[Per chi si è perso la prima parte]
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“…Quindi ci siamo chiesti: come si potrebbe portare il Mac su più scrivanie possibili e senza licenziare il sistema operativo, in un modo che possa convincere gli utenti DOS/Windows a passare a Mac?”
Una bella sfida. Occorreva:
- Ideare una piattaforma hardware sufficientemente semplice da poter essere prodotta a costi contenuti;
- Configurare il sistema in maniera tale che i vari livelli di utenza (il principiante, l’utente medio e l’esperto) potessero tutti sfruttare lo stesso hardware di base ed espandere il proprio sistema nel tempo attraverso l’aggiunta di ‘moduli’ che impiegassero la tecnologia plug & play di Apple;
- Offrire sia il sistema operativo Macintosh sia DOS/Windows nella stessa piattaforma, dando così agli utenti PC la possibilità di provare il Mac ed eventualmente preferirlo al DOS, oppure di usare entrambi gli OS sulla stessa macchina. [Che, guarda un po’, precorre di una ventina d’anni lo scenario attuale e ciò che si può fare con i Mac con processore Intel, mediante Boot Camp, Parallels, ecc.].
Nel frattempo, John Fitch, un ingegnere hardware del dipartimento Apple II, stava formulando ipotesi molto molto simili. Ultimato il lavoro sull’Apple IIGS, Fitch era preoccupato per la mancanza di un prodotto hardware che continuasse l’albero genealogico della famiglia Apple II.
Fitch voleva progettare un nuovo computer partendo dal chip Motorola 68030, che a quei tempi era sufficientemente potente per applicazioni aziendali e high-end, ma altrettanto versatile per applicazioni a livello domestico, non professionale. Il team di sviluppo era impegnato, fra le altre cose, nel design di quel che sarebbe poi diventato il Macintosh II, pertanto il progetto di Fitch necessitava di un’architettura diversa, per distinguerlo dal Mac. In quanto prodotto della linea Apple II, avrebbe dovuto avere un’architettura ‘aperta’, ed è a questo punto che Fitch pensa a un approccio più radicale rispetto alla formula consueta ‘scheda madre + slot d’espansione’.
Ebbe l’idea nel settembre 1984: “Avevo riflettuto per settimane intorno all’idea di un computer compatto che la gente avrebbe potuto mettere in soggiorno ed espandere gradualmente, secondo le esigenze, fino a diventare una macchina complessa e articolata. Tuttavia, invece di realizzare una configurazione standard per la scheda madre, disegnai un backplane, una struttura di base, che contenesse l’alimentatore, alcuni chip ROM, connettori I/O sul retro, e una track, una ‘spina dorsale’ che si collegasse direttamente al bus per il trasferimento dei dati ad alta velocità”.
La struttura di base (backplane) e la spina dorsale (track) dovevano supportare dei moduli, a forma di libro, ognuno contenente schede e chip per far girare Mac OS, il software per Apple II, DOS, Windows, UNIX, più altri moduli per il collegamento di dischi, modem e hardware di rete, tutti collegati alla medesima base. Dato che il backplane era orizzontale e i vari moduli aggiuntivi verticali e sottili, Fitch immaginò il sistema come una serie di libri su una mensola (bookshelf, appunto). Ancora Fitch: “Un sistema di base avrebbe avuto una ‘mensola’ corta, con uno o due ‘libri’. Una implementazione da ufficio avrebbe contato tre o quattro ‘libri’, mentre una stazione high-end sarebbe stata costituita da sette-otto ‘libri’ disposti su una ‘mensola’ molto più lunga”.
Le figure che ho pubblicato nella prima parte di questo articolo illustrano il concetto (e la profonda somiglianza fra l’idea del 2005 di quei due designer e il progetto di Fitch del 1984–85) meglio di mille parole. Certamente “Bookshelf 2005” ha un aspetto più moderno e accattivante, à la Bang & Olufsen, per dire. Ma l’altrettanto minimalista progetto Jonathan si difende ancora bene dopo vent’anni. (Dimenticavo: il codename Jonathan deriva banalmente dal nome di battesimo di Fitch). Differenze esteriori a parte, è innegabile come l’idea di “Bookshelf 2005” non sia per nulla originale. Intendiamoci, non è mia intenzione insinuare che i due designer abbiano semplicemente copiato l’idea di Fitch dandole solo un tocco più attuale: è capitato più di una volta che gruppi di creativi, o singoli designer, in differenti contesti e/o epoche abbiano presentato progetti simili fra loro senza conoscere o aver già visionato il lavoro altrui. Se ricordo bene, per restare in ambito Apple, all’uscita dell’iMac G4, un designer francese ne aveva reclamato l’idea di fondo — quando il team di progettisti Apple era totalmente all’oscuro dei disegni di questa persona. Credo comunque che gli ideatori di “Bookshelf 2005”, avendo studiato design industriale, siano quasi certamente incappati in Apple Design, il libro da cui ho tratto io stesso le immagini qui presentate e il materiale storico su cui si fonda questo pezzo. Apple Design è un bellissimo volume che racconta la storia dell’Apple Design Group dalle origini al 1997, con la creazione del Twentieth Anniversary Macintosh. Peccato non sia più in commercio, anche se forse su Amazon è ancora possibile ricuperare copie usate. Io l’ho trovato e consultato alla biblioteca del Politecnico di Valencia, e guarda caso si trovava nella sezione dedicata al design industriale.
In ogni caso, rimane il fatto che “Bookshelf 2005” e il progetto Jonathan siano essenzialmente la stessa cosa. Un’idea ‘innovativa’… che Apple elaborò più di 20 anni fa.
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