Leggere nell'era digitale

Mele e appunti

The once and future e‑book: on reading in the digital age — Ars Technica: Questo articolo di John Siracusa sul ‘passato, presente e futuro’ degli eBook vale senza dubbio la lettura, se non altro per l’insolito punto prospettico e per le provocazioni dell’autore. Io sono arrivato un po’ faticosamente alla conclusione (il pezzo è lungo sette pagine), e quel che ha inquinato la scorrevolezza della lettura — almeno nel mio caso — sono state alcune obiezioni di Siracusa a chi continua a sostenere la superiorità del libro cartaceo rispetto alla controparte elettronica.

Il mio articolo, più che commentare le conclusioni di Siracusa, si concentra invece su quelle obiezioni che ho fatto fatica a digerire. Da lì esprimerò a mia volta alcune riflessioni personali su libri cartacei ed elettronici.

A pagina 2, a partire dal paragrafo intitolato Paper Tigers (cioè sostanzialmente “gli irriducibili della carta”), Siracusa cerca di smontare le obiezioni più comuni al libro elettronico. È evidente che lui è un fervente sostenitore degli eBook, e a mio avviso si lascia prendere un po’ troppo la mano nell’argomentare:

Le obiezioni più diffuse contro gli e‑book sono moltissime. La cosa che può sorprendere è che gli entusiasti della tecnologia (ossia la maggior parte delle persone che stanno leggendo questo articolo) siano proprio i più agguerriti fra i detrattori. Ecco alcune delle obiezioni più popolari.

Lo schermo

Non posso leggere un romanzo intero su uno schermo!”, “Continuo a preferire la carta e il suo rapporto di contrasto di molto superiore”, “La vista si affatica! La vista si affatica!”, “Yawn. Svegliatemi quando avremo schermi da 1200 punti per pollice”.

A parte alcune rare eccezioni, tutti i confronti fra schermi bitmap e stampa su carta sono tecnicamente corretti nel favorire quest’ultima. Ciò che voglio dirvi è che non hanno importanza.

Tutto il tempo che le persone nel mondo industrializzato spendono leggendo del testo su uno schermo ha, da molto, svuotato di senso questa lamentela. Miliardi di persone, letteralmente, hanno dimostrato di essere disposte e capaci di leggere enormi quantità di testo su schermi assolutamente orrendi. Pensiamo allo scambio di messaggi sui pager e sui primi cellulari, per esempio. Ma i messaggi SMS sono brevi, direte. Sono pronto a scommettere che l’americano medio quest’anno leggerà più testo sul suo cellulare che non da un libro.

Ma i cellulari sono solo la punta dell’iceberg, un iceberg chiamato Web. Quante parole pensate verranno lette su pagine Web quest’anno negli Stati Uniti e in altri paesi del Primo Mondo con un’analoga penetrazione di Internet? Come sarà secondo voi il confronto con la quantità di parole lette sui libri nello stesso arco temporale da quelle stesse persone?

È evidente che le persone siano disposte a leggere del testo da uno schermo. Da schermi spesso grezzi, vecchi, orribili, con un testo piccolo, renderizzato male, con pixel grandi. Una gran quantità di testo, letto per lunghi periodi di tempo. Fino a 40 ore alla settimana solo contando il tempo al lavoro, nel caso della maggioranza degli impiegati che stanno seduti al computer in ufficio tutto il giorno. Più le ore spese a casa, per leggere qualcosa di piacevole. Caspita, è probabile che lo stiate facendo proprio adesso (a meno che abbiate stampato la versione PDF di questo articolo, o che vi paghino per leggerlo).

Lo ribadisco: la gente leggerà del testo sugli schermi. La superiorità della carta da un punto di vista ottico è ancora indubbia, ma è anche irrilevante. La soglia di qualità minima per una lettura estesa è stata oltrepassata molto molto tempo fa.

Ora, questo significa forse che la gente abbia voglia di leggere romanzi e altri ‘libri’ tradizionali su uno schermo? Non necessariamente. Il mio unico obiettivo in questa sezione è quello di eliminare una volta per tutte l’obiezione legata alla tecnologia degli schermi.

Non è mia intenzione dirvi che davvero volete leggere un romanzo su uno schermo. Quel che intendo dire è che la vostra resistenza a farlo non ha assolutamente niente a che vedere con lo stato attuale della tecnologia dei display, malgrado sosteniate animosamente il contrario. (“Voi” è in realtà un individuo generico medio, ovviamente. Per alcune persone la lettura prolungata di fronte a uno schermo a emissione — ma anche di fronte a un libro — è fonte di seri problemi. Si trovano però nel rumore statistico).

Io credo che le persone lo comprendano a livello intellettuale, eppure manifestano una forte resistenza persino all’idea di leggere un ‘libro’ su un supporto che non sia un libro vero e proprio. La mente cerca disperatamente una spiegazione logica (soprattutto la mente del nerd), ed ecco quindi le inutili razionalizzazioni sulla tecnologia degli schermi, i cui limiti sono ben noti ai patiti della tecnologia. 

A mio avviso le cose sono un pochino più complicate di così. Che oggi le persone leggano molto più testo in forma ‘elettronica’ di una volta è verissimo. Che oggi molti leggano più testo in forma ‘elettronica’ che cartacea è spesso vero. Ma di che testo si tratta? Nella stragrande maggioranza dei casi, pagine web e documenti PDF. L’obiezione quantitativa di Siracusa è fallace. È vero che lui stesso dice:

Ora, questo significa forse che la gente abbia voglia di leggere romanzi e altri ‘libri’ tradizionali su uno schermo? Non necessariamente. Il mio unico obiettivo in questa sezione è quello di eliminare una volta per tutte l’obiezione legata alla tecnologia degli schermi. 

Ma ciò, in realtà, non elimina affatto l’obiezione legata alla tecnologia degli schermi, perché alle persone può andare benissimo leggere il Web e consultare documenti elettronici attraverso schermi non proprio eccelsi, ma ciò che continua a fare la differenza è la qualità del testo. Io non ho certo intenzione di leggere Dickens su un monitor CRT da 17 pollici, né sul monitor LCD da 12 o da 15 pollici dei miei PowerBook. Né su iPhone. Né sul Newton. Io credo che l’obiezione legata alla tecnologia degli schermi continui a essere molto solida quando si comincia a parlare di letteratura, saggistica, e in generale di lunghe sezioni di testo senza immagini o elementi grafici che ne spezzino l’intensità.

E ci ho provato. Per lavoro e a livello personale sto molte ore davanti a uno schermo, e ormai la quantità di testo che leggo in formato elettronico sarà sicuramente dieci o venti volte superiore, in un anno, alla quantità di testo letto sui libri, che pure non è poca. Ma proprio perché la maggior parte del tempo la passo davanti a un monitor leggendo notizie e articoli sul Web, o leggendo e scrivendo testi che traduco per lavoro (i quali a volte non mi interessano o appassionano particolarmente), quando arriva il momento dello svago letterario non voglio continuare a leggere parole visualizzate su un monitor. I miei occhi non vedono l’ora di qualcosa di diverso. La lettura di un libro cartaceo è, a questo punto, una vera oasi di riposo.

Paradossalmente credo che uno degli ostacoli più forti alla diffusione dell’eBook sia proprio tutto il tempo passato davanti a uno schermo a navigare il Web e a leggere materiale in gran parte povero di contenuti e qualità letteraria. La lettura di poesie, racconti, romanzi, persino saggi, conserva quella natura di evasione anche quando si tratta di supporti, a mio avviso. Leggere tutto in formato elettronico, vista la quantità di testo che già leggiamo in quel formato, diventa semplicemente troppo. Naturalmente anche la mia è una generalizzazione e ci sono persone che divorano eBook su eBook. Buon per loro, ma vista la situazione degli eBook oggi, non mi pare siano la maggioranza.

Più oltre, a pagina 3, Siracusa elenca una serie di punti forti degli eBook e, per corroborare la sua idea per cui alla fine la gente sarà disposta ad accettare e adottare gli eBook, fa un paragone con la musica e l’evoluzione dei supporti con cui fruirla. Ma anche in questo caso, a mio parere, il ragionamento non fila tanto liscio come sembrerebbe a una lettura superficiale:

Comodità: Mille canzoni in tasca? Un milione di libri in tasca. Portate sempre con voi tutti i libri che state leggendo. Niente segnalibri che si perdono. Niente pagine con le orecchie. Nessun danno fisico come pagine strappate o macchiate. Nessuno spazio occupato sugli scaffali. Nessuna necessità di andare in un negozio. Si compra [online] e si inizia subito a leggere. Leggete ovunque, in qualsiasi momento, con solo una mano. Smettete di leggere all’istante senza paura di perdere il segno.

Potenza: Effettuate ricerche sul testo istantaneamente. Cercate la definizione di qualsiasi parola con un solo tap o clic. Aggiungete e togliete sottolineature un numero infinito di volte senza rovinare il testo o il libro. Aggiungete note senza il limite delle dimensioni dei margini. Create molteplici segnalibri e collegamenti fra più parti nel testo.

Potenziale: Consumate, condividete e ‘remixate’ tutte queste cose con chi volete, tutte le volte che volete.

OK, fantastico, ma è davvero sufficiente? Questi fattori sono così importanti da spingere inevitabilmente verso una transizione dei supporti? Sembra un’affermazione piuttosto discutibile. Per analizzare il tutto sotto una prospettiva migliore, pensiamo ad altre transizioni di supporti avvenute nella nostra vita.

Quali sono stati i vantaggi dei CD che hanno permesso al CD di sostituire i dischi in vinile e le musicassette? I nerd stanno sicuramente pensando alla qualità audio (anche se i patiti del vinile potrebbero obiettare) e la possibilità di realizzare copie digitali. Ma la copia digitale non era affatto pratica comune quando i CD iniziarono a comparire sul mercato, e la migliore qualità audio non è esattamente un fattore che attira il mercato di massa, come vedremo fra poco.

Le caratteristiche più importanti del CD erano molto più banali. I CD erano più durevoli e più piccoli dei vinili, e per riprodurre un certo brano non era necessario riavvolgere, andare avanti veloce, o cambiare facciata. (Oh, e poi le case discografiche non vedevano l’ora di guadagnarci inducendo le persone a ricomprare musica che già avevano, ma questo vale per ogni transizione di un supporto). La qualità audio e l’aspetto futuristico dei CD erano poi la ciliegina sulla torta. E per quanto riguarda la copia digitale, beh, anche i nerd più estremi non ci pensavano all’epoca in cui arrivarono i primi CD (quando si misurava la RAM dei computer ancora in kilobyte e i masterizzatori CD nemmeno esistevano).

A proposito, consideriamo un’altra transizione, dai CD ai download digitali. Ci troviamo proprio nel mezzo di questo passaggio. Che vantaggi hanno i file AAC e MP3 sui CD? Ancora caratteristiche molto banali. È possibile acquistare un download digitale senza uscire di casa, e si può iniziare immediatamente ad ascoltare la musica scaricata. Viene inoltre eliminato lo spazio fisico che occupano gli album. Questi sono sostanzialmente i vantaggi.

E la qualità audio? In realtà quella è peggiorata durante la transizione. I consumatori hanno rinunciato anche ai testi e alle informazioni contenute nei libretti dei CD, e hanno accettato una fedeltà peggiore per la copertina degli album. E questo sarebbe un passo avanti? Secondo i consumatori, la risposta è un fragoroso “sì”. Osservate il potere della comodità e della gratificazione istantanea!

Ora riguardiamo le virtù degli e‑book elencate sopra. Spero sarete d’accordo sul fatto che siano più che sufficienti.

Hmmm. Sì e no.

Che gli eBook presentino grossi vantaggi rispetto ai testi cartacei nessuno lo dubita. Trovo particolarmente interessanti le possibilità di ricerca in un testo, l’analisi di certe occorrenze, l’avere un dizionario in linea che mi dia immediatamente la definizione di un termine che non conosco, specie se sto leggendo un testo scritto in un’altra lingua. Stesso discorso per l’aggiunta di note e per la gestione di segnalibri. Ma credo sia altrettanto indiscutibile che queste comodità si applichino a certi tipi di testi più che ad altri. O anche, se vogliamo, più a determinati usi che facciamo di un testo rispetto ad altri. Se sto leggendo un romanzo per il piacere di leggerlo, e il romanzo è scritto nella mia lingua, e non lo sto leggendo per studio o per lavoro, né per scriverne una critica o un’analisi, l’utilità di tutti questi strumenti di ricerca diventa a mio avviso più attenuata. Certo, posso sempre trovare termini che non conosco, ma basta una rapida ricerca sul dizionario (o anche online) e il problema è risolto.

Ma il punto non è tanto questo. È il paragone con la musica che non mi convince. Mentre ha senso avere con sé migliaia di canzoni sul proprio iPod, avere con sé milioni di libri su un analogo supporto portatile mi sembra una sciocchezza. La grossa differenza fra musica e libri è la fruizione. Io posso ascoltare la mia musica mentre passeggio, ed è comodo avere centinaia di canzoni con me perché posso saltare da un album all’altro, crearmi una playlist, una colonna sonora per la mia passeggiata o mentre sto viaggiando. Posso mettere iPod in modalità shuffle e lasciare che sia lui a sorprendermi, pescando a caso in gigabyte e gigabyte di materiale. Se applichiamo lo stesso concetto ai testi e ai libri, si vede subito come abbia molto meno senso. I libri, anche la serie di libri che uno sta leggendo in un dato periodo, non sono canzoni da tre minuti che uno si mette ad ascoltare casualmente e indiscriminatamente. Forse sono io, ma trovo un po’ improbabile mettersi a leggere tre righe di un romanzo di Orwell, poi tre righe di un saggio di letteratura francese, poi due versi di Dante, poi un frammento di Baudelaire… Per le esigenze del lettore medio in movimento, è estremamente più pratico mettere due o tre libri in valigia. O il best-seller nella ventiquattrore.

I vantaggi elencati da Siracusa si applicano ottimamente a testi brevi da consultare per studio o per lavoro, manuali, documenti tecnici e/o specialistici, testi in cui è molto più importante orientarsi che mettersi a leggere in maniera sequenziale. Io ho installato l’applicazione Shakespeare su iPhone, che raccoglie l’opera del famoso drammaturgo inglese e permette di effettuare ricerche nei testi. Solo che è assai improbabile che mi metta a leggere una tragedia o commedia intera su iPhone. Per me, questa applicazione presenta indiscussi vantaggi per la consultazione del, e ricerca nel testo, che non per la lettura in se stessa.

Il discorso sulla transizione dei supporti musicali è ineccepibile, ma siamo così sicuri che si possa fare un’esatta analogia con il destino che toccherà ai libri stampati? Non ne sono tanto convinto. Dato che l’articolo di Siracusa sembra ignorare o mettere in secondo piano i punti forti dei libri cartacei, farò io un elenco, senza pretese di completezza:

  • Con il libro tradizionale, l’accesso al suo contenuto non è reso problematico dal DRM.
  • Per leggere un libro non serve un dispositivo dedicato, spesso costoso. Non serve un computer né software più o meno specifico. 
  • Un dispositivo dedicato necessita una forma di alimentazione, che siano batterie o connessione diretta alla corrente, e quindi consuma energia.
  • Per la lettura di lunghe sezioni di testo puro, osservare a lungo lo schermo di un computer o di un dispositivo dedicato (checché ne dica Siracusa) risulta più faticoso rispetto alla lettura di un libro tradizionale.
  • Dato che non è stato ancora raggiunto un vero e proprio standard del libro elettronico, è assai probabile che i formati esistenti oggi, e attualmente supportati dai dispositivi in commercio, diventino presto incompatibili con i dispositivi di domani. Un libro stampato nel XVI secolo è ancora leggibile.
  • I lettori di eBook sono più vulnerabili di un qualsiasi libro, sotto vari aspetti. Fisicamente sono più fragili e soggetti a danni (caduta, rovesciamento accidentale di liquidi, ecc.). In più, se mi rubano la valigetta con un paio di libri dentro, perderò un paio di libri. Se vi fosse un lettore di eBook perderei il lettore e tutti i libri, articoli e documenti legalmente acquistati. Questo vale sia per il furto che per lo smarrimento del dispositivo. (Sì, possono esserci i backup a salvare la perdita dei libri acquistati, ma non la perdita del dispositivo per leggerli).
  • Sempre sulla vulnerabilità dei lettori di eBook, non dimentichiamo i possibili guasti hardware e software. Tutti problemi e inconvenienti che un libro non crea e non dà.
  • È molto più semplice copiare e distribuire illegalmente un testo in formato elettronico che non in formato cartaceo.
  • Una comodità indubbia dei lettori di eBook è che permettono di manipolare la visualizzazione del testo: lo si può ingrandire e leggere più comodamente, mentre con un libro tradizionale si è legati alle scelte estetiche e di stampa. D’altro canto i libri elettronici tendono a essere tutti uguali, appiattendo la qualità grafica di un libro, annullandone il design e la particolarità che lo differenzia da un altro libro. In più esiste tutta una serie di libri che è impensabile guardare in formato elettronico: libri d’arte, di fotografia, di architettura, di design, di tipografia, e in genere tutti i libri per cui è importante, anzi fondamentale, il layout e l’insieme di testo e immagine, nonché il formato (non tutti i libri sono riducibili allo schermo del Kindle, per fare un esempio).
  • Il libro tradizionale è estremamente più pratico ed economico per il lettore occasionale o per chi, come me, vorrebbe leggere di più ma non può per ragioni di tempo. Supponiamo che un buon lettore di eBook costi 400/500 Euro. Per poter leggere gli eBook devo prima investire denaro in un lettore dedicato, e poi (sto sempre pensando al modello del Kindle di Amazon) acquistare i singoli libri, che al momento non sono proprio a buon mercato. Se leggo 25 libri in un anno (diciamo quindi due al mese), la spesa non giustifica il consumo.
  • Non parliamo poi del piacere di visitare una libreria e scoprire libri nuovi, autori che non si conoscono, magari grazie alla copertina o al sommario scritto sul risvolto, o a uno qualsiasi dei dettagli che possono attirare la nostra attenzione. Proprio perché i libri cartacei sono variegati, differenti, imprevedibili.
  • Il libro elettronico è comodo da acquistare perché “neanche si esce di casa”, ma non si vive di sola comodità. Un libro non è una canzone che pre-ascolti, ti piace, e la compri perché la vuoi ascoltare subito. La comodità della musica comprata online è al servizio della gratificazione istantanea. Un buon romanzo, un racconto, un classico, è tutto fuorché gratificazione istantanea. Anzi, il piacere è differito, è legato al viaggio della lettura, al traguardo di raggiungere il finale del libro. La canzone è un’altra cosa, è un qui-e-ora, è fast-food.

Nel mondo librario non è ancora avvenuta quella transizione che Siracusa ha descritto nell’ambito dei supporti musicali. La ‘morte’ del vinile e della musicassetta è stata, a suo tempo, piuttosto rapida e decisa. Ricordo bene come nei negozi di dischi che visitavo abitualmente, intere sezioni di vinili sparivano nel giro di quindici giorni, per non parlare delle cassette, scomparse a velocità ancora maggiore. Nel panorama dei testi c’è ancora molta confusione. Troppi formati, troppe differenze e soluzioni proprietarie per i dispositivi di lettura, e un modello economico ancora agli inizi e non ben definito. Per chi ci deve guadagnare, la distribuzione dei testi elettronici è un piccolo incubo, simile a quel che ha dovuto affrontare l’industria musicale con l’avvento della digitalizzazione e distribuzione di musica (più o meno legalmente) via Internet.

Concludo il discorso (necessariamente incompleto, considerando la vastità dell’argomento) sottolineando forse il vantaggio più ovvio del libro tradizionale rispetto all’eBook: la durata del supporto. Questo aspetto è a mio avviso legato a doppio filo con la diffusione e trasmissione della cultura. L’eBook mi sembra figlio di questi tempi veloci, dell’informazione che arriva sbriciolata da ogni dove e che viene consumata ma raramente assimilata, di una virtualità dove tutto passa e poco resta. In questo panorama, pur non negando i vantaggi della tecnologia e approfittandone io stesso, vedo il libro tradizionale come sinonimo del materiale e del permanente di contro all’immateriale e all’effimero. Il testo elettronico è eccezionale, versatile, e comodo, ma mi sfugge di mano, non riesco a configurarne un possesso, è sabbia elettronica che non sta nel pugno.

Come eravamo in beta

Mele e appunti

Betaworld — Mac OS Pre-Releases, Betas, Developer Releases and Other Oddities: Per chi ha curiosità di vedere com’erano certe versioni beta di System 7, Mac OS 8, su su fino a Mac OS X Leopard, questo sito Web, semplice e ben fatto, offre tutta una serie di schermate interessanti. Ci ho trovato persino Mac OS 8.2d8 (nome in codice: Snowman), che possiedo e che non avevo ancora avuto modo di installare.

Per chi invece ha voglia di tuffarsi nella storia delle GUI (interfacce utente grafiche), ricordo il sempre ottimo GUIdebook.

Gone, with traces

Et Cetera

It’s happening often, lately.

Every time I decide to update my journal, something happens, thwarting my efforts, getting in the way, diverting my attention, you name it. This time, after my last update a month ago, was an unexpected prolonged stay at the hospital after the surgery I underwent on January 15.

Usually, a cholecystectomy (gall bladder removal) is performed in one of two ways:

  • Open cholecystectomy
  • Laparoscopic cholecystectomy
  •  

    Quoting a medical entry found on the Web, Laparoscopic cholecystectomy is most commonly done. This procedure is less invasive than open cholecystectomy and requires smaller surgical cuts. It uses a thin, lighted tube called a laparoscope, which lets the doctor see inside your abdomen. For this procedure, the surgeon makes about four small cuts in the belly area and inserts the laparoscope. Carbon dioxide enters the belly area, which helps lift the abdomen up, so the surgeon has more space to work. The surgeon cuts the duct and vessels going to the gallbladder and removes the organ.

    In complicated cases, an open cholecystectomy may be performed. A larger surgical cut is made just below the ribs on the right side of the abdomen. The vessels and ducts going to the gallbladder are cut and closed with clips, and the gallbladder is removed.

    Laparoscopic surgery is often associated with a lower rate of complications, a shorter hospital stay, and better cosmetic results than the open procedure.

    I underwent a laparoscopic cholecystectomy but, of course, in my case there were some postoperative complications. So, instead of coming home on January 17, I was transferred to another hospital to do an abdominal CAT scan, because two days after the surgery my stomach and belly were still inflated, I had fits of pain all over the place and, more importantly, I had a fever. The persistence of the fever indicated some kind of infection, but the CAT scan revealed nothing abnormal.

    As soon as two surgeons examined me, one suggested the insertion of a nasogastric tube to help empty the stomach which was actually full of fluids (almost two litres of a nasty-looking liquid came out of my nose — yes, the tube is inserted in one nostril and pushed down in a way that reaches the stomach, although it stops right behind the throat). After this procedure, my belly ‘deflated’ and returned more or less to a normal size, and I was already feeling better.

    Then, to complicate things, I caught a bug in the hospital that led to some kind of respiratory infection. Fever was still there and for seven days I was fasting and had three, sometimes four, IVs feeding me. The occasional addition were antibiotics and/or analgesics. Slowly but surely, I recuperated and was finally discharged on January 27. Now, after seven abdominal X‑rays, nine vials of blood samples, one ultrasonography and countless IV drips, I’m at home and continuing the antibiotics treatment which should end tomorrow afternoon. I still have occasional pains in the abdomen and in my left shoulder, but the scars on my belly are healing quite well, the fever has disappeared (of course, otherwise I’d still be hospitalised) and I’m feeling generally fine.

    The positive side effects of all this is that now I’m on a healthier diet, and that all those days of hospital captivity inspired me to write a new collection of poems. The working title is Resume CPR (heh), but it has really nothing to do with medicine or hospitals, as it refers to the fact that my poetry, despite being rather absent for three full years, isn’t dead yet.

    I’ll try to update more often, provided nothing else gets in the way this time around.

    Nuova vita per l'iBook

    Mele e appunti
    iMac To Go

    Come accennavo in qualche post precedente, una delle mie ultime conquiste su eBay è stata un iBook conchiglione blueberry, il modello originale con processore G3 a 300 MHz. Mi è costato davvero poco, ma occorre specificare che mi è arrivato in configurazione base (disco rigido da 3 GB, 32 MB RAM — in pratica la RAM saldata sulla scheda madre), senza alimentatore e con una batteria moribonda (nessuna sorpresa: erano tutti dettagli anticipati dal venditore).

    L’iBook è in buone condizioni estetiche. L’unico difetto visibile sono due graffi sul trackpad, che peraltro non ne compromettono il funzionamento. È arrivato con installato Mac OS 9.0. Ho eliminato tutti i documenti e i software che non mi interessavano, e ho aggiornato il sistema a Mac OS 9.1. Vista la poca RAM, non mi sono spinto sul 9.2. Ho installato qualche vecchio browser e i programmi che continuo a utilizzare nell’ambiente ‘classico’, e ho cominciato a guardarmi in giro per scovare qualche aggiornamento hardware. Prima di entrare in ospedale per l’operazione, scambiavo qualche email con il mio pusher di Palo Alto, California, per tastare il terreno (la ‘droga’ a cui mi riferisco, ovviamente, sono pezzi di ricambio per Mac!), e quel buon uomo mi comunicava che aveva ancora una scheda AirPort originale (802.11b) e un banco di RAM SO-DIMM da 256 MB a 144 pin, che è quello per l’iBook. Affare fatto, per una cinquantina di dollari. Otto giorni dopo arrivava tutto, ma ho potuto fare l’upgrade solo dopo essere tornato a casa dall’ospedale.

    Installata la RAM, installata la scheda AirPort, aggiornavo finalmente a Mac OS 9.2.2. Va detto che un processore G3 a 300 MHz sotto Mac OS 9 — pur avendo solo 32 MB di RAM — ha una resa prestazionale non indifferente. Malgrado la ridda di estensioni, il sistema si carica davvero rapidamente e la reattività di Finder e applicazioni è notevole. Figuriamoci aggiungendo un banco da 256 MB, per un totale di 288 MB.

    Lo scopo principale di questo iBook vorrebbe essere quello di avere una macchina Mac OS 9 usabile e performante. Nel comprare la scheda AirPort ho però fatto un piccolo errore di valutazione: credevo possibile potermi collegare via wireless alla mia rete domestica con Mac OS 9.2.2, ma ho scoperto che non supporta la protezione WPA, e la mia rete ha una crittografia WPA Personal. Il massimo gestibile da Mac OS 9 in quest’ambito è la crittografia WEP. A questo punto le scelte che avevo di fronte erano tre:

    1. Cercare di riconfigurare la rete domestica (composta da modem ADSL a cui si collega una base AirPort Express a cui si collega un’altra AirPort Express facente da ponte per estendere la copertura della rete a tutto l’appartamento) per fare in modo di avere una sottorete con crittografia WEP a cui collegare i Mac e il Newton che non supportano crittografie più complesse. Soluzione complicata e forse, data la presenza di un modem e non di un router ADSL, nemmeno fattibile in concreto.
    2. Abbassare la protezione di tutta la rete domestica, da WPA Personal a WEP. Soluzione rapida e fattibile, ma poco sicura.
    3. Aggiornare l’iBook a una versione di sistema che supporti il WPA. Nella fattispecie, Mac OS X 10.3 Panther.

    Ho optato per la scelta n. 3, anche se con qualche dubbio. Panther non è un sistema molto esoso in quanto a requisiti minimi. In sostanza, bastano 128 MB di RAM, un Mac con USB integrata, e sufficiente spazio su disco (da 2 a 4 GB liberi, a seconda se si installano anche XCode e gli strumenti per sviluppatori o meno). Ora, considerando che circa 1 GB era già occupato da Mac OS 9.2.2 e vario software, mi rimanevano poco più di 2 GB liberi. D’altro canto a me serviva un’installazione ridotta all’osso, e per fortuna l’Installer di Panther è molto versatile. Eliminando tutto il superfluo — driver per stampanti, tutte le lingue a eccezione dell’inglese, X11, applicazioni aggiuntive come iTunes, iSync, Internet Explorer (!), iPhoto, iMovie (sì, ai tempi erano comprese con il sistema operativo) — e installando solo il sistema di base, il sottosistema BSD e StuffIt Expander, sono riuscito a mantenere l’installazione di Mac OS X su 1,1 GB circa, lasciando così 1 GB di spazio libero. Ho dato il via all’installazione, incrociando le dita. Alla peggio, se Panther si fosse rivelato inutilizzabile (più che altro per il poco spazio a disposizione), lo avrei cancellato riavviando in Mac OS 9.

    Dopo venti minuti riavviavo in Mac OS X 10.3, e tutto filava sorprendentemente liscio. Buona reattività del sistema, effetti del Dock e spostamento delle finestre relativamente rapidi (l’iBook ha solo 4 MB di RAM video, ricordo), tempi di apertura delle applicazioni del tutto accettabili. In poche parole: Panther su un iBook di questa età va benone. Più spazio sul disco e più RAM si ha, meglio ci si trova, ma voglio sottolineare come anche con solo 1.017 MB liberi su disco il sistema non arranchi. Anzi.

    Malgrado l’aggiornamento, continuavo a non potermi collegare via wireless alla rete domestica. Perché? Semplice: è necessario aggiornare il Software AirPort alla versione 4.2. Mi sono collegato alla mia rete via Ethernet e ho fatto partire Aggiornamento Software. Prima ho installato il Combo Update per portare il sistema alla versione 10.3.9, poi ho aggiornato Safari (v. 1.3.2) e installato due aggiornamenti di sicurezza essenziali. Infine, l’aggiornamento dell’ora legale e del software AirPort. Dopo il riavvio, l’iBook si collegava alla rete wireless senza problemi, accettando la password al primo colpo.

    Come ho già detto in questo post, ho tolto la batteria che si trovava nell’iBook e gli ho dato in pasto una batteria che avevo acquistato per l’altro iBook conchiglione a 466 MHz e che quest’ultimo aveva improvvisamente smesso di caricare. Risulta che l’iBook blueberry sotto Mac OS 9 la carica normalmente e, soprattutto, la batteria ha ancora un’autonomia straordinaria: a piena carica mi dà sei ore circa. Temevo che sotto Mac OS X saltassero fuori i problemi che mi ha dato l’altro iBook, invece niente. Staccando l’alimentatore a carica ultimata, anche sotto Panther ottengo 5 ore e 50 minuti. Al termine di tutti questi aggiornamenti devo ammettere di essere molto soddisfatto. Ora mi trovo un iBook ben carrozzato e utilizzabile. L’intento è quello di lavorarci sotto Mac OS 9 comunque, ed eventualmente connettermi a Internet via Ethernet — ma avere la possibilità di riavviare in Mac OS X e collegarmi via AirPort a reti più protette è senza dubbio assai comodo.

    Schermo matte a tutti i costi

    Mele e appunti

    Hands-on: TechRestore’s matte-screen MacBook Pro service | Macworld: Interessante reportage di Rob Griffiths, che ha spedito un MacBook Pro unibody da 15 pollici all’azienda TechRestore per effettuare una sostituzione dello schermo glossy di serie nel MacBook Pro con uno non riflettente (matte).

    Riporto le informazioni più importanti qui di seguito. Per il resto, invito a osservare le foto nell’articolo originale, che valgono più delle parole.

    Al momento TechRestore modifica soltanto il modello da 15 pollici, ma l’azienda ha confermato che presto metterà a disposizione un programma di sostituzione anche per il MacBook.

    […]

    TechRestore non applica semplicemente una copertura antiriflesso allo schermo in dotazione con il MacBook Pro, ma rimuove l’intero schermo, insieme alla cornice e alla lastra di vetro esterna. Al suo posto, TechRestore installa un nuovo schermo matte circondato da una cornice nera opaca in materiale plastico fatta su misura. Il nuovo schermo non viene ricoperto né da un pannello in plastica, né da un pannello in vetro — rimane esposto, proprio come sui MacBook e MacBook Pro delle generazioni precedenti.

    La sostituzione dello schermo di un MacBook Pro potrebbe sembrare un’offerta costosa e, pur non essendo esattamente a buon mercato, il servizio non è nemmeno così caro come avrei pensato: la procedura costa 200 dollari più le spese di spedizione. Per contestualizzare quei 200 dollari e fare un confronto, dopo qualche ricerca in Google ho trovato dei schermi LCD da 15 pollici (modelli generici e ‘nudi’) in una fascia di prezzo fra i 195 e i 250 dollari. Aggiungiamo il costo di una cornice fatta su misura e della manodopera per l’installazione, e 200 dollari cominciano a sembrare un affare. (Il motivo per cui il procedimento di sostituzione è relativamente economico è in parte dovuto al fatto che TechRestore si tiene il vostro schermo glossy e la cornice nera originale come pezzi di ricambio per la sua attività di riparazione Mac. TechRestore sostiene che lo schermo sostitutivo ha le stesse specifiche tecniche dell’originale Apple). 

    Griffiths poi fa una serie di considerazioni sul MacBook Pro con lo schermo cambiato. Da un punto di vista strutturale e di robustezza non sembrano esserci grossi problemi. È chiaro che, non avendo la finitura in vetro, non sarà robusto come un MacBook Pro originale, e il suo grado di resistenza a urti e incidenti è più paragonabile a quello dei vecchi MacBook Pro (e PowerBook, aggiungo io). Un ‘vantaggio’ del MacBook Pro con lo schermo matte è che il portatile risulta essere più leggero (2,35 kg circa contro i 2,5 kg circa dell’originale).

    Per quanto riguarda la qualità dell’immagine:

    Se avete visto un vecchio MacBook Pro con lo schermo matte, avrete una vaga idea di quel che otterrete da un MacBook Pro unibody modificato da TechRestore. Tuttavia, mettendo quei due modelli [il MacBook Pro della generazione precedente e il MacBook Pro modificato da TechRestore] fianco a fianco, utilizzando le stesse impostazioni di calibrazione del colore e luminosità, lo schermo di TechRestore è visibilmente più luminoso. In breve: lo schermo è fantastico, e la maggiore luminosità si nota davvero e visualizza qualsiasi cosa che abbia uno sfondo bianco in maniera decisamente migliore.

    Il nuovo schermo matte non è però luminoso quanto lo schermo glossy di serie sui MacBook Pro unibody, che è senza dubbio il più luminoso e brillante. […]

    La conclusione di Griffiths è che l’offerta di TechRestore può essere una valida soluzione per chi voglia a tutti i costi uno schermo non riflettente sul proprio MacBook Pro unibody da 15 pollici. Io rimango un po’ scettico. A parte il discorso garanzia, sono abbastanza preoccupanti le due macrofotografie che mostrano i segni dell’intervento di modifica. Griffiths sostiene che a occhio nudo nemmeno si notano e che a esaltare i difetti siano la luce e il fatto di essersi avvicinato moltissimo ai due punti in questione. Resta il fatto che il procedimento di sostituzione è un lavoro estremamente complicato, soprattutto perché nei MacBook / MacBook Pro unibody schermo sottostante, cornice nera e lastra coprente di vetro sono fusi insieme. È normale e prevedibile che rimangano dei segni anche dopo il lavoro meglio eseguito. Ed è normale, almeno per me, non poter ignorare quei segni di intervento; non importa quanto leggeri siano, io so che ci sono.

    Morale: io sono assoluto sostenitore degli schermi non riflettenti e mal sopporto i glossy, ma se domani mi comprassi il MacBook Pro unibody da 15 pollici non credo proprio che lo sottoporrei a questo servizio. Fra l’altro ho avuto modo di provarlo estesamente in un Apple Store qui a Valencia il mese scorso: lo schermo è molto bello e luminoso, e i riflessi tollerabili. Se diventasse la mia nuova prima macchina, in ogni caso, il problema non si porrebbe nemmeno, perché per la maggior parte del tempo sarebbe collegato a un monitor esterno da 20 pollici, antiriflesso.