta (e solida) delle piccole tastiere ADB prodotte da Apple, l’ho collegata al mio Macintosh Colour Classic, e in questi giorni sono andato configurando il Colour Classic come postazione desktop di scrittura creativa. La sua controparte portatile è l’eMate 300, che posso facilmente collegare al Colour Classic per il trasferimento dei file. Un’altra postazione mobile che sto approntando è l’iBook clamshell recentemente acquistato su eBay, che vorrei tenere come macchina solo OS 9, nonché tramite efficiente fra il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’ mondo.

In questi giorni, forse complici anche le festività e il periodo di vacanza, ho ripreso a scrivere, e vorrei continuare così anche il prossimo anno. L’effetto di tornare a usare quotidianamente un Mac con schermo a 10 pollici e System 7.1 è senza dubbio interessante, ma ci sono una calma e un ordine nell’interfaccia del vecchio System 7 e nel fatto di avere una sola applicazione in primo piano, che sono quasi sufficienti a ispirare il processo creativo. Devo ancora decidere quale strumento di scrittura usare (Word 5.1, WordPerfect, un vecchio Nisus Writer o WriteNow? Sono tutti ottimi candidati, ognuno con i suoi pro e contro, anche se tendo a preferire WordPerfect e WriteNow) e per il momento prendo appunti con il buon vecchio SimpleText. Senza contare il piacere di un Mac che si avvia in 40 secondi e si è già al lavoro…

Buon Anno Nuovo a tutti!