Da un po’ di tempo seguo una triade di blog che trattano di tecnologia e minimalismo: Minimal, Minimal Mac e mnmlist. I primi due hanno un’impronta (oltre che un nome) molto simile: sono essenzialmente dei tumblelog che riportano spunti, consigli, esempi di vita digitale (e non) all’insegna del minimalismo. Si possono trovare fotografie di desktop Mac ordinati e asettici, di ambienti di lavoro spartani e ariosi, mini-recensioni di programmi atti a semplificare il flusso di lavoro e a ridurre il ‘rumore di fondo’ della nostra (im)produttività, nonché estratti e segnalazioni di articoli altrui che rientrano in questa filosofia del Less is more, ossia il meno che diventa un più, un valore, un vantaggio. Il tutto punteggiato da citazioni e aforismi di pensatori, designer, blogger, eccetera.
Di tanto in tanto mi imbatto in citazioni e pezzi che non condivido affatto, come questo, tratto dal post di un tal Justin Lowery:
La gente vuole usare la propria musica in modi che funzionano oggi, non con i sistemi di vent’anni fa. I CD sono roba di vent’anni fa. Sono obsoleti sotto qualunque aspetto, e devono sparire. Adesso. La gente condivide la musica. Cercate di farvene una ragione. Barnes & Noble lo ha capito nell’industria del libro, e ha introdotto il Nook. Gli utenti di questo lettore di eBook possono condividere i libri, legalmente. Possono prestare un libro a un amico per due settimane, e alla fine delle due settimane, il libro torna indietro al legittimo proprietario, via wireless. È genialità pura. Se l’industria della musica se ne uscisse con idee come queste, tutti saremmo molto più contenti. Purtroppo per tutti [le case discografiche] preferiscono pagare avvocati per milioni di dollari invece che dare gli stessi soldi a sviluppatori software in modo che costruiscano un sistema che funziona davvero. Se l’industria musicale investisse in idee innovative (e nella loro implementazione) il denaro con cui foraggia i propri studi legali, sarebbe molto molto più ricca di adesso, e nel frattempo riuscirebbe anche a salvare la propria reputazione. […]
Come si è capito, si tratta di parte di uno sfogo diretto alle case discografiche. Al di là del fatto che quel che funziona nell’industria libraria non è detto che sia altrettanto efficace in quella musicale e viceversa. Al di là del fatto che continuo a ritenere il modello dell’iTunes Store un sistema che risponde almeno in parte allo sfogo e alle richieste di questo tizio. La parte che mi ha più irritato e che non condivido è la prima: La gente vuole usare la propria musica in modi che funzionano oggi, non con i sistemi di vent’anni fa. I CD sono roba di vent’anni fa. Sono obsoleti sotto qualunque aspetto, e devono sparire. Adesso. La gente condivide la musica. Cercate di farvene una ragione.
Ma chi l’ha detto che i CD sono obsoleti? Chi l’ha detto che devono sparire? La gente ha sempre condiviso la musica, a prescindere dal supporto su cui veniva registrata e prodotta. Ho riportato questo frammento perché purtroppo il tizio rappresenta tutta una categoria di consumatori spiccioli, categoria in crescita esponenziale e che io informalmente chiamo la Generazione iPod. Intendiamoci, sono contento del successo dell’iPod e del boom della musica digitale. Il passaggio da CD ai file, e dal doversi portare appresso una dozzina di CD insieme al proprio Discman all’avere un oggettino piccolo come lo iPod nano o shuffle nel quale stanno tranquillamente centinaia o migliaia di brani, è stato sicuramente un passo avanti in quanto a comodità, e non lo nega nessuno. In quanto a qualità sonora e a qualità dell’ascolto, invece, trovo che siano stati fatti uno o due passi indietro.
Ma è un segno dei tempi. Oggi, in quest’epoca della quantità indiscriminata, della velocità e del consumo, molte persone non ascoltano più la musica; la sentono e basta. La sentono facendo altro, spesso molte altre cose insieme. La musica è un sottofondo, un ingrediente di questa maionese impazzita di multitasking che i tempi e la società in un certo senso ci impongono. La qualità della musica, dei supporti, e degli strumenti con cui la si fruisce, importa relativamente. Sto ovviamente generalizzando, non potrei fare altrimenti; so che là fuori esiste uno zoccolo duro di audiofili dalle invidiabili capacità di discernimento acustico.
Io non sono un purista, non possiedo un impianto stereo esoterico da migliaia di Euro, non ho una stanza dove chiudermi e ascoltare la mia collezione di vinili. Ma sono cresciuto con un’educazione musicale differente, con l’abitudine per esempio di dare alla musica un suo spazio nella mia giornata. Ascoltare un disco, specie una novità appena comprata, per me è sempre stato un piccolo rito, come per altri può essere il tè, il caffè, il fumare il sigaro o la pipa; insomma, il ritagliarsi un’oasi di tranquillità in cui dedicarsi a quella sola attività. Nel mio caso, ascoltare musica. Senza fare altro. In cuffia, o attraverso le casse dello stereo. E utilizzando un impianto hi-fi, non il computer e i miseri altoparlanti a esso collegati. È un rito che, bene o male, mi ha sempre accompagnato fin da quando ero molto piccolo: ricordo che non avevo ancora 3 anni e già mettevo i 45 giri nel piatto della fonovaligia dei miei genitori e mi sedevo vicino ad ascoltare i dischi. I nomi degli artisti e i titoli delle canzoni mi dicevano poco o nulla, ma avevo imparato ad associare le musiche che preferivo ai colori delle etichette dei dischi, e a volte delle copertine, così sapevo sempre che cosa mettere.
Col passare degli anni e con il diminuire del tempo a disposizione per queste cose nell’arco della giornata, anch’io sono diventato in gran parte un ‘consumatore’ di musica, e fra iTunes e Spotify ho un rapido e comodo accesso a una quantità di musica inimmaginabile solo cinque anni fa. E per ‘consumare’ e condividere vanno benissimo. Ma, tornando alla citazione che ha dato l’impulso a questo articolo, la gente non solo vuole condividere la musica. Certa gente, fra cui il sottoscritto, continua a voler ‘possedere’ la musica e a volere qualcosa di solido per le mani, come il CD. Ma non è soltanto questo: qualsiasi file musicale, a parte forse certi formati lossless, se la sogna la qualità audio di un CD. Eh sì, ci sono persone a cui la qualità ancora importa. Il CD rappresenta inoltre una garanzia di maggior durevolezza: un archivio musicale solo digitale deve essere costantemente salvaguardato con backup e copie ridondanti, perché è alla mercé dell’integrità dei dischi rigidi o delle memorie flash. Il primo CD che ho acquistato nel 1986 è ancora lì, fresco come il giorno in cui lo comprai, e lo posso ancora ascoltare senza problemi oggi, 23 anni dopo.
Il Dizionario Garzanti, alla voce obsoleto riporta questi sinonimi: disusato, antiquato, superato. Oggi probabilmente i CD si usano meno, e come ho già detto sono meno pratici dei file MP3, AAC, e dei lettori musicali come iPod, ma mi pare improprio considerarli obsoleti, perché sotto il profilo qualitativo di certo non lo sono. È un po’ triste che, a volte, a decretare l’obsolescenza siano più le abitudini e le tendenze, che non parametri come la qualità intrinseca delle cose. Che il futuro della musica sia la progressiva immaterialità non ci piove, ma a me piacerebbe anche che si arrivasse a ottenere una qualità tale da far dimenticare i CD, e non solo un compromesso qualità-praticità. Mi piacerebbe che la musica digitale progredisse in maniera più simile alla fotografia digitale, che negli esempi più eccelsi sta arrivando a ottenere risultati che non fanno venir voglia di tornare alla pellicola, per dire.
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