Sono stato fuori sede e sostanzialmente senza Internet per diversi giorni. In questa oasi di (relativa) tranquillità è risorta una vecchia passione: quella per le avventure solo testo, genere che vide un notevole boom negli anni Ottanta grazie a software house come Infocom e Magnetic Scrolls, che produssero titoli memorabili come la serie di Zork, The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy, A Mind Forever Voyaging, Leather Goddesses of Phobos, Trinity, Bureaucracy, The Lurking Horror, The Pawn, The Guild of Thieves, Jinxter, Corruption, ecc.
Questo genere di gioco nacque sulla scia di quei libri ‘Scegli la tua avventura’ (Choose Your Own Adventure), sorta di racconti non sequenziali in cui al lettore venivano di volta in volta proposte delle scelte, e la narrazione proseguiva a seconda della strada che il lettore sceglieva di intraprendere (la formula, tipicamente, era più o meno così: “Se accetti il dono del mago, vai a pagina 34. Se lo rifiuti, prosegui a pagina 20. Se decidi di sfidare il mago, vai a pagina 62”). In questi libri, quindi, potevano esserci due o più finali. (One Book, Many Readings, un ottimo contributo, che si addentra nell’argomento, lo si può trovare a questa pagina).
Nella trasposizione informatica il livello di interazione fra il lettore (ora giocatore) e la storia/avventura può essere naturalmente maggiore. Lo scenario classico è un’introduzione alla storia (che può essere più o meno dettagliata) e una descrizione del luogo e della situazione in cui il giocatore si trova. Poi il gioco presenta un prompt di comando e attende un’azione da parte del giocatore. I comandi tradizionalmente accettati sono nel formato verbo all’infinito + oggetto, come GET LAMP (prendi la lanterna), OPEN DOOR (apri la porta), e via dicendo. Per muoversi da un luogo all’altro si immette un’abbreviazione del punto cardinale verso cui ci si vuole muovere (se possibile): N, S, E, W, NE, NW, SE, SW. Un altro comando universalmente supportato è poi INVENTORY, che fornisce appunto l’inventario degli oggetti che il personaggio guidato dal giocatore porta con sé.
È difficile parlare in generale, perché ogni avventura, ogni storia, porta situazioni diverse e tipi e livelli di interazione diversi. Diciamo che comunemente il giocatore si trova all’interno di una situazione, di una vicenda, che deve essere risolta in qualche maniera. Nella stragrande maggioranza dei casi esiste un obiettivo da individuare e da portare a termine, e durante l’avventura il giocatore viene messo di fronte a una serie di rompicapi da risolvere per poter progredire nell’intrapresa. Anche qui, tali rompicapi possono essere di varia natura: ci può essere una porta chiusa a chiave e il giocatore deve scoprire dove si trova la chiave, che può trovarsi altrove, può essere nascosta dentro un altro oggetto da trovare, o essere in possesso di un altro personaggio (e quindi può essere necessario trovare un altro oggetto da offrire a quel personaggio in cambio della chiave); ci possono essere degli ostacoli da superare mediante la combinazione di indizi raccolti o semplicemente incontrati in precedenza (per questo è sempre bene prendere nota di tutto); talvolta un puzzle richiede la scoperta di come utilizzare un oggetto in nostro possesso; insomma, gli esempi sono tantissimi.
Come dicevo, questo genere di giochi fu molto diffuso tra la fine degli anni Settanta e per buona parte degli anni Ottanta; poi, con l’avvento di computer dalle capacità grafiche sempre migliori furono sviluppati giochi sempre più incentrati sulla grafica, e oltre agli ‘arcade’ si fecero più sofisticati e realistici i giochi di azione in prima persona, i classici ‘sparatutto’, filone inaugurato da titoli come Wolfenstein 3D, Doom e Quake, di Id Software. Anche alcune avventure testuali si adeguarono, prima accompagnando le descrizioni di luoghi e stanze con immagini grafiche statiche, poi creando ambienti tridimensionali più complessi e manipolabili da un puntatore, necessitando quindi di descrizioni più stringate. Ma si stava già trasformando in un genere diverso.
Dagli anni Novanta si assiste a una piccola rinascita del fenomeno, che viene ribattezzato ‘Interactive Fiction’, e le idee si fanno più ambiziose. Si rivalutano le avventure testuali, che diventano in molti casi delle vere e proprie opere letterarie interattive, in cui ampio spazio viene dato all’intreccio, all’interazione dei personaggi, all’esplorazione dei luoghi e alla ricostruzione di fatti; come in ogni ambito, si sperimenta con i limiti offerti dal medium, e compaiono avventure in cui per esempio il narratore non è affidabile, oppure in cui è necessario prima ricostruire l’identità del personaggio per poter capire come muoversi, oppure vengono proposti titoli in cui tutta la vicenda si svolge in una stanza (esemplare Shade di Andrew Plotkin), oppure opere di interazione in cui non c’è azione, non si visitano luoghi, non si risolvono puzzle, ma si conversa con un altro personaggio. Insomma, il genere viene nuovamente nobilitato da avventure di ogni tipo, progetti collettivi, storie corte oppure mondi complessi e affascinanti. E come in ogni genere letterario e artistico che si rispetti, esistono gruppi di appassionati, vengono organizzate competizioni, eccetera.
Da un punto di vista tecnico, oggi queste avventure vengono realizzate con un linguaggio di programmazione basato sul linguaggio naturale, chiamato Inform, e disponibile per tutte le piattaforme. Una volta creata un’opera di fiction interattiva, essa assume l’aspetto di file che possono essere letti da programmi che vengono chiamati interpreti. In genere questi programmi presentano una finestra di testo non dissimile dal Terminale, entro la quale viene caricata la storia. Le informazioni più aggiornate si trovano tutte in un comodo punto di partenza, che è il sito di Inform. L’elenco di interpreti più comuni (e costantemente aggiornati) si trova a questa pagina. È scontata una buona conoscenza dell’inglese. Esistono titoli in altre lingue, ma ovviamente il grosso (e il bello) della produzione è in lingua inglese.
Ricordo che il mio primo incontro con il genere non fu Colossal Cave o Zork (che in genere sono le prime avventure in cui ci si imbatte, dato che sono anche le più antiche — Colossal Cave, conosciuta anche come ADVENT o Adventure è stata la prima a inaugurare il genere, risale addirittura al 1976 e girava inizialmente su un PDP-10), ma un’oscura avventura testuale dal titolo Ring of Power, che scoprii in una cassetta di giochi per Commodore 64 nel 1983. Da lì iniziò la passione per questi giochi, che oltre a essere un passatempo che accende il cervello invece di spegnerlo, nel mio caso si è rivelato assai utile per l’apprendimento dell’inglese e per l’accrescimento del vocabolario.
L’interprete che uso è Zoom per Mac OS X. Il programma, nelle ultime versioni, è dotato di un browser interno che permette di accedere direttamente all’IFDB, l’Interactive Fiction Database, navigare fra i vari titoli a disposizione, scaricare le avventure e mettersi a giocare. Esiste addirittura un’applicazione gratuita per iPhone, Frotz, che contiene un’ottima scelta di avventure testuali. Non è il massimo della comodità perché richiede un uso continuato della tastiera virtuale di iPhone, ma quella selezione di titoli è un buon punto di partenza per chi è nuovo del genere: quegli stessi titoli si trovano nell’IFDB e possono essere giocati più comodamente sul Mac.
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