Arrivederci, ClaZ.

Mele e appunti

Oggi è scomparso Claudio Zamagni, affettuosamente noto come ClaZ nella comunità Mac italiana.

L’ho appreso leggendo POCTalk, la mailing list degli amici del POC. In un primo momento ho pensato di avere le traveggole. Quando arriva una notizia del genere c’è sempre un primo istante di incredulità in cui pensi “No, non può essere lui”, “No, ho letto male”. Come quando ti tagli involontariamente: istanti sospesi in cui non succede nulla, poi la ferita inizia a sgorgare. Ecco. Sono abbattuto e addolorato, confuso, arrabbiato, a tratti ancora incredulo.

Ho conosciuto Claudio di persona nel 2002, da Mac@Work a Milano, anche se il suo nome mi era già familiare per la frequentazione delle stesse mailing list di Mac e dintorni, e la sua fama di tecnico ripara-tutto lo precedeva. Ricordo bene quel giorno: in negozio sentii che qualcuno lo salutava, al che mi avvicinai e gli dissi: “Ma sei tu il Mitico ClaZ!”. Lui mi sorrise e ci stringemmo vigorosamente la mano. E subito iniziammo a chiacchierare di Mac e di riparazioni, a scambiarci aneddoti e a farci grasse risate (e chi se la scorda più la risata di Claudio: forte, profonda e genuina). Insomma, Claudio era fatto così: una persona alla mano, disponibile e generosa, dall’ironia intelligente e graffiante. Dopo quasi tre ore con lui, quel giorno, avevo l’impressione che ci conoscessimo da un pezzo.

Andai a trovarlo più volte al suo laboratorio a Torino; mai, purtroppo, con la frequenza che avrei voluto. Malgrado fosse sempre indaffarato e con una montagna di hardware da revisionare, è sempre stato cordiale e di ottima compagnia. Io non volevo mai fargli perdere tempo, così gli dicevo: “senti, passo il pomeriggio da te, ma tu lavora pure — io osservo e imparo, oppure se vuoi mi metto in un cantuccio…”. Ma non dire cazzate, è un piacere, vieni pure mi rispondeva. A volte si passava il tempo fra i Mac, altre volte mi spiegava con orgoglio i suoi progressi con l’impianto personalizzato sulla sua Audi A6.

Data-Project, giugno 2003. Ecco la gatta di ClaZ riposare fra i PowerMac nel laboratorio.

Data-Project, giugno 2003. Ecco la gatta di ClaZ riposare fra i PowerMac nel laboratorio.

Lui mi ha insegnato ad aprire i vecchi Mac compatti senza paura e remore. Mi ha insegnato un sacco di cose sui guasti ai vecchi monitor Apple. Mi ha trasmesso la passione del collezionismo di Mac vintage e mi ha dato l’impulso al fai-da-te. Buona parte della cultura del troubleshooting sui Mac l’ho assorbita da lui. A lui ho telefonato due anni fa quando il mio PowerBook G4 12″ è andato in panne. Se ho saputo smontare il PowerBook da cima a fondo e poi rimontarlo è grazie ai suoi insegnamenti. Se il mio iBook G3 conchiglione ha un nuovo lettore DVD-ROM è grazie a lui. Il Macintosh SE che ogni tanto uso per scrivere me lo ha dato lui (ricordo ancora quel giorno: abbiamo acceso il SE nel suo laboratorio, avviando il System 6.0.5 da un floppy, e il Mac — che non veniva acceso da quasi due anni — segnava l’ora giusta. ClaZ e io ci siamo guardati e abbiamo riso di gusto). Quando gli chiesi se aveva un PowerBook 100 da qualche parte, si mise a cercare e dopo poco mi si avvicina con una scatola e mi dice: te ne do tre, ma sono tutti smontati, dovresti riuscire a cavarne uno buono usando i pezzi di tutti. Impagabile.

ClaZ, sei un grande e non dimenticherò mai le nostre chiacchierate, la tua bonomia e umanità, e la tua risata forte, profonda e genuina. Non so quale sia stato il tuo ultimo pensiero prima di andartene, ma ti immagino imprecando: Ma @#$! — proprio adesso! Con tutto quel che ho da fare!

Un abbraccio, e le mie più sentite condoglianze ai familiari.

iPhone: note mobili (6)

Mele e appunti

Ulteriori riflessioni sull’interfaccia

L’altro giorno stavo controllando i feed RSS di Macworld.com e ho notato un recente articolo di Rob Griffiths dal titolo Stop the page-flicking madness — give us iPhone folders, ovvero Basta con il continuo sfogliare schermate — dateci le cartelle in iPhone.

Il succo del ‘problema’ rilevato da Griffiths è il seguente:

[…] Ho anche scoperto un limite fondamentale del software 2.1 di iPhone. Ora che ne ho comprovato la stabilità, ho cominciato a installare un numero sempre maggiore di applicazioni. All’inizio di ottobre avevo 79 programmi installati sul mio iPhone — ora ne ho 107, e mi aspetto che il numero continui a crescere. Tuttavia, navigare in questo affollamento di icone (16 applicazioni per ‘pagina’, per un totale di nove pagine) richiede troppi passaggi, che siano lo scorrere le pagine facendole passare col dito, o il fare tap nella piccola area che si trova fra la schermata principale e la fila inferiore di icone fisse [il ‘Dock’ di iPhone].

È un problema che si nota particolarmente se si cerca di mantenere un certo ordine nell’organizzazione dei propri programmi. Per esempio, a me piace raggruppare tutti i giochi su una pagina (OK, su due pagine), tutte le applicazioni che sfruttano i Location Services su un’altra, le utility su una terza, e così via. In questo modo è semplice trovare le applicazioni, ma richiede anche molta navigazione delle pagine quando voglio passare, per esempio, da un gioco nella settima pagina all’icona del Calendario sulla pagina principale di iPhone. Ho cercato di ridurre gli spostamenti mettendo i programmi che utilizzo di più (a prescindere dalla categoria cui appartengono) tutti insieme nella seconda pagina, così 16 delle applicazioni che uso più di frequente ‘distano’ soltanto una pagina dalla schermata principale di iPhone.

Prima della citazione, ho messo ‘problema’ fra virgolette, perché lo ritengo un non-problema. Ci ritorno poco oltre, perché prima voglio riportare quella che secondo Griffiths potrebbe essere una possibile soluzione:

La soluzione è ovvia, secondo me: iPhone deve poter supportare la possibilità di inserire le applicazioni in cartelle, ognuna con il proprio nome, proprio come su qualsiasi personal computer. Caspita, persino il mio vecchio Treo mi permetteva di disporre i programmi in categorie personalizzate, in modo da non doverli passare in rassegna tutti quanti ogni volta che dovevo trovarne uno in particolare. Con le cartelle, per me la navigazione tra le pagine diminuirebbe moltissimo: potrei inserire tutte le mie applicazioni in una mezza dozzina di cartelle, ognuna delle quali avrebbe soltanto (tranne quella dei giochi) una sola pagina di programmi al suo interno. Pertanto, invece di dover far passare sette pagine, ne avrei solo due, e sei cartelle su cui fare tap.

Forse Griffiths non è l’unico ad avere questo ‘problema’ e ad aver pensato a una simile ‘soluzione’. Per una volta vorrei essere drastico: il problema è un non-problema e la soluzione è una colossale idiozia.

1. Ritengo che il problema sia un non-problema, nel senso che Griffiths non rappresenta evidentemente l’utente medio di iPhone. Se da un lato è ammissibile che vi siano altre persone che abbiano provato un centinaio di applicazioni da quando esiste l’App Store, dall’altro credo siano in pochi ad averle lasciate tutte sul proprio iPhone. Non voglio parlare per tutti, sia chiaro, però mi sembra abbastanza logico che vi sia una sorta di ‘selezione naturale’ nelle applicazioni che uno lascia installate sull’iPhone. Se ne provano un po’, quelle gratis innanzi tutto, c’è un inevitabile periodo di gadget-mania e il nostro iPhone si affolla di icone rapidamente. Poi inizia la scrematura: notiamo che alcune applicazioni sono sciocchezze che non ci servono, o che non le apriamo da più di una settimana, o che è uscita una utility migliore, o che quando abbiamo installato il programma x (spinti magari da una promozione temporanea) ci sembrava utile, ma alla fine lo abbiamo aperto un paio di volte… Insomma, si comincia a sfoltire, privilegiando le applicazioni che si utilizzano di più, i giochi che ci catturano di più, le utility migliori di una certa categoria. Griffiths ha dovuto provare parecchie applicazioni per scriverne su Macworld, e probabilmente non ha voglia di fare questa operazione di scrematura, oppure è un inguaribile nerd che trova davvero tutte utili quelle 107 applicazioni. Trovo il suo ‘problema’ e le sue esigenze condivisibili da un numero troppo ristretto di utenti affinché Apple si metta a trovare una soluzione come quella da lui proposta.

2. Parlando della sua soluzione, dico che è un’idiozia perché rappresenterebbe un passo indietro nella semplicità dell’interfaccia di iPhone; inoltre è una soluzione inelegante e rappresentativa di una maniera datata e inadeguata di concepire l’interfaccia di un dispositivo mobile. Come ho già avuto modo di dire, la potenza dell’interfaccia grafica di iPhone, al di là della tecnologia multi-touch, è il fatto di avere tutto sempre in primo piano, dispiegato in superficie, senza livelli e sottolivelli di menu e opzioni, come avviene in tutti gli altri cellulari e ancora in moltissimi smartphone. Le cartelle rappresenterebbero proprio un ritorno alla nidificazione, che annullerebbe i vantaggi dell’immediatezza dell’interfaccia. Perché avendo a disposizione la possibilità di suddividere le applicazioni in cartelle, nulla impedirebbe di complicare ulteriormente le cose inserendo una cartella in un’altra cartella. Il fatto che su un computer sia pratica normale non significa che sia una buona idea nel contesto di iPhone. Su un Mac è facile navigare in cartelle e sottocartelle: abbiamo un monitor sufficientemente grande davanti, abbiamo un mouse o un trackpad, è tutta un’altra cosa.

Per non parlare della difficoltà di implementare le cartelle stesse su iPhone. Come creare una nuova cartella in una pagina qualsiasi di iPhone? Bisognerebbe inserire un pulsante di azione (come il [+] in MobileSafari) da qualche parte, in modo che richiami un menu con il comando “Nuova cartella”. E dove inserire un tale pulsante? Osservando la pulizia della schermata principale di iPhone, qualunque posto sarebbe sbagliato (sì, anche nella barra di stato in alto). Poi per dare un nome distintivo alla cartella occorrerebbe richiamare la tastiera virtuale… Io non vedo altro che complicazioni. Il minore dei mali, e Griffiths accenna a questa alternativa nel suo articolo, sarebbe un’applicazione che gestisse la funzionalità e le altre applicazioni, un po’ come il gestore dei widget in Dashboard. La mia proposta, molto più semplice e funzionale, sarebbe quella di utilizzare delle linguette numerate al posto dei pallini bianchi sotto le 16 applicazioni di ogni schermata, in modo da passare rapidamente, mettiamo, da pagina 1 a pagina 4 senza passare per la 2 e la 3. Ma niente cartelle. Le cartelle sono anche una pessima idea perché compromettono la chiarezza dell’interfaccia e la navigazione stessa, checché ne dica Griffiths. Proviamo a vedere se un’immagine vale più di mille parole:

iPhone-main-screen.jpg   iPhone-main-screen-folders.jpg

Sulla sinistra uno screenshot della prima pagina del mio iPhone. Sulla destra ho ritoccato molto velocemente l’immagine per mostrare un esempio di come apparirebbe una schermata con cartelle generiche, differenziate solo dai nomi e non dalle icone. Con un dispositivo mobile come iPhone è a mio avviso essenziale poter richiamare velocemente un’applicazione senza fermarsi troppo a riflettere su quale cartella potrebbe contenerla. Certo, si potrebbe dire: mettiamo le cartelle con icona personalizzabile. Non credo di dover spiegare il perché sarebbe una mossa verso un’ulteriore e inutile complicazione dell’interfaccia.

Sì, iPhone è più un minicomputer che un semplice ‘telefono’, ma questo non significa che la sua interfaccia debba assomigliare a quella di un computer. Avere centinaia di applicazioni installate su iPhone è certamente possibile, ma è una situazione limite. Le soluzioni suggerite da Griffiths sono tutte piuttosto macchinose e riflettono una scarsa comprensione dell’interfaccia di iPhone e dell’impatto che può avere l’introduzione di funzionalità che agiscono globalmente. È facile dire “iPhone dovrebbe permettere questo”, ma spesso si ignora l’effetto valanga di qualsiasi alterazione di un’interfaccia utente ormai consolidata. È per questo che certe funzionalità come un copia-incolla sono estremamente complesse da implementare e quindi tardano a manifestarsi negli aggiornamenti del software di iPhone. Ogni novità deve essere introdotta necessariamente a piccoli passi.

Goloso di browser

Mele e appunti

Mi fa sempre piacere sapere dell’esistenza di nuovi browser da provare, a prescindere dal loro stato di sviluppo. Ed è interessante notare come, malgrado la presenza di grandi nomi e di prodotti completi (Safari, Firefox, Camino, Opera, OmniWeb…), ci siano sempre degli sviluppatori impegnati a sfornare nuove idee e approcci. Senza dubbio negli ultimi tempi a ridare l’impulso verso questa strada è stato il team di ingegneri di Google, con l’ambizioso progetto di Chrome.

Stainless

Purtroppo chi usa Mac dovrà attendere un po’ prima di poter provare Chromium (o come caspita sarà il nome finale di Google Chrome per Mac). Nel frattempo mi sto baloccando con Stainless, di Mesa Dynamics, LLC, già autori di Hypercube (un programma che serve a esportare widget Web e contenuti video e flash dal browser alla scrivania). Come scritto nella pagina principale, Stainless è al momento nulla più che una technology demo, ossia un progetto destinato a rimanere in fase sperimentale. Da Chrome prende l’idea del multi-processing (ogni pannello aperto nel browser è un processo separato dagli altri, e in caso di crash è solo il pannello a chiudersi senza compromettere l’intero browser), anche se viene implementata in maniera meno complessa:

Secondo la pagina di status di Chromium per OS X, la versione Mac di Chrome utilizzerà una bitmap renderizzata da WebCore che verrà passata dal browser ai processi di rendering. La strategia da noi impiegata in Hypercube (e ora in Stainless) è molto meno ambiziosa, ma molto più semplice da implementare, e per questo possiamo renderla disponibile adesso (spiacenti, ma Stainless funziona solo sotto Leopard).

Stainless è un browser dall’interfaccia estremamente spartana e povero di funzionalità. Non esiste alcuna gestione dei bookmark, non si possono gestire i font o il testo, non è possibile vedere il sorgente di una pagina Web, né viene offerto il grado di complessità delle preferenze dei ‘grandi’ browser. Al momento Stainless offre una navigazione a pannelli (che possono essere trascinati e scambiati di posto), una barra indirizzi e di ricerca unificata (come in Chrome), e una modalità di navigazione privata. Non è molto, ma il poco che fa lo fa bene. È un browser leggerissimo, sia dal punto di vista dello spazio occupato dall’applicazione stessa (meno di 750 KB — un record viste le dimensioni medie dei programmi di oggi), sia per quanto riguarda l’impatto sulla CPU (con 5 pannelli aperti, Monitoraggio Attività mi informa che Stainless arriva allo 0,6% delle risorse processore). È un browser stabile e — ma questa potrebbe essere una percezione tutta mia — molto veloce. Il motore di rendering è WebKit come Safari, ma mi sembra più rapido a caricare certe pagine rispetto a Safari 4 Developer Preview, che a sua volta mi pare un poco più veloce di Safari 3.

Cruz

Fresco fresco (è alla versione 0.1) arriva Cruz, sviluppato da Todd Ditchendorf, già autore di Fluid, un’utility per creare applicazioni stand-alone (o meglio SSB, Site-Specific Browser) da applicazioni Web. (Peraltro, la prossima versione di Safari dovrebbe incorporare questa funzionalità: ne parlo in questo post).

Cruz è un prodotto molto più ricco di Stainless e sicuramente più ambizioso. Come recita la pagina principale del sito, Cruz offre svariate funzioni interessanti: un’architettura aperta per i plug-in, scorciatoie da tastiera globali, funzioni di scripting, navigazione a pieno schermo (una delle migliori implementazioni di questa funzione, a mio avviso), la possibilità di vedere tutte le immagini di un sito in vista CoverFlow, e soprattutto una gestione eccellente delle barre laterali, che sono totalmente configurabili ed essenzialmente dei browser-nel-browser. Sempre basato su WebKit, Cruz è un browser veloce e performante, e lo sto usando moltissimo in questi giorni perché quella delle barre laterali è una comodità pazzesca.

In sostanza, Cruz è dotato di plug-in (chiamati Browsa) che permettono di dividere la finestra principale in più aree navigabili indipendentemente. Con un po’ di accortezza, e sfruttando la possibilità di specificare diverse identità del browser in ogni settore, diventa molto facile e comodo tenere d’occhio altri siti mentre si continua a navigare nell’area principale (ovviamente se si dispone di un monitor adeguato). Io lo uso così:

 

Cruz con i pannelli laterali abilitati

Cruz con i pannelli laterali abilitati

 

 

In pratica, ho istruito Cruz affinché apra il pannello a sinistra tenendo come pagina predefinita Twitter, ma fingendosi un iPhone (User Agent: MobileSafari 1.1.3), quindi caricando la versione mobile di Twitter, che occupa molto meno spazio. Stesso discorso per il pannello di destra, che si apre sulla versione mobile di Flickr, così posso tenere sott’occhio l’attività su Twitter e Flickr. Sono due esempi banali: invece di questi siti, si potrebbero impostare eBay e le notizie della BBC, o Facebook, o qualunque altra cosa. È come avere tre browser in uno. Se si ha un monitor da 17 pollici in su (meglio se widescreen), ribadisco, è proprio comodo.

Anche Cruz mi ha stupito per la sua stabilità e maturità, per essere solo alla versione 0.1. Ditchendorf ha fatto un ottimo lavoro, e i tre video esplicativi aiutano a comprendere alcune delle caratteristiche del browser (occhio: bisogna sapere l’inglese, in più Ditchendorf è piuttosto veloce nelle dimostrazioni). Per chi ha bisogno di ‘ubiquità’ quando naviga, Cruz è forse il browser meglio implementato allo scopo. Ah, e naturalmente è gratuito.

L'ennesima ragione per cui amo SpamSieve

Mele e appunti

Stavo controllando la posta e SpamSieve mi avvisa che è disponibile una nuova versione, la 2.7.2. La finestra di aggiornamento mostra l’elenco delle note di rilascio, con una lunga serie di aggiunte e migliorie generali. L’occhio mi cade sulla seconda voce della lista:

  • Migliorata la compatibilità con le versioni pre-release di Mac OS X 10.6 (Snow Leopard). Ora esistono due versioni separate del plug-in di SpamSieve per Apple Mail. La versione 1.3 è per Mac OS X 10.4; la versione 1.4 è per Mac OS X 10.5 e successivi. SpamSieve sceglierà automaticamente quale delle due installare (o aggiornare) a seconda della versione di Mac OS X presente sul vostro sistema.
  • Questo è pensare avanti. SpamSieve, oltre che essere il migliore programma antispam per Mac in circolazione, è anche ben scritto e congegnato, con piccole accortezze come questa che lasciano l’utente ancor più soddisfatto. SpamSieve scarica e installa gli aggiornamenti automaticamente, e l’unica cosa che occorre fare a mano è chiudere tutti i programmi di posta aperti prima di avviare l’aggiornamento.

    SpamSieve costa solo 30 dollari, e li vale tutti.

    Ancora crudo

    Mele e appunti

    Almost Human: a review of Google’s Android G1 phone: Glen Fleishman di Ars Technica ha provato estesamente il nuovo HTC G1, primo smartphone della piattaforma Android di Google. Dalla sua interessante recensione emerge quanto già mi aspettavo senza neanche vedere il telefono dal vivo, e di più. Due le cose fondamentali nelle conclusioni di Fleishman: 1) Il G1 è un prodotto ancora troppo immaturo e 2) Il G1 sarebbe anche un discreto smartphone… se non esistesse già iPhone.

    Riporto, traducendolo, qualche stralcio emblematico della recensione.

    Il pezzo comincia con un doveroso inciso:

    Quanto segue è una nostra prima impressione di Android, e nella recensione ci siamo concentrati soprattutto sull’interrogativo di molti: può questo telefono scalzare iPhone dal suo piedistallo? Nelle prossime settimane continueremo ad approfondire questo dispositivo, osservandone più da vicino gli utilizzi di nicchia e la sua natura ‘aperta’. Per ora ci limitiamo a valutare se Google abbia o meno commercializzato un prodotto elegante, ricco di funzioni e semplice da usare.

    E la risposta arriva subito:

    Lo smartphone G1, progettato da Google e costruito da HTC, rimane decisamente nell’ombra di iPhone, almeno per ora. Il telefono […] è stato rilasciato troppo presto. Lo hardware di HTC e il sistema operativo Android che lo comanda sotto molti aspetti mancano della raffinatezza e della profondità persino della versione 1.0 di iPhone. Non è un brutto telefono, ma il software e lo hardware avrebbero dovuto rimanere più a lungo ‘in forno’ per giungere a una perfetta maturazione.

    Sull’hardware:

    Il sistema di scorrimento della tastiera non è morbido, ma raggiunge la posizione aperto/chiuso in maniera secca. La sezione dello schermo oscilla leggermente e non si blocca fermamente nelle posizioni aperto/chiuso. La parte inferiore del telefono, quando è chiuso e in posizione verticale, è leggermente inclinata e sollevata, e la sensazione, tenendo il telefono in mano, è ottima. HTC è riuscita a infilare 5 pulsanti e una piccola trackball in questa parte del dispositivo.

    Quando il G1 è aperto, ci si ritrova la sezione inclinata e sollevata a destra della tastiera, ed è irritante mentre si scrive. La tastiera è piuttosto buona, completa di lettere, numeri, tasto con il punto e con il simbolo @, più un tasto dedicato alle ricerche con Google. È molto simile a quella di un BlackBerry.

    Porte e pulsanti sembrano distribuiti un po’ a casaccio sul telefono, secondo il criterio ‘questo sta qui perché non si poteva fare altrimenti’, più che essere stati disposti secondo un design preciso e ponderato. È probabile che HTC abbia basato il G1 su un modello precedente per accelerare la produzione. I possessori di telefoni HTC saranno abituati ad avere i pulsanti per alzare/abbassare il volume in una posizione ragionevole (in alto sul lato sinistro, osservando il telefono in verticale), ma il mini-jack USB è nella parte inferiore, il pulsante della fotocamera si trova in basso a destra e la chiusura dello slot microSD è parzialmente nascosta quando il telefono non è aperto.

    Non vi è nemmeno un jack standard per gli auricolari, anche se il dispositivo include una coppia di scomodi auricolari con microfono che utilizzano il connettore audio USB proprietario di HTC per collegarsi al telefono. È disponibile un adattatore USB–presa da 2,5 mm piuttosto grossolano, che comunque non è incluso nella confezione.

    Una caratteristica decisamente positiva del G1 è la fotocamera:

    La fotocamera integrata da 3 megapixel produce foto di alta qualità ed estremamente nitide, anche a distanze ravvicinate. Il suo autofocus e le regolazioni dell’esposizione sono fantastici. Uno scanner di codici a barre di terze parti non ha avuto alcun problema a riconoscere e a decodificare all’istante la foto di un codice stampato su un libro. Tuttavia la funzione hardware migliore di uno smartphone non dovrebbe essere la fotocamera.

    Il G1 è di base poco capiente, in quanto la memoria fornita con il telefono è una microSD da 1 GB. Dato che una microSD da 4 GB è piuttosto economica, secondo Fleishman T‑Mobile avrebbe potuto essere meno avara e metterne una di serie.

    La batteria:

    Anche se non ho potuto usare il G1 per un tempo sufficiente a stimare le prestazioni della batteria con lunghe chiamate e altre tipiche attività che impattano la vita della batteria, questa mi è sembrata comunque sufficiente. Con molto traffico dati, scaricamenti da Internet e riproduzione di video di YouTube, la batteria è durata circa una giornata (però con la luminosità dello schermo molto bassa che viene impostata di default).

    A parità di utilizzo, e per esperienza personale, un iPhone 3G dura di più.

    L’interazione

    Le prestazioni sono sottotono e il telefono lento a rispondere. Android reagisce con una velocità sufficiente a farti capire che sta facendo qualcosa, ma poi sembra prendersi un intervallo di tempo assurdamente lungo per fare qualunque cosa, soprattutto se confrontato con altre piattaforme di smartphone. Quando si chiede al dispositivo di caricare una pagina Web, di passare da una schermata all’altra, o di completare un’operazione, i tempi di attesa sono percepibili. È più bravo a indicare un progresso invece di farlo davvero.

    Anche l’interfaccia è problematica, in quanto molte delle azioni più semplici necessitano di svariati passaggi. A differenza delle prime release di Windows Mobile, quando per accoppiare un auricolare Bluetooth occorrevano 14 passaggi (ora è molto meglio), Android è decisamente un altro pianeta. Ma le scelte in merito a cosa mostrare e a cosa nascondere appaiono spesso bizzarre.

    Fleishman poi conferma un sospetto che mi era venuto quando avevo osservato l’emulatore Android sul sito di HTC, sospetto legato all’uso di una tastiera fisica in un dispositivo che ha, per il resto, delle funzioni touch-screen molto limitate:

    Mi sono stancato molto presto di dover continuamente far scorrere il telefono per usare la tastiera. Quando è in verticale, chiuso, il G1 può essere utilizzato con una mano, ma ogni volta che è necessario digitare qualcosa, bisogna aprire il telefono, e la vista passa obbligatoriamente in orizzontale. […] Per svolgere operazioni in cui non serve digitare molto, sarebbe stato preferibile avere una soluzione più comoda, come uno stilo o anche una tastiera virtuale.

    Spero sia almeno possibile comporre un numero di telefono senza dover aprire il G1 e usarlo in orizzontale!

    Il software

    Parlando del client di posta e del browser di Android:

    […] Le applicazioni incluse sono rispettivamente buona e pessima. Il programma di posta consente la creazione di account multipli, fra cui Gmail, con il rilevamento automatico della configurazione del server di posta. Il Setup Manuale presenza opzioni più avanzate, come specificare porte personalizzate e crittografia SSL/TLS.

    L’interfaccia del client email imita alcune caratteristiche di quella Web di Gmail, ma non vi è nulla di straordinario. A differenza di Gmail sul Web, un messaggio inserito in un thread non visualizza quanti messaggi si trovano sotto di esso: bisogna scorrere manualmente, e non sembra esservi un sistema per tornare rapidamente all’inizio di un messaggio lungo.

    Ma se la posta è OK, il browser incluso è mediocre. Provando vari siti Web, ho notato che erano sufficienti anche CSS poco avanzati per confondere il browser. La mia home page ha un box di posizionamento CSS statico, e viene renderizzato correttamente persino dal browser sperimentale del Kindle di Amazon. Il browser di Android sembra non sapere dove inserire il box, e la pagina Web diventa inutilizzabile.

    Il browser è lento nel caricamento e nel rendering, anche quando sta scaricando dati attraverso una connessione Wi-Fi veloce, e senza le azioni multitouch per pizzicare ed espandere il contenuto, la navigazione di una pagina è difficoltosa e snervante. Esiste una modalità zoom che permette di far passare una lente di ingrandimento sulla pagina, ed è possibile far apparire delle lenti per ingrandire/rimpicciolire facendo tap sullo schermo.

    L’esperienza di navigazione Web è frustrante e scomoda, e mi aspettavo di più e meglio. Con Nokia e Apple che sfruttano il nucleo di WebKit per i loro browser, e Google immersa nel progetto Chrome, credevo che il G1 fosse dotato di un browser con qualcosa di unico da offrire. Invece l’impressione è di usare un software del 2006.

    È vero, nella scelta delle parti da proporre ho privilegiato gli aspetti negativi, ma non per disonestà intellettuale, semplicemente perché costituiscono il 98% della recensione. Gli aspetti che Fleishman ha gradito si possono riassumere in poche parole: buona qualità dell’audio, buona tastiera, comodo quando impugnato verticalmente, discreta applicazione di posta, tracciamento GPS buono (ma persino Google Maps è più scomodo da usare rispetto a iPhone), ottima fotocamera. Tutto qua. Ah, e naturalmente la solita solfa: che essendo open source, molto è migliorabile col tempo sul lato software. Può essere, ma sono davvero curioso di vedere chi ha voglia di mettersi a migliorare questo aggeggio quando è molto più appagante sviluppare per iPhone.