Il 2010: un anno tutto sommato importante
In questi giorni di vacanza (e di influenza) ho avuto modo di ripensare all’anno appena trascorso, che avevo fretta di buttarmi alle spalle perché per molti versi mi ha lasciato l’amaro in bocca. Poi, ricordando una serie di eventi e riconsiderando certi aspetti a mente fredda, devo dire che il 2010 ha avuto una certa importanza sotto il profilo personale e lavorativo. È stato un anno di transizione, fra il caos del 2009 e quello che spero sia l’ordine e il vigore del 2011. Ecco, in ordine davvero sparso, alcune delle ‘lezioni’ che mi ha dato il 2010.
- Da un punto di vista professionale, ho avuto nuovamente conferma del carattere di precarietà che contraddistingue attività freelance come la mia. Si cerca sempre di trovare collaborazioni continuative, di instaurare rapporti di fiducia e quindi duraturi con i clienti, ma la realtà delle cose (specialmente nell’attuale panorama economico) è che bisogna vivere ogni commissione come se fosse l’ultima. In altre parole, mai sedersi sugli allori, e se una collaborazione diventa qualcosa di duraturo, considerarla l’eccezione e non la regola. A parole è facile, e forse ovvio; il problema è che quando si instaura una collaborazione di lavoro che richiede molto tempo e molta priorità, rimane poco tempo per promuoversi e per procacciarsi altri clienti. E se una collaborazione si interrompe abbastanza bruscamente, ci si ritrova sempre un po’ spiazzati.
- Parlando di collaborazioni interrotte, il 2010 è stato l’anno in cui ho purtroppo smesso di occuparmi ufficialmente della traduzione della newsletter Crypto-Gram di Bruce Schneier, che tratta di sicurezza e di crittografia. O almeno, ha smesso di essere un lavoro retribuito dopo nove anni filati in cui l’ho curata per Communication Valley SpA. Se potessi permettermelo, continuerei volentieri a mettere Crypto-Gram a disposizione per il pubblico italiano, ma nella mia situazione attuale non posso fare questo lavoro gratuitamente. Crypto-Gram in Italiano, quindi, è sempre alla ricerca di uno sponsor.
- Il 2010 è stato l’anno in cui più ho sofferto la mancanza di tempo e ispirazione per la scrittura creativa. Nei propositi che avevo riassunto a fine 2009 mi ero riproposto di coltivarla maggiormente nel 2010, e non vi sono riuscito con la determinazione che speravo; qualche passo avanti c’è stato, ma i risultati sono stati molto al di sotto delle aspettative. Anche qui, nell’oscurità generale ho almeno intravisto una possibile direzione, che conto di seguire in questo 2011.
- Nel 2010 ho ripreso contatto con alcune persone che hanno avuto un ruolo importante nella mia vita. Mi sono reso conto che certe derive esistenziali (quei movimenti che allontanano le persone, che le portano a non rinnovare il contatto fra loro come prima, che le portano a perdersi di vista) non sono così incontrollabili e irreversibili come sembrano. Mi sono reso conto che è fantastico poter interagire con persone simpatiche e compatibili attraverso gli strumenti di comunicazione forniti da Internet, ma che al tempo stesso si finisce per trascurare persone che ci sono state vicine in momenti cruciali della nostra vita, amici presenti in carne e ossa, non come messaggi elettronici su una bacheca virtuale. Come ho ripreso i contatti? Non mi sono certo iscritto a Facebook ‘perché tanto c’è tutto il mondo lì’. Ho semplicemente preso carta e penna e scritto una breve lettera all’ultimo loro indirizzo in mio possesso, allegando per comodità un mio indirizzo email nel caso fossero interessati a riprendere il contatto e la corrispondenza. A fine 2009 mi proponevo di concentrarmi sulle cose importanti per il 2010. Sotto questo aspetto sono abbastanza soddisfatto, e intendo proseguire così in futuro.
- Lungo tutto il corso del 2010, sono arrivato alla conclusione che i ‘gruppi di discussione’ in lingua italiana (almeno limitatamente alla mia esperienza diretta) sono una enorme, colossale, fantasmagorica perdita di tempo. Lo scorso ottobre ho raccolto alcune considerazioni in questo post su Autoritratto con Mele e appunti. Mi sono reso conto di quanto tempo ed energie ho sprecato nel seguire discussioni che non andavano da nessuna parte, e mi sono reso conto di quanto, a volte, mi sono lasciato avvelenare l’umore da certa ignoranza e ottusità a cui francamente non c’è rimedio, non importa quanto uno sia idealista e fiducioso nel confronto pacato e razionale. Fossero discussioni di metafisica e filosofia ad alto livello, fra gruppi di intellettuali che possono influenzare il pensiero occidentale, il gioco varrebbe forse la candela. Ma un manipolo di utenti Mac ognuno con le proprie fisime e la propria ristrettissima, personalissima, inconciliabile visione del mondo tecnologico di oggi? No, grazie. Era da un po’ che pensavo di chiamarmi fuori da certi ambienti; non lo facevo perché, ottimisticamente, cercavo di vederne un’utilità anche minima; cercavo di separare il grano dal loglio e ricavarne alcune informazioni utili e, perché no?, qualche spunto da sviluppare poi nei miei blog, ma alla fine ho risolto: non ne vale la pena.
- Per continuare in linea con il punto precedente: ho notato un generale decadimento delle discussioni sul Web a qualsiasi livello. Più gli strumenti che abbiamo in mano oggi offrono incredibili possibilità comunicative, più (paradossalmente) li sprechiamo senza pietà. Il risultato è una sensibile perdita di spessore dei dibattiti. Sembra che le persone non abbiano più la voglia o la capacità di articolare il proprio pensiero al di là di due-tre frasi smozzicate. Cercare di opporsi a questa tendenza è un’impresa titanica e sicuramente fuori dalla mia povera portata. Non posso cambiare nulla su vasta scala, posso solo proporre un dibattito intelligente e articolato nel mio piccolo e nel mio intorno. Quindi un’altra lezione appresa nel 2010 è quella di lasciar perdere e non farsi invischiare in discussioni inutili. Il tempo è mio, il tempo è prezioso, c’è sicuramente qualcosa di meglio da fare che stare appiccicati allo schermo del computer leggendo gente che scrive ma che dà prova di non leggere a sua volta.
- Il 2010 è stato, fra le altre cose, l’anno dell’iPad. Avessi potuto, l’avrei acquistato il primo giorno di disponibilità. Invece niente, e l’effetto collaterale è stato per me un aumento dell’interesse e dell’utilizzo (già elevati) dei miei Newton. Ai miei MessagePad 2100 ed eMate 300 si è da poco aggiunto un Original MessagePad (ossia il primo Newton, anno 1993), il quale, con l’aggiunta di un’apposita custodia e di qualche software essenziale, è diventato uno strumento che mi porto sempre in giro, oltre al buon vecchio iPhone 3G. Qual è la lezione? La lezione è che — a parte il discorso economico — non è obbligatorio buttarsi sempre e comunque sul nuovo dispositivo, anche se è un prodotto ben fatto e marcato Apple. Spesso (e oggi più che mai) ci si ostina a vedere quel che manca, e si perde di vista quel che già si possiede. A molte persone i Newton sembreranno oggetti curiosi e obsoleti; hanno indubbiamente dei limiti hardware e tecnologici, ma con il giusto corredo software sono ancora in grado di svolgere molti compiti egregiamente. Il MessagePad 2100 è finora l’unico tablet su cui posso scrivere una nota a penna, come su un normale blocco di appunti, e vederla riconosciuta, e con quattro pile alcaline ho un’autonomia che molti dispositivi di oggi non riescono a eguagliare. No, non è un iPad, ovvio. D’altro canto l’iPad non è un Newton…
- Il 2010 pare essere stato anche l’anno del libro elettronico e degli e‑reader. Come volevasi dimostrare, per me è stato l’anno del ritrovamento della passione per i libri di carta. Non voglio riaprire la questione ‘meglio un libro di carta o un eBook’, ma una cosa devo dirla: che bellezza tornare a cacciare fra i libri usati e nei fondi di magazzino (specie avendo accesso a una biblioteca), scoprire saggi letterari di qualità perduti in antologie passate inosservate, trovare qualche esemplare Penguin degli anni Sessanta ancora in buono stato e con quel profumo particolare di cantina. Più vado avanti, più mi accorgo che i libri di carta e quelli elettronici sembrano destinati a non avere punti in comune. Se un eBook ha dalla sua una certa praticità, un peso immateriale (attributi che spesso non hanno nemmeno i libri cosiddetti tascabili), dall’altro manca di bellezza, di design tipografico, manca di quella fisicità caratteristica di un libro vero e proprio, un libro che invecchia insieme a noi, che può racchiudere segni, note, ricordi o tramutarsi esso stesso in segno, in ricordo. Insomma, non sempre la praticità è un asso pigliatutto, per così dire.
- Per finire — altro per ora non mi sovviene — e continuando sulla linea del punto precedente: fare il backup di tutte le informazioni davvero importanti. Tenere copie locali, non solo sincronizzate attraverso la ‘nuvola’. L’immateriale è pratico, non occupa spazio se non su dischi rigidi e supporti affini, ma al tempo stesso richiede attenzioni costanti, come le piante. I libri di carta, i dischi, i CD, i DVD, i quaderni d’appunti e quant’altro saranno pure oggetti sempre più obsoleti, ingombranti, e di cui molta gente è pronta a liberarsi senza pensarci due volte, ma richiedono molta meno attenzione e attività da parte nostra per preservarne i contenuti. Hot Rats, di Frank Zappa, è il primo CD che acquistai nel 1987, prima ancora di avere un lettore CD. L’ho ascoltato due settimane fa, e dopo 23 anni dall’acquisto è ancora integro e leggibile. I file AAC che compro su iTunes o gli MP3 che scarico da Internet (dove è lecito), invece, devo conservarli con cura, passandoli da supporto a supporto per evitare che un improvviso guasto hardware li comprometta. Tuttavia, visto che il futuro sembra avvantaggiare l’immateriale, il consiglio finale è sempre quello: backup, backup, backup!
La lezione forse più essenziale, comunque, è quella di non fare propositi per il nuovo anno. Felice 2011 a tutti.
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