Ormai è una missione

Mele e appunti

Adobe preps full Flash player for smartphones | iPhone Central | Macworld: Un articolo involontariamente divertente, che mostra come ormai Adobe si sia incaponita nel voler produrre a tutti i costi un player di contenuti Flash per gli smartphone. Il primo particolare che mi ha strappato un sorriso è stato fare clic sulla notizia nei feed RSS e scoprire che, malgrado il titolo faccia pensare a qualcosa di imminente, questo fantomatico player Flash sarà pronto… alla fine dell’anno.

Adobe ha dichiarato lunedì che rilascerà il suo primo e completo player Flash per smartphone per la fine di quest’anno.

Ma, poche righe più sotto:

Tuttavia Adobe ha dichiarato di essere ben lungi dal produrre player Flash che possano funzionare con iPhone di Apple o con il BlackBerry di RIM.

Hmmm, ma se togliamo iPhone e BlackBerry, onestamente, chi rimane nel mercato degli smartphone? Ah, quei nomi che si leggono qualche riga sopra: Nokia, Google, Microsoft, Palm… l’armata Brancaleone.

Più avanti possiamo trovare l’altra cosa che mi ha divertito di questo articolo, ossia le dichiarazioni di Murarka, direttore di partner development e technology strategy della piattaforma business di Adobe.

Adobe è al lavoro su un player Flash ottimizzato per iPhone da quasi un anno, dopo che Steve Jobs (CEO di Apple) si è lamentato delle prestazioni di Flash su iPhone.

Abbiamo fatto molti progressi, ma c’è ancora molto lavoro di ingegnerizzazione da fare”, ha detto Murarka.

Eccome se ce n’è: immagino debbano fare i salti mortali per evitare di infrangere le regole stabilite da Apple nell’iPhone SDK.

Stiamo lavorando con Apple con ciò che abbiamo”, ha detto Murarka. “Siamo fermamente intenzionati a far funzionare il plug-in di Flash su iPhone”.

Sono parole che riecheggiano quelle del CEO di Adobe, Narayen, che in un intervista a Bloomberg un paio di settimane fa diceva: È una sfida tecnica durissima, ed è anche per questo che Apple e Adobe stanno collaborando. Onestamente, visto che né Narayen prima né Murarka adesso hanno fornito qualche dettaglio in più su questa ‘collaborazione’, io mi permetto di nutrire qualche dubbio.

Ma torniamo all’articolo:

Adobe si trova ancor più indietro con RIM.

Abbiamo avuto alcune conversazioni preliminari e stiamo valutando diversi approcci al problema”, ha detto Murarka, “Vi è grande interesse da parte dei clienti aziendali BlackBerry nella possibilità di realizzare applicazioni Flash. Ma non vi è ancora nessuna soluzione vera e propria.

Sarò velenoso: secondo me sono tutte chiacchiere a livello di pubbliche relazioni e nient’altro. Fatico a credere che i clienti aziendali BlackBerry si mettano a pensare “Ehhh, se solo potessimo realizzare applicazioni Flash! Quelle sì che semplificherebbero la vita…”.

Poi ci sono i commenti degli analisti e, stranamente, trovo qualcuno che dice qualcosa di sensato — Jack Gold, di J. Gold Associates, il quale non crede che vedremo Flash su iPhone tanto presto, per due ragioni:

La prima è tecnica. “Adobe vuole che Flash giri davvero bene. Per avere buone prestazioni è necessario accedere ai livelli più bassi del sistema operativo o del telefono”, ha detto Gold. “Windows Mobile, Symbian di Nokia e Google Android sono relativamente aperti sotto questo aspetto, ma sistemi operativi come quelli di BlackBerry e di iPhone non lo sono”.

La seconda ragione, almeno per quanto riguarda Apple, è commerciale. “Apple vuole spingere le proprie tecnologie, in questo caso QuickTime”, ha detto Gold. “Ha a cuore i propri interessi prima di tutto. Guardate quanto tempo ci ha messo Flash ad arrivare sui Mac. Onestamente, non credo che si vedrà Flash su iPhone tanto presto”.

Amen. Ormai credo che l’abbiano capito tutti — meno Adobe.

Chromium fa un passo avanti

Mele e appunti

Da quando si parlava di realizzare una versione di Google Chrome per Mac, fra i siti che ho iniziato a tenere d’occhio vi è il blog di Mike Pinkerton. Mike è nel team di sviluppatori di Camino ed è coinvolto anche nel progetto Chromium per realizzare una versione di Chrome per Mac.

Tre giorni fa Mike ha postato il primo screenshot di Chrome per Mac. Ovviamente siamo ancora in una fase piuttosto embrionale:

Badate bene, i clic non funzionano, e i renderer vanno in crash come pochi, ma una cosa eccezionale è l’interfaccia utente, che continua a funzionare malgrado i crash. Basta aprire un nuovo pannello e via! È importante sottolineare che se ci abbiamo messo così tanto ad arrivare fin qui è anche per questo. Il motore WebKit che viene integrato in Mac OS X non può funzionare in questo modo, e ci è voluto parecchio lavoro affinché funzionasse così. Inoltre, l’interfaccia utente necessita senza alcun dubbio di tutta una serie di miglioramenti, ma è comunque un buon indicatore della direzione di pulizia e semplicità che stiamo percorrendo.

Fra l’altro è interessante notare anche il secondo screenshot postato poco dopo il primo. Nell’immagine si vede cosa succede a un pannello quando va in crash. (Ricordo che in Chrome, a differenza di tutti gli altri browser, ogni pannello rappresenta effettivamente un processo indipendente — è questa una delle novità di Chrome più significative. Se un sito è mal fatto o contiene codice che normalmente manderebbe in crash tutto il browser, in Chrome va in crash soltanto il pannello in cui quel sito viene aperto. È dunque possibile aprirne un altro e continuare a navigare).

Gli utenti Mac di lunga data sorrideranno a questo simpatico tributo: il “Sad Tab” è un esplicito riferimento al “Sad Mac”, la schermata che veniva visualizzata al posto del Mac sorridente se un Mac d’annata riscontrava qualche problema all’avvio.

L’interfaccia utente, come dice Pinkerton, è ancora abbozzata, ma spero rimanga così spartana anche nelle versioni successive. Voglio ricordare che al momento esiste un altro progetto, non legato a Chromium, per portare su Mac OS X (Leopard) un browser a pannelli/processi indipendenti: Stainless.

Nato inizialmente più come proof of concept che come applicazione completa, Stainless ha rapidamente incrementato il ritmo di aggiornamenti fino ad assestarsi sull’attuale versione 0.4.5, stabile e veloce. In più, la grande quantità di feedback positivo (compreso il mio — e ho ricevuto persino una risposta in tempi brevi da uno dei programmatori) ha indotto il team di Stainless a fare sul serio, e al momento stanno lavorando a una prossima versione con nuove funzionalità (compresa la gestione dei bookmark), che rendano Stainless una vera alternativa agli altri browser in circolazione.

Il mio suggerimento ai programmatori di Stainless è stato quello di cambiare il comportamento di default del browser quando si fa clic su un link in un’altra applicazione. Al momento Stainless gestisce i link in entrata aprendo una nuova finestra, ma questo — come ho suggerito — rientra poco nella filosofia di Chrome (a cui Stainless si ispira): meglio che apra un nuovo pannello, o che vi sia un’opzione nelle preferenze che specifichi quale deve essere il comportamento di default (come avviene già in Safari, Camino, Firefox, ecc.). La risposta è stata positiva: evidentemente è un’esigenza che altri come me hanno sentito.

Ho già menzionato Stainless in un vecchio post, ma ho voluto riparlarne perché credo sia un browser molto promettente e da tenere d’occhio. E da installare, per chi non ha la pazienza di aspettare Chrome per Mac.

Microsoft Store?

Mele e appunti

Leggo stamattina su Macworld USA la notizia secondo cui Microsoft avrebbe in programma di aprire una catena di negozi à la Apple Store per “trasformare l’esperienza di acquisto di un PC e dei prodotti Microsoft”. Per svolgere questo compito ha persino assunto un esecutivo di Dreamworks.

Sì, so quel che state pensando. L’ho pensato anch’io.

Piccoli stralci dall’articolo di Macworld:

Secondo un comunicato stampa Microsoft, gli store aiuteranno Microsoft ad avere un contatto più diretto con i consumatori e a capire immediatamente ciò che vogliono acquistare e in che modalità.

Che dite, meglio tardi che mai?

Per quanto riguarda l’interazione diretta con i propri clienti e consumatori, è da molto ormai che si ritiene Microsoft piuttosto indietro rispetto ad Apple, sua concorrente, e Apple ha un vantaggio e l’esperienza di svariati anni nel gestire una catena di negozi. Malgrado Microsoft produca le sue console di gioco (Xbox), i suoi media player (Zune) e altri dispositivi, è tuttora priva di un prodotto PC con il proprio marchio come il Macintosh di Apple.

Ecco, appunto. Il nodo della situazione è ben riassunto in queste poche righe. Anzitutto, Microsoft e Apple sono sempre state percepite come acerrime rivali, quando in realtà competono seriamente in ben pochi mercati. Lo ribadirò fino alla nausea: Apple è un’azienda che produce hardware in primis, e poi anche il software per far funzionare tale hardware. Microsoft è essenzialmente un’azienda che produce software. E se vogliamo guardare un po’ più a fondo, oggi Apple e Microsoft non competono granché neanche sotto il profilo software. Apple ha sviluppato programmi per Windows (QuickTime, iTunes, Safari…), e Microsoft ha sempre prodotto Office per Mac. Il fatto che i Mac con processori Intel possano far girare nativamente Windows non può che essere una buona notizia per Microsoft, che vende qualche licenza di XP o di Vista in più.

Apple non produce una console di gioco, quindi nessuna competizione con Xbox. E in quei territori in cui potrebbe esserci competizione (player MP3, e adesso la catena di negozi — dando per assodato che il progetto verrà effettivamente realizzato), in realtà non c’è competizione, perché Microsoft si è sempre svegliata troppo tardi. Questa idea dei Microsoft Store ne è l’ennesima prova.

Questa mossa fa parte dei preparativi che l’azienda sta approntando con la prossima uscita di Windows 7, e le nuove release di Windows Mobile e del portale online Windows Live. È una decisione in linea con i cambiamenti che Microsoft ha effettuato nel settore marketing dopo l’immagine negativa creatasi intorno al suo sistema operativo Windows Vista.

Buona fortuna. A parte che da quando ho letto questa notizia sto cercando davvero di immaginarmi come possa essere un Microsoft Store e in che cosa si possa differenziare dal solito reparto PC dei negozi di informatica, degli ipermercati e centri commerciali. Perché il successo degli Apple Store è dovuto a tanti fattori, ma davanti a tutto metterei il design gradevole del luogo e la potenza del marchio Apple, che uniti formano un’esperienza ‘diversa’, ‘alternativa’ al solito negozio. Ordine, eleganza dell’esposizione, utilizzo dei materiali (gli Apple Store hanno una certa sobrietà quasi da museo d’arte moderna), addestramento del personale, in genere amichevole, preparato e non invadente.

Microsoft che farà? Scaffali con Xbox, Zune, scatole di Office, delle tante versioni di Vista e del prossimo Windows 7, tastiere e mouse, probabilmente ci sarà uno spazio dedicato al merchandising dove si venderanno le nuove T‑shirt della linea Softwear e che altro? Ci saranno forse dei PC, dei palmari e smartphone con sistema operativo Windows Mobile. Cerco di essere il più possibile imparziale, ma non riesco, non riesco proprio a immaginarmi uno store appetibile e che faccia venir voglia di entrare a dare un’occhiata e provare i prodotti. A parte la prima volta, forse, per curiosità.

Insomma, per recuperare gli anni perduti e cercare di ridurre il vantaggio accumulato da Apple, dovranno farsi venire delle ottime idee. Altrimenti sarà altro denaro buttato, come per la campagna pubblicitaria I’m a PC.

iPhone: note mobili (9)

Mele e appunti

Parliamo ancora di applicazioni

Quando iPhone e App Store erano una novità, mi ricordo di aver passato diverso tempo a spulciare l’App Store cercando applicazioni utili e/o di mio gradimento. È comprensibile che all’inizio si installi un po’ di tutto, specie considerando la gran quantità di applicazioni gratuite o a 79 centesimi. È altrettanto comprensibile che, passata la sbornia, per così dire, si cominci a fare una scrematura per mantenere su iPhone soltanto quei programmi davvero utili e/o divertenti (anche per evitare di avere sette-otto ‘pagine’ di applicazioni da sfogliare tutte le volte).

A sei mesi circa dall’acquisto del mio iPhone 3G, ecco una sintetica rassegna delle applicazioni che mi hanno particolarmente soddisfatto (non metto il link diretto all’App Store, ma basta aprire iTunes Store e inserire il nome nel campo di ricerca):

  • AirSharing: applicazione per lo scambio di file fra Mac e iPhone (vedere anche iPhone: note mobili (4)). In un paio di occasioni, poter andare a leggere dei file PDF che avevo passato a iPhone, è stato indubbiamente provvidenziale. L’applicazione vale il denaro che costa, viene aggiornata spesso, e una volta configurata è semplicissima da usare.
  • Shazam: applicazione per il riconoscimento di brani (vedere anche iPhone: note mobili (4)). Grazie a Shazam ho scoperto un paio di artisti che non conoscevo e ho acquistato la loro musica. Stavo vedendo un film su DVD con mia moglie, e a un certo punto della storia vi era un passaggio narrativo senza dialoghi, commentato solo dalla musica. Bella, ho pensato, vediamo di chi è. E ho attivato Shazam, che l’ha individuata senza problemi. Fantastico. 
  • Tuner Internet Radio: applicazione per l’ascolto di radio Internet in streaming. È molto stabile e ben fatta. Il database delle radio è davvero vasto e ce n’è per tutti i gusti. L’interfaccia di navigazione è molto simile alla sezione Radio di iTunes, con le stazioni suddivise per generi (Jazz, Classic Rock, Parlato, Ambient, Blues, ecc.). Ho trovato una stazione che trasmette solo musica Barocca, un’altra che trasmette solo Successi degli Anni ’80, e una radio locale irlandese molto piacevole. Di tanto in tanto collego iPhone agli altoparlanti sulla scrivania e ascolto la radio mentre lavoro, come non facevo da tanto. Ovviamente Tuner necessita di una connessione Internet, ed è meglio ascoltare la radio quando si è connessi a una rete wireless. Si può fare anche con il 3G, ma occhio al traffico dati. 
  • Frotz: un passatempo che stimola il cervello. È una raccolta di avventure solo testo, alcune molto impegnative. L’implementazione è ben fatta, ed è possibile utilizzare abbreviazioni per non dover digitare troppo (L per Look, X per Examine… sì, il programma è in inglese). Purtroppo il testo è un po’ piccolo e non adatto a chi ha seri problemi di vista. Io di solito faccio sedute piuttosto brevi proprio per non affaticare gli occhi. Mentre ero ricoverato in ospedale è stato un ottimo passatempo. Consigliato agli appassionati del genere.
  • eBay: applicazione per gestire eBay dal proprio iPhone. Si possono cercare oggetti e aste, osservare le foto e leggere le descrizioni degli oggetti, gestire “Il mio eBay”, e ovviamente partecipare alle aste e comprare oggetti. L’altro giorno ho individuato una macchina fotografica che mi interessava e il prezzo era basso. Solo una persona aveva fatto un’offerta e il prezzo era sugli 11 Euro. Poi ho notato che l’asta sarebbe scaduta mentre mi trovavo fuori di casa. Con iPhone e l’applicazione eBay ho potuto seguire l’asta fino all’ultimo secondo e accaparrarmi la macchina fotografica.
  • Converter di Architechies: è a mio parere uno dei migliori programmi di conversione di unità di misura per iPhone. Banalmente, a me serve quando faccio delle traduzioni che contengono unità di misura non metriche (once, piedi, pollici…) o prezzi di prodotti in altre valute. Con iPhone sottomano è comodo fare la conversione senza dover continuare a passare a un’altra applicazione sul Mac.
  • TouchTerm: una nuova applicazione che mette a disposizione una console a linea di comando per collegarsi in rete ad altri computer via SSH. Non è l’unico programma di questo genere disponibile su App Store, ma mi pare il meglio congegnato. In quei rari casi in cui un’applicazione congela il Mac o lo rende incontrollabile, spesso potersi collegare al Mac impazzito da un altro Mac via Terminale risulta provvidenziale (è possibile per esempio visualizzare l’elenco di processi attivi e ‘uccidere’ da remoto il processo sospetto, oppure riavviare il Mac congelato in maniera corretta senza forzare un cold reboot). Con TouchTerm è possibile farlo da iPhone. Questo e molto altro, ovvio. L’applicazione è gratis, ed esiste una versione Pro a pagamento che offre più funzionalità. Per gli usi più comuni, però, direi che la versione gratis basta e avanza.
  • WhatTheFont: ultimo arrivato fra i programmi che ho installato, aiuta a riconoscere il font carattere contenuto in qualsiasi immagine che presentiamo all’applicazione. All’avvio, WhatTheFont ci chiede se vogliamo scattare una foto o utilizzare un’immagine già registrata. Fatta la foto o scelta l’immagine, l’applicazione ci dice di isolare il testo che vogliamo venga analizzato: è un processo intuitivo, basta disegnare col dito un rettangolo intorno al testo. Poi l’applicazione invia al server il frammento da analizzare, separa le lettere l’una dall’altra e ci chiede di confermarle una per una. Ultimato questo passaggio, l’applicazione ci propone una serie di famiglie di caratteri che più si avvicinano a quelli fotografati. Più la foto di partenza è chiara, meglio è. L’applicazione inoltre consiglia di fotografare parole corte e dalle lettere il più possibile leggibili e separate, se si vuole ottenere un risultato attendibile. Io l’ho messa alla prova più volte e l’ho trovata abbastanza efficace. E poi è gratis. L’ho scoperta grazie all’amico Grant Hutchinson. Osservate la sua raccolta in Flickr per avere schermate dettagliate dell’applicazione.

Questo è quanto, per ora. Se avete qualche applicazione particolare da segnalare, programmi che vi sono stati utili in più di un’occasione, o passatempi che vi continuano a divertire, fatelo pure nei commenti. L’App Store è un enorme supermercato, e molte gemme possono passare inosservate. Per questo è importante scambiarsi delle dritte.

I tag e le mie perplessità

Mele e appunti

Qualche giorno fa, passando in rassegna i nuovi post della trentina di feed RSS che seguo assiduamente, notavo l’annuncio di una nuova applicazione per Mac OS X: Tags, di Gravity Applications LLC.

Tags implementa un sistema di tagging (in italiano diremmo forse ‘un sistema di etichettatura’) esteso a tutto il sistema e non legato a una o più applicazioni in particolare. Come nota Gruber, l’interfaccia grafica è simile a Quicksilver o a LaunchBar, in quanto è richiamabile in qualsiasi momento grazie a una scorciatoia da tastiera. Lo screencast presente nella pagina principale di Tags illustra molto bene il funzionamento del programma; la spiegazione è ovviamente in inglese, ma anche solo osservando il video si può avere un’idea di come funziona l’utility.

In sostanza, si può etichettare tutto: foto, messaggi email, file nel Finder, segnalibri di Safari, e chi più ne ha più ne metta. I tag vengono archiviati come metadati, e quindi è possibile effettuare in un secondo momento potenti ricerche con Spotlight.

In generale, il concetto dei tag è mostruosamente semplice: se a ogni elemento — che siano file sui miei dischi, foto caricate online con un servizio come Flickr, segnalibri condivisi, articoli di un blog, ecc. — applico delle etichette identificative (i tag, appunto), le mie ricerche future saranno di molto velocizzate e semplificate. Più tag attacco a un elemento, e più aumenta la specificità di quei tag, ancora meglio. Trovare file, foto, messaggi, segnalibri e quant’altro sarà ancora più facile.

Fin qui tutto bene. E allora dove stanno le mie perplessità?

In primo luogo voglio far notare quel che secondo me è il punto più debole dell’applicazione Tags: nella maggior parte dei casi, gli utenti che la provano/comprano si troveranno con uno o più Mac in cui probabilmente non è mai stato fatto un lavoro di tagging in precedenza. Oppure lo si è incominciato scrivendo parole chiave nella sezione Commenti Spotlight nel pannello di informazioni dei file (ma quanti lo fanno davvero?). Certo, si può incominciare a etichettare tutti i nuovi file che vengono aggiunti al sistema dopo l’acquisto di Tags, ma a un certo punto, se si vuole sfruttare appieno Tags, bisognerà cominciare a gestire tutto l’archivio di file ed elementi già immagazzinati nel Mac. Non voglio provare nemmeno a fare un calcolo approssimativo del tempo che una tale operazione porta via. Che sia tempo buttato o ‘investito’ lo deciderà il singolo. Per quanto mi riguarda, niente da fare. Preferisco utilizzare uno o più strumenti di ricerca: forse ci metterò tre minuti invece di trenta secondi per trovare il documento che mi interessa, ma alla fine con ogni probabilità avrò perso meno tempo che non a ‘taggare’ intere directory di file di testo, immagini, PDF, e via dicendo.

Non ritengo i tag una cosa inutile a priori, anzi. Io stesso ne faccio un uso leggero, per esempio in Flickr e in questo stesso blog. Ma perché ho iniziato a mettere i tag alle fotografie fin da quando attivai il mio account qualche anno fa. Se in tutto questo tempo non avessi mai inserito i tag, non mi metterei certo a farlo ora, dopo aver caricato più di 500 foto. Stesso dicasi per le Categorie e i Tag di questo blog. Ce ne sono perché le ho stabilite fin dal principio.

Un altro fattore che incide sulla reale efficacia dei tag, come ho già accennato poco sopra, è la loro specificità. Tag come “lavoro”, “progetto”, “confidenziale”, “vacanza”, “scansione”, “fattura”, “amici”, sono troppo generici per poter aiutare davvero nel momento in cui si effettua una ricerca. Usare tag del genere non serve a molto e quasi si fa prima a trovare il file di una certa fattura servendosi di una Cartella Smart (Cerca il documento che contiene ‘fattura’ nel nome, compreso tra il 15/10/2008 e il 30/11/2008). Più ci mettiamo a pensare tag creativi e specifici per i vari elementi, più tempo impieghiamo nella nostra titanica operazione di tagging.

Lo considero tempo perso perché il tempo impiegato a etichettare tutti i dati che ci interessano non viene quasi mai interamente ammortizzato dal tempo che in teoria si risparmierebbe nella successiva fase di ricerca. Soprattutto, è tempo investito in maniera preventiva: si cataloga tutto quanto perché ‘potrebbe servire’, ma la quantità di ricerche effettuate difficilmente supererà il numero degli elementi catalogati. In altre parole: ‘tagghiamo’ (brrr che verbo!), cataloghiamo migliaia di elementi per poi magari ricercarne effettivamente un paio di dozzine. E con ‘ricercare’ intendo proprio affidandosi a strumenti di ricerca (come Spotlight) e non — come a me capita nella maggior parte dei casi — sfogliare quelle due o tre cartelle nel disco rigido in cui sappiamo già dove si trova il file che cerchiamo.

Il personal computer è nato con una filosofia ben precisa: aiutare l’uomo a svolgere compiti difficili e operazioni noiose e ripetitive. Con Tags, e il tagging in generale, a mio avviso si fa un passo indietro. Nel mio sistema operativo ideale dovrebbe essere il calcolatore a estrarre più informazioni possibili dai file per poi catalogarli e aiutare l’utente nelle ricerche.