Notizie sulla beta del software 2.2 per iPhone

Mele e appunti

iPhone Software 2.2 features emoji, Google Street View, more | iLounge News: Mi era scappata questa notizia di iLounge, che riferisce ciò che hanno scoperto gli sviluppatori che stanno testando la beta della versione 2.2 del software di iPhone. A parte le icone giapponesi, credo che le funzionalità più interessanti saranno l’implementazione della vista stradale in Google Maps e soprattutto la possibilità di disattivare il dizionario predittivo (o il sistema di auto-correzione che dir si voglia). Per l’aggiunta della nuova vista in Google Maps sorrido, perché nelle varie recensioni che ho letto dello smartphone G1 di HTC veniva considerata un ‘vantaggio’ di Android rispetto all’iPhone. A ogni modo la possibilità di disabilitare l’autocompletamento sarà benvenuta per chi utilizza l’italiano come lingua principale.

Android: ulteriori spunti di riflessione

Mele e appunti

Non avevo notato che anche Daniel Eran Dilger di RoughlyDrafted Magazine è impegnato in una serie di articoli che trattano dei ‘miti’ su iPhone. Lui ha uno stile più aggressivo e provocatorio del mio, e di tanto in tanto si lascia scappare affermazioni piuttosto decise, ma è innegabile che offra spesso e volentieri molto cibo per il dibattito, sia negli articoli stessi, sia nella sezione dei commenti, interagendo con i lettori. Ho trovato di particolare interesse alcuni passaggi del suo pezzo Myth 7: iPhone Buyers will Flock to Android (Mito n.7: gli utenti di iPhone migreranno in massa verso Android).

Dilger inizia presentando subito la sua tesi:

L’idea per cui gli utenti di iPhone si affretteranno ad abbandonare la piattaforma per acquistare telefoni Android è ancora più fantasiosa dell’idea secondo cui gli sviluppatori migreranno in massa verso Android che ho trattato nel Mito n.6. […]

L’andamento del mercato dell’elettronica di consumo di questi ultimi trent’anni ci dice che il prezzo è il fattore che influenza le decisioni di acquisto in maggior misura: che si tratti di basso costo puro e semplice, o che si traduca in un valore percepito come elevato rispetto al denaro speso.

Fattori ideologici non legati al prezzo, fra cui la superiorità tecnica o l’attrattiva principale di Android — l’ ”apertura” — hanno avuto storicamente un impatto minimo sul successo dei prodotti nel mercato, in particolar modo se paragonati a fattori economici, con grande delusione da parte di quelli di noi che preferiscono vedere prodotti migliori e maggiormente interoperabili invece di robaccia a buon mercato.

Dilger continua spiegando il perché Android ha destato un certo interesse da parte delle aziende costruttrici di telefoni cellulari: perché, semplicemente, rappresenta un’alternativa gratuita a Windows Mobile. HTC, Motorola, Samsung e LG producono tutte degli smartphone con sistema operativo Windows Mobile, ed è nel loro interesse poter accedere a una piattaforma software da utilizzare senza dover pagare royalty a Microsoft. Chi compra un telefono, però, non percepisce il costo aggiunto dal produttore per coprire le spese di licenza di Windows Mobile; la differenza è molto più ridotta rispetto a quanto avviene nel mercato dei personal computer, in cui le macchine vendute senza licenza Windows hanno un prezzo percettibilmente più basso. Questo spiega perché Android, da un punto di vista economico, è più interessante per i costruttori di telefoni che non per gli utenti finali.

In questo e in altri pezzi sull’argomento, è opinione di Dilger che Android si posizionerà più come diretto concorrente di Microsoft / Windows Mobile che non di Apple / iPhone, che Android col tempo andrà rosicchiando quote di mercato alla piattaforma Windows Mobile, e quindi avvantaggiando Apple come effetto collaterale.

Nel suo Myth 6: iPhone Developers will Flock to Android (Mito n.6: gli sviluppatori per iPhone migreranno in massa verso Android), Dilger fa notare che:

Più che ‘uccidere’ iPhone, Android sembra posizionato per contrastare una serie di tentativi proprietari di monopolizzazione dello sviluppo per le piattaforme mobili con un modello di licenza Windows, sia a livello di sistema operativo (Windows Mobile, Symbian), sia a livello middleware (Flash, BREW, Java). Ciò indebolirà ancor di più l’inerzia dietro i vari tentativi di spinta di un ambiente di sviluppo per piattaforma mobile ostile a iPhone. Ma Android risulterà essere, alla fine, un concorrente importante di iPhone?

Dilger continua evidenziando le due ragioni principali che spingono, tutto sommato, gli sviluppatori verso iPhone: le possibilità di guadagno e la facilità d’uso degli strumenti di sviluppo dello SDK di Cocoa Touch. Android, nel breve termine, non offre né una cosa né l’altra.

Gli strumenti di sviluppo di Android, a confronto, sono documentati in modo insufficiente e sono farraginosi perché, in sostanza, nessuno è a capo della baracca. Google spera di poter fungere da direttore delle operazioni per orchestrare i contributi della comunità aperta, dei costruttori di telefoni come HTC, Motorola, Samsung e LG, e delle aziende provider di telefonia mobile come T‑Mobile, Sprint, NTT DoCoMo, e KDDI. Il problema è che tutti questi gruppi hanno un conflitto di interessi. Nessuno vuole aiutare i propri rivali, e Google non potrà prendere decisioni drastiche o scelte ingegneristiche impopolari nell’interesse della piattaforma, perché deve rispondere a troppe entità diverse.

Si osservino i problemi di Windows Mobile e si vedranno molti dei problemi intrinseci di Android come piattaforma. Ora si consideri il fatto che chi sviluppa per iPhone non sta abbandonando la nave a favore di Windows Mobile; questo malgrado Microsoft fornisca un ambiente privo delle restrizioni che caratterizzano la piattaforma iPhone di Apple; questo malgrado Windows Mobile abbia attualmente una base di installato più vasta e, almeno finora, una quota di mercato mondiale superiore ad Apple nell’ambito degli smartphone.

Gli sviluppatori per Windows Mobile, invece, stanno rapidamente abbandonando quella piattaforma per interessarsi al mercato di iPhone, reso più attraente dalle possibilità di guadagno e dagli strumenti di sviluppo di Cocoa Touch, una vera boccata d’aria fresca per quegli sviluppatori, stanchi della minestra riscaldata Win32 sopra WinCE. Android sarà in grado di invertire la tendenza, offrendo agli sviluppatori la “libertà” e la mancanza di restrizioni che Windows Mobile già offre, ma senza alcun bacino di utenza e una quota di mercato? Decisamente assurdo.

Lo so, si parlava di utenti e si è finito col parlare di sviluppatori. Ma i due discorsi scorrono su binari paralleli. Se Windows Mobile già offre libertà e assenza di restrizioni, a differenza di Apple (queste almeno sono le accuse che molti detrattori di iPhone rivolgono ad Apple), perché in quest’ultimo anno e mezzo gli smartphone con sistema Windows Mobile non sono stati in grado di competere con iPhone? Se iPhone è un ecosistema chiuso e Apple è questo cattivissimo e prepotente Grande Fratello che limita le scelte degli utenti, perché ha avuto l’enorme indiscutibile successo che ha avuto? Perché probabilmente, come sostiene Dilger, la ‘libertà’ e la ‘scelta’ non sono fattori così forti da destabilizzare un mercato.

La gente compra iPhone per la semplicità dell’interfaccia, per la facilità d’uso, per il design elegante, e per l’integrazione con i servizi musicali (iTunes) e di software (App Store) — elementi che né Android né Windows Mobile considerano. Tutte queste sono caratteristiche che evidenziano l’ovvio valore di iPhone per chi lo acquista. […]

Ricordiamo il principale fattore di successo commerciale di un prodotto di elettronica di consumo: il prezzo, che si traduca in prezzo contenuto o in un valore percepito come elevato rispetto al prezzo (ovvero: “Sì, costicchia, però guarda che cosa mi dà in cambio: son soldi ben spesi”). Da quando Jobs ha ulteriormente ridotto il prezzo di entrata di iPhone, ciò è andato a sovrapporsi al vantaggio che già iPhone aveva all’inizio. Se dapprima era un prodotto ‘caro ma vale i soldi che costa, quindi lo compro’, dall’introduzione di iPhone 3G è diventato anche un prodotto sostanzialmente abbordabile anche nel prezzo. Quindi lo comprano milioni di persone.

Quando nei mesi scorsi si stava creando aspettativa intorno all’annuncio del primo smartphone con sistema Android, ero molto incuriosito da quella che veniva già etichettata come l’alternativa ammazza-iPhone. Considerando che la piattaforma Android ha avuto un periodo di gestazione più che sufficiente per studiare iPhone e per utilizzarlo come punto di partenza per arrivare a presentare un prodotto ancor più innovativo — o almeno qualcosa di egualmente potente rispetto a iPhone però dotato di un approccio sufficientemente alternativo da destare forte interesse — mi sento di dire che il primo risultato, il G1 di HTC, è piuttosto deludente. Eh, però è open source. Solo che non si può puntare sull’apertura come feature principale di un prodotto e sperare di sconvolgere il mercato.

Tim Haddock, in questo articolo su Macworld cita un commento di Gene Munster, senior research analyst di Piper Jaffray, sul lancio del G1 di HTC: L’obiettivo commerciale di Apple è di essere tre passi avanti rispetto a tutti gli altri. Apple è ancora due passi avanti. Esatto, Apple è nel 2009, gli altri sono ancora al 2007.

Android: miscellanea

Mele e appunti

È ovvio che tutto questo parlare di Android, la piattaforma mobile sviluppata da Google, abbia destato il mio interesse, soprattutto in relazione con iPhone. Sin da quando HTC ha presentato G1, il primo smartphone con il sistema Android, per il Web sono iniziati a comparire i classici articoli di confronto, e c’è chi ha parlato di Android come il vero ‘iPhone killer’. Allora mi sono messo a osservare anch’io e a prendere appunti. Oggi voglio condividerne alcuni. È d’obbligo premettere una cosa: le mie considerazioni si basano su informazioni mediate (l’emulatore disponibile sul sito di T‑Mobile, articoli altrui e video messi a disposizione dal gruppo di sviluppatori Android) e da quel che si può evincerne. In altre parole, non ho provato il G1 di HTC di persona, e alcuni dettagli potrebbero avere tutto un altro effetto dal vivo.

Partiamo dall’emulatore. Si può interagire con il G1 partendo da questa pagina. Il link carica inizialmente una presentazione del dispositivo che ruota a 360 gradi. Con il puntatore del mouse si può controllare la rotazione e manipolare il telefono. La parte più interessante è visibile facendo clic su Emulator in alto a destra. Viene caricata un’immagine del telefono disposto orizzontalmente e con la tastiera scoperta e si può interagire con G1 per vedere come funziona e che tipo di risposta si ottiene premendo i vari pulsanti.

Il primo dettaglio degno di nota è l’esistenza di tre pulsanti fisici per la navigazione:

  • il tasto Home (con l’icona della casetta), per tornare all’inizio;
  • il tasto Ritorno (con l’icona della freccia), per tornare alla schermata precedente;
  • il tasto MENU, che richiama un menu contestuale all’interno di un’applicazione.

Qui, a mio avviso, partiamo già male. Questo tipo di approccio alla navigazione è macchinoso e superato. Il tasto MENU presuppone che qualsiasi applicazione necessiti di un menu contestuale, perché se un’applicazione non lo avesse, si rivelerebbe un’inconsistenza nell’interfaccia utente (si preme MENU e non succede nulla). Il fatto che debbano esserci per forza delle opzioni richiamabili dal tasto MENU porta a scelte di design discutibili. Richiamando l’applicazione Music veniamo accolti da una schermata che presenta quattro grossi pulsanti: Artists, Albums, Songs, Playlists. Premendo MENU, appaiono due opzioni aggiuntive: Play shuffle e Search. Perché non aggiungerle semplicemente alla schermata insieme agli altri quattro pulsanti? Sarebbe più elegante e tutto sarebbe visibile a colpo d’occhio. Già, ma poi premendo MENU non accadrebbe nulla.

Questo è un piccolo esempio di come i vincoli a dei tasti fisici possano influire negativamente sulla fluidità di un’interfaccia. In iPhone è possibile indicare chiaramente se un’applicazione offre delle opzioni aggiuntive non immediatamente visibili, perché basta aggiungere un pulsante virtuale nei luoghi deputati (nella parte inferiore dello schermo, oppure negli angoli superiori sinistro o destro). Su Android le applicazioni devono presentare delle opzioni aggiuntive (non importa se cinque, tre, due o una), perché esiste un tasto che le deve richiamare.

L’interfaccia di Android sembra privilegiare un utilizzo orizzontale del dispositivo, che a sua volta implica l’uso della tastiera fisica. Non sempre è comodo. Pare infatti che se vogliamo comporre un numero di telefono non si possa usare il touch-screen in orizzontale: andando in Dialer appare la scritta “Use keyboard to dial” (Utilizzare la tastiera per comporre il numero). I tasti numerici sono in fila orizzontale e non hanno la familiare configurazione a file di tre, 123 — 456 — 789 — *0#, più comoda per immettere numeri telefonici (tendiamo a memorizzare la posizione dei tasti, quindi, come anche avviene sulle tastiere dei computer, chi è abituato a inserire numeri col tastierino numerico fa più fatica a inserirli quando si ritrova il layout 1234567890, con i numeri tutti disposti su un’unica fila).

Non vi è alcuna indicazione visiva che suggerisca la possibilità di fare tap sulla barra di stato e trascinarla verso il basso per rivelare informazioni aggiuntive. iPhone non presenta questo tipo di ambiguità a video.

Cercando informazioni, critiche e commenti su Android, mi sono imbattuto in questo post di Paul Kafasis. Le cose più interessanti sono i link ai video che gli sviluppatori di Android hanno pubblicato su YouTube. Uno dei punti forti di Android rispetto a iPhone, secondo loro, è la possibilità di far girare molteplici applicazioni in background, di passare rapidamente da una all’altra, di ricevere notifiche da un’applicazione in background mentre ne stiamo utilizzando un’altra, e infine il copia-incolla. E lo dimostrano in questo video. Alla fine del video, che non mi ha entusiasmato molto, avevo una serie di perplessità che ha ben espresso un commentatore (che si firma Palmer Deville) al post di Kafasis:

Basandomi su quel che presenta il video, non riesco a vedere quali siano i benefici nel poter far girare più applicazioni su Android.
Anzitutto si vede il tizio che sta sfogliando le foto e riceve notifica di un messaggio istantaneo. Questo è ciò che Apple ha già proposto [su iPhone] con il server per le notifiche (che visualizza un badge — cioè il pallino rosso che indica il numero degli avvisi –, un allarme sonoro e/o degli avvisi in sovraimpressione sullo schermo), così che sia possibile passare direttamente all’applicazione che ha inviato l’avviso oppure ignorarla. L’unica differenza con le attuali demo di Apple è che l’utente dovrà selezionare Ignora o Chiudi se non vuole rispondere subito. Avere l’applicazione di messaggeria istantanea in background in questo caso è inutile.
Poi vediamo il tizio scegliere a quale applicazione passare: tiene premuto il tasto Home finché non appare la lista delle applicazioni attive. Certo, e io su iPhone premo semplicemente il tasto Home e posso scegliere qualunque applicazione voglia per poi tornare quasi istantaneamente al punto in cui mi trovavo prima. Non vi è un gran numero di applicazioni che traggano vantaggi notevoli dall’utilizzo di risorse del processore. La differenza, in termini temporali, fra il passare da un’applicazione state-saved all’altra [si riferisce al modello di iPhone: le applicazioni sono chiuse, non rimangono in background, ma il loro status rimane registrato ogni volta che l’utente le chiude, così da ritrovarle com’erano quando le riapre.] e il passare da un’applicazione in background all’altra, è trascurabile. Se un’applicazione non sta attivamente elaborando delle informazioni, perché tenerla in background?
Poi il tizio afferma di star utilizzando più applicazioni in background: davvero? Vediamo quali:
IM — il fatto che giri in background non è di alcuna utilità, dato che è sempre necessario un qualche avviso e che i servizi di notifica proposti da Apple mirano a estendere questa funzionalità a tutte le applicazioni che ne possano aver bisogno, così da avere aperto sempre un solo processo alla volta, di contro a più applicazioni — ognuna col proprio processo — aperte simultaneamente.
Browser — immagino che in caso vi sia un download in corso o se si stia ascoltando audio in streaming, questo possa essere un beneficio. Ma su iPhone non ho mai sentito l’esigenza di avere un browser sempre attivo in background.
Settings (Impostazioni) — seriamente? Viene davvero considerata un’applicazione attiva in background?
Music — ovviamente. Ma questo avviene anche su iPhone, è una delle funzioni primarie.
Contacts (Contatti) — anche qui, siamo seri. Che ci fanno i contatti in background, a che serve?
Tornare al browser dall’applicazione IM sarebbe stato altrettanto facile su iPhone.
E ora veniamo finalmente alla parte davvero interessante del video, il copia-e-incolla. Considerando il funzionamento di una clipboard (dove vengono registrati gli appunti), che questa stia in background non è un requisito. Il modo in cui viene presentata la procedura lascia a intendere che l’applicazione deve prima essere attivata ed essere già in esecuzione. Ciò non dovrebbe accadere e forse non funziona così. Volessi incollare quell’URL in Mail, dovrei poterlo fare altrettanto facilmente aprendo l’applicazione. 

Sul copia-incolla, quel che ho potuto notare io è che nella demo (anche in quest’altra) il testo da copiare si trova racchiuso in un campo e che non pare esservi un sistema per scegliere con precisione quale porzione di testo copiare. Nel primo video si vede il copia-incolla di un URL, nel secondo video lo sviluppatore effettua una pressione prolungata sopra l’intera frase e la frase viene selezionata interamente. Il sistema della pressione prolungata (tenere il dito premuto alcuni secondi sull’elemento da selezionare) era già comparso sul Newton a metà degli anni Novanta. Sul Newton l’input avviene mediante stilo, e questo permette una maggiore precisione e versatilità nella selezione.

La questione del copia-incolla su iPhone è interessante. Come è stato implementato su Android sembra abbastanza semplice, ma vorrei vedere una demo dove mi si spieghi come effettuare un copia-incolla raffinato (per esempio di una parte di un messaggio email o di un testo di una certa lunghezza o di parte di un URL). Come ebbi a commentare altrove, il problema del copia-incolla in iPhone/iPod touch è indubbiamente complesso, perché implica situazioni + gestualità più complicate rispetto alle normali operazioni che si effettuano abitualmente. Ogni idea che ho visto finora o complica l’interfaccia (rendendola “poco Apple”, per così dire), o prevede gestualità troppo strutturate e non intuitive, o non è applicabile a livello globale sul dispositivo, oppure non è applicabile con coerenza in situazioni diverse.

L’idea del sistema copia-incolla del Newton può fornire un buon punto d’inizio (il gesto di tenere premuto su un certo elemento per iniziare la procedura di manipolazione), ma su iPhone/iPod touch si usano le dita, non uno stilo, e la selezione di un certo segmento di testo non può essere altrettanto precisa. Certo, c’è la lente d’ingrandimento che appare sul testo per posizionare il cursore con precisione, ma è un sistema che va benissimo per fare solo quello. Una volta che si deve tenere premuto il dito sullo schermo per selezionare certe parti di testo senza che la lente scompaia, questa diventa un’operazione stancante per la mano e per la vista. Potrei sbagliarmi, ma forse non si vedrà mai un copia-incolla “a tutto campo” su iPhone. È più probabile una soluzione di compromesso, o comunque un arrivare alla soluzione per gradi, magari introducendo il copia-incolla solo per determinati elementi e usando menu a comparsa (es. si tiene premuto il dito su un link in MobileSafari, e il link può essere copiato e incollato altrove; si tiene premuto il dito su un’immagine in un sito e l’immagine può essere aggiunta alla cartella delle foto, e così via).

Tornando ad Android, esteticamente l’interfaccia mi lascia abbastanza perplesso. La sensazione è che vi sia dietro una mentalità molto Windows (o Linux, a seconda dei punti di vista). La presentazione delle icone, dei menu, degli elementi, è stratificata ed è secondo me un’altra scelta di design superata o da superare. L’idea che vi sia una “scrivania” su cui disporre l’orologio e le icone delle scorciatoie (le funzioni più usate dall’utente), con una ‘linguetta’ da premere per richiamare un menu principale, è un misto di logica da computer desktop e di sistemi operativi mobili di vecchia scuola. Oltretutto l’incongruenza più vistosa dell’HTC G1 è che premendo il tasto MENU non si richiama il menu principale, ma un menu secondario e contestuale all’applicazione in primo piano; l’utente che proviene da altri cellulari e smartphone è abituato a vedere un bel tasto MENU che, appunto, gli mostra il menu. Su Android l’effetto non può che essere straniante: “Per richiamare il primo menu pigio sullo schermo, ma per i sottomenu e le opzioni premo un tasto fisico che si chiama MENU? Boh”.

Mi riservo di tornare sull’argomento con approfondimenti, ma per ora mi sembra prematuro definire Android come lo ‘iPhone killer’. Non basta il multi-tasking e una specie di copia-incolla. E non basta essere open source. Anzi, il fatto che Android sia potenzialmente applicabile all’hardware più vario complica non poco la vita agli sviluppatori specie per mantenere omogeneità e consistenza a livello di interfaccia. Come fa notare John Gruber:

La mancanza del multi-touch è una lacuna hardware del G1 di HTC, non di Android. Ma evidenzia molto bene i problemi che dovranno affrontare gli sviluppatori se vogliono creare delle esperienze interattive di qualità pari a iPhone. Se una propria applicazione richiede il multi-touch, allora questa non funzionerà su certi telefoni Android. Se non si richiede il multi-touch, allora si è costretti a scrivere del codice extra e a progettare gestualità di interfaccia alternative.

Se gli sviluppatori di Android prenderanno la strada più semplice, e si limiteranno a puntare al minimo comun denominatore delle possibilità dei dispositivi, allora la piattaforma non potrà mai competere con quella di iPhone — e col passare del tempo non farà altro che perdere sempre più terreno.

Manutenzione del Mighty Mouse

Mele e appunti

A chi possiede un Mighty Mouse da un po’ di tempo sarà capitato almeno una volta di non poter più scorrere fluidamente i contenuti di documenti o siti Web verso l’alto e/o verso il basso. Facciamo girare la pallina grigia del mouse in tutte le direzioni, ma a video succede poco o niente, oppure lo scorrimento avviene a scatti e in maniera imprevedibile. È chiaro che il problema è dovuto a sporcizia accumulatasi all’interno, dietro la pallina. Solo che il Mighty Mouse non è facilmente smontabile da permettere un’operazione di pulitura approfondita.

Ho avuto anch’io questo problema. In rete si trovano i consigli più disparati, ma credo che la soluzione più efficace sia quella proposta da Apple stessa. Per lo meno, io l’ho seguita e ha funzionato. Ho quindi pensato che valesse la pena tradurre la nota tecnica e pubblicarla qui. Per inciso, continuo a non capire i criteri con cui vengono scelte le lingue in cui tradurre le note tecniche. Questa sul Mighty Mouse si trova infatti in inglese, tedesco, francese e tre lingue orientali che a occhio mi sembrano giapponese, coreano e cinese — ma non in italiano e spagnolo.

Ecco il testo tradotto (si noti l’ironia del Sommario):

SommarioMalgrado il vostro Mighty Mouse non necessiti mai di acqua o cibo, di tanto in tanto potreste sentire il bisogno di pulirlo.

Se il Mighty Mouse è pieno di ditate o la sua superficie si è sporcata, è possibile pulirlo passandolo gentilmente con un panno che non lascia pelucchi. Se necessario, inumidire il panno con acqua soltanto, facendo attenzione a non inzupparlo. Il mouse infatti contiene componenti elettronici che possono essere danneggiati se dell’acqua penetra dalla fessura che circonda la pallina o nella parte inferiore del mouse.

Si può ricorrere alla stessa procedura per pulire la pallina di scorrimento del Mighty Mouse nel caso si sia scolorata o sporcata. Utilizzare un panno che non lascia pelucchi leggermente inumidito con acqua. Sfregare la pallina e l’area immediatamente circostante, facendo ruotare la pallina in modo da pulirla in ogni sua parte. Se lo scrolling appare difficoltoso o se la pallina di scorrimento non scorre verso l’alto, il basso o lateralmente, tenere il mouse capovolto e fare ruotare la pallina con forza mentre la si pulisce, così da far staccare eventuali residui di sporco accumulatisi all’interno.

È disponibile un video dimostrativo in formato QuickTime. 

Io ho utilizzato, per praticità, una di quelle salviettine detergenti umidificate che si trovano in qualsiasi supermercato. Per esperienza, devo dire che la parte ‘geniale’ della procedura di pulitura è quella di capovolgere il mouse e sfregare bene la palletta, mentre la si fa girare in ogni direzione. Poi si asciuga bene il mouse e lo si lascia riposare un minuto. Riacceso e riconnesso (io ho il modello wireless), lo scrolling ha ripreso a funzionare perfettamente come quando il Mighty Mouse era nuovo.

A sideways appraisal

Et Cetera

An attempt to look closely at one’s attempts paradoxically nudges one into a distance from the work itself — a sideways appraisal.
(Annabel Nicolson, 1975)

I’d love to say that I’ve spent all this time since my last update doing extraordinary things, busying myself with exciting developments in my career as a translator, writer, tech pundit, whatever. The truth is much more mundane.

First, there were holidays. I went to Italy in August with my wife to spend the month at my parents’. My wife had to study for an examination she wants to take to advance in her job; I needed rest and a good detachment from the routine. So days passed harmlessly, most of them uneventfully, and of course too quickly.

Then, September. I have been under siege. A high tide of work, translating things I have no real interest in, thus making the impact even worse.

During all this time I’ve been thinking and trying to retain as many creative mental notes as I could. My main frustration — guess what — is my writing. It’s not exactly what you’d call writer’s block. It’s more a writer’s leave of absence. My novel is literally taking shape in my mind: I see entire scenes of many yet-to-be-written chapters unfold in my head when I close my eyes. Like watching a fantastic movie you’re desperately trying to remember to describe it later in detail. I see my characters, they’re alive, they move, they act, I see the places they’re in, the clothes they’re wearing, how they smell, what they had to drink yesterday. Then, when the day is done and I have, like, fifteen minutes to take my paper notebook out and see how dreadfully behind I’m falling — well, it’s depressing.

And a constant feeling is nagging me — that when I finally have the time to sit and write all the scenes I’ve been watching behind my closed eyes, or even during brief daydreaming sessions, it’ll be too late. Too late for what, I don’t know. But, you know how feelings are. They often nibble at irrationality.

Online I’ve mostly been elsewhere. My Italian Mac-oriented tech blog is having a bit of a success (having an average of 250 visits per day, well, it’s success to me) and I try to take care of it too. I’ve also kept an eye on the so-called “social networks” that seem to be so popular today, but I really don’t see the point in most of them. I think LinkedIn is a good idea and can be useful work-wise. Flickr is nice and I like to post photos there and give and receive feedback, plus there are some film cameras-related discussion groups with experienced and helpful people, so despite the idiotic idea of adding videos, Flickr is OK. Facebook I don’t get. At Facebook they think they’re smart with the idea that you have to sign up even to just see someone’s profile, and I’ve been even invited by friends who are already there: I set up a Facebook profile where I can post my pictures, videos and events and I want to add you as a friend so you can see it. First, you need to join Facebook! Once you join, you can also create your own profile. — isn’t that precious? Well, it doesn’t work with me. Actually, it’s the best tactic to keep me away from something.

I am on Twitter, and I’m trying to see the cool factor many people see in it. It’s not a bad idea, per se, but sometimes I wonder if this is really being in a “social network”. Some people I follow, mostly tech pundits and developers who keep authoritative blogs about Macs, design, and technology in general, really need a good dose of humility. As I ‘tweeted’ once, Only because your blog is widely recognised and you have 2000+ followers on Twitter, you’re not a VIP. Don’t act like one. I was taking a gander at this Macworld article, when I stumbled on these words, by Claudia Caporal, an ‘urban etiquette and lifestyle consultant in Miami’: Behavior that might be considered rude in person isn’t necessarily rude online. I’ll have to disagree with that. If on Twitter I send some appreciative feedback because someone has written something interesting, useful, or just brilliant, and my message — either public or private — is a bit more specific than just a “Hey, that was great. Keep up the good work”, I expect to receive an answer. Not because I’m an attention-seeker or because I want to be noticed (hell, I’m not a teenager anymore) or followed by Special Pundit or Smart Guy. I expect to receive an answer, even just a quick acknowledgement, simply out of good manners and respect. I took the time to write you something, and you don’t even want to waste five seconds to shoot a couple of words back? It’s because you poor thing are constantly harrassed by the 3,000+ followers you have on Twitter and can’t possibly write back to anybody? Give me a break. You don’t want to be bothered? Lock your updates and have people ask you permission to follow you, then.

Oh well, I’m making it look such a big deal. It isn’t, really. But it’s just a small example of how these supposedly “social” networks at times end up showing only how dysfunctional people are.