27 ottobre 2007 – Giorno 1
Installato Leopard su PowerBook G4, 1 GHz, 768 MB RAM. Tutto bene. Eseguito il semplice aggiornamento, senza alcuna paranoia di pre-backup e pre-piallamenti vari. A installazione avvenuta, dato l’OK a Time Machine di fare il backup su disco USB esterno.
Il portatile era utilizzabile perfino durante la copia di backup (la prima copia che fa Time Machine è ovviamente l’intero contenuto del disco, eccettuate cache e sciocchezzine che non servono al ripristino), che nel mio caso erano più di 580.000 file per una trentina di gigabyte.
Il portatile era utilizzabile perfino durante la copia di backup e l’indicizzazione di Spotlight (al quale stavolta ho fatto includere tutti i dischi esterni collegati).
Mentre il PowerBook macinava, potevo esplorare le varie novità di Leopard. Mi piacciono molto le migliorie al Finder, e trovo Time Machine e Quick Look le due novità più sostanziose a livello macroscopico. La possibilità di previsualizzare i file senza aprire alcuna applicazione dedicata è per me fantastica. File di testo, PDF, immagini, filmati… Bello. E cover flow nel Finder era abbastanza fluido malgrado le altre attività che stava svolgendo il PowerBook.
Finiti i compiti di Time Machine e Spotlight, aggiornato il portachiavi via Aggiornamento Software e riavviata la macchina, tutto ha ripreso velocità e scatto, e al momento mi ritrovo con un PowerBook che pur non essendo visibilmente più veloce di Tiger, non è nemmeno più lento. E a me questo basta e avanza. Quando a Natale espanderò la memoria a 1,25 GB le cose andranno ancora meglio.
Non ho ancora avuto tempo di scavare e fare molte prove. Così di getto trovo anche Mail migliorato. Ottimo il poter finalmente vedere permanentemente il visore attività incorporato nel pannello a sinistra. Con Mail non ho avuto problemi di migrazione. Ho ritrovato tutti i miei account, messaggi e preferenze così com’erano.
Safari mi sembra persino un pelo più veloce della versione 3 beta su Tiger.
Problemi di compatibilità finora non ne ho incontrati. A parte FinderPop, quelle poche utility di terze parti che uso che si integrano col sistema (MenuMeters, MenuCalendarClock, e altre cosette che al momento non mi sovvengono) hanno continuato come nulla fosse (MenuCalendarClock mi ha avvisato che era necessario fare un upgrade per la compatibilità con Leopard, ho dato conferma e ha continuato a funzionare). Solo qualche widget in Dashboard fa le bizze, ma sono inezie.
28 ottobre 2007 – Giorno 2
Ieri ho avuto più tempo per esplorare con calma la nuova versione di Mac OS X, leggendo nel frattempo il cumulo di paura, incertezza e dubbio fomentato da MacFixIt (no, non linko direttamente a certa gente). Sostanzialmente non si limitano a raccomandare “cautela” (leggi: paranoia), ma dicono di “aspettarsi il peggio” dopo l’insallazione di Leopard. Io, come dicevo, mi sono buttato e con un semplice “Aggiorna” mi ritrovo con un sistema stabile, con le applicazioni che uso più di frequente funzionanti, e nessuna brutta sorpresa. Per citare alcune delle applicazioni che non mi hanno dato problemi con Leopard: Audion, Camino, Firefox, Mailsmith, BBEdit, TextWrangler, GraphicConverter, Pages (la vecchia versione 1.0.2), Adobe Lightroom, Adobe Photoshop CS, LinoType FontExplorer X, Adobe InDesign CS e CS3, Toast Titanium (uso ancora la versione 6), VLC, Senuti (che mi ha richiesto di aggiornare)…
L’Installer di Leopard è molto più semplificato rispetto alle precedenti versioni di Mac OS X. Non mi è piaciuta molto la mancanza di feedback durante l’installazione. A differenza dei vecchi Installer di sistema, non viene mostrata a video l’attività dell’Installer: c’è soltanto una finestra con una barra di progresso generale e una dicitura di “tempo rimanente”, ovviamente variabile e mai veramente indicativa. Dopo un paio di minuti in cui l’Installer sembrava piantato a “calcolare” il tempo restante, apparivano valori non realistici (un 3 ore e 20 minuti, che presto scendeva a 1 ora e 10), fino a diventare sempre più credibili (anche se sono passati almeno 10 minuti con l’indicazione “meno di un minuto”). L’installazione è durata in totale 40–45 minuti, e almeno quattro volte l’Installer pareva totalmente inattivo (nessun segno dal DVD, né dal disco rigido), facendo temere il peggio. In questi casi una finestra un po’ più ricca di informazioni non dispiacerebbe, ma questo è cercare il pelo nell’uovo.
Prima differenza all’avvio: è sparita la storica finestra con “Avvio di Mac OS X”. Adesso, dopo la mela al centro dello schermo e la rotellina che gira, si passa alla schermata blu e poi viene subito caricata la scrivania.
Altra differenza rispetto alle aspettative: la barra dei menu non è semitrasparente. Trovo che il leggero restyling giovi alla lettura dei menu: le parole e le icone sulla barra dei menu mi sembrano più definite, ma può essere benissimo una mia impressione.
Più uso il nuovo Finder, più mi piace. In ogni finestra aperta si ha tutto sott’occhio, specie attivando la barra del percorso (Vista > Mostra la barra del percorso), e l’abbinata Cover Flow + Quick Look è fenomenale. Quick Look è ottimo anche in Mail per esaminare più allegati (e ieri mi sono giunte proprio due email con 8 foto allegate); questa funzione era già parzialmente implementata in Tiger, ma mi piace comunque il lavoro di rifinitura.
Sul nuovo Dock 3D sospendo il giudizio. Ossia, non mi fa né caldo né freddo, e trovo onestamente che si siano sprecati un po’ troppi litri di inchiostro elettronico per discettare su luci, riflessi, ombre e prospettive impossibili delle icone e della superficie su cui poggiano. L’idea delle “lucine” invece che dei triangolini neri per mostrare quali applicazioni sono attive non è brutta, ma sul mio Dock, che ha 57 icone e dunque è piuttosto rimpicciolito, le lucine non si vedono granché. Chi rivuole il Dock bidimensionale di Tiger può applicare questo suggerimento di MacOSXHints.com.
Giudizio ambivalente sugli stack. Mi piace l’idea, mi piace l’effetto visivo (trovo Griglia più utile di Ventaglio), ma non capisco perché abbiano dovuto modificare il comportamento delle cartelle che vengono disposte nel Dock, che era comodo e collaudato: clic sulla cartella, e apparizione dei contenuti in forma di menu gerarchico, con possibilità di navigare rapidamente in cartelle e sottocartelle fino a giungere all’elemento desiderato. Ora i contenuti appaiono, e in maniera più elegante e visibile, ma si è perduta la navigazione nidificata. Se faccio clic su una cartella nel Dock che contiene 15 cartelle, queste 15 cartelle mi appariranno in vista a Griglia, ma facendo clic su una qualsiasi di queste 15 cartelle non mi apparirà un’anteprima dei contenuti, si aprirà direttamente la finestra del Finder corrispondente. In sostanza, gli stack mi sembrano molto utili quando si pone nel Dock una cartella contenente soltanto documenti: lo stack si apre e si ha tutto sott’occhio. Ma quando una cartella contiene altre cartelle e sottocartelle quest’intuitività si perde un po’ per strada.
Un’altra cosa che mi sfugge degli stack: perché mai quando trascino una cartella nel Dock adesso l’icona personalizzata della cartella viene ignorata? Certo, uno stack è letteralmente una “pila” di oggetti, e quando questa pila rimane contratta nel Dock sembra logico che venga rappresentata da tutte le icone degli elementi sovrapposte, ma visualmente è una scelta assai discutibile. Oltretutto l’icona della cartella (cioè dello stack) cambia aggiungendo nuovi elementi, perché viene visualizzata in primo piano l’icona dell’ultimo elemento aggiunto. Questa sciocchezza ha delle ripercussioni sull’usabilità e la visibilità delle cartelle poste nel Dock. Mi spiegherò meglio con esempi concreti.
Creo una nuova cartella chiamata “Prova” e la metto nel Dock. Appare così:
E fin qui tutto bene. Ma se aggiungo un documento di testo all’interno della cartella “Prova”, la cartella stessa apparirà così:
Ovvero, sembra un file. Questo genera di certo confusione. Osserviamo le due figure seguenti:
Nella prima figura vediamo la Cartella Prova con a fianco il documento “Prova.txt” creato in TextEdit e minimizzato nel Dock. Già si fatica a distinguere che un elemento è una cartella e l’altro è un file o una finestra minimizzata. Nella seconda figura vediamo invece a sinistra il documento Prova.txt trascinato nel Dock, e a destra sempre la cartella “Prova” creata precedentemente. Uno è uno stack, l’altro no. Uno è un contenitore, l’altro no. Non vi sono differenze percepibili e le due icone non trasmettono sufficienti informazioni per eliminare l’ambiguità. A me sembra una svista importante. Perché dunque non mantenere le icone delle cartelle proprio come avveniva in Tiger e precedenti?
Per il resto non mi lamento. In questi giorni continuerò ad aggiornare il diario di bordo con altre impressioni e osservazioni. Rimanete sintonizzati, se volete.
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