Glossy e matte

Mele e appunti

L’altro aspetto problematico scaturito dalla presentazione dei nuovi MacBook e MacBook Pro, aspetto che personalmente mi sta più a cuore dell’abbandono dell’interfaccia FireWire 400 sui MacBook, è l’utilizzo di uno schermo glossy come unica opzione sui rinnovati MacBook Pro da 15 pollici. Con la serie precedente, all’atto dell’acquisto, era possibile specificare se si desiderava un MacBook Pro con schermo glossy (riflettente), oppure matte (opaco, antiriflesso). Adesso pare che non vi sia più scelta. L’unico portatile Apple rimasto a listino per il quale si può ancora scegliere è il MacBook Pro da 17 pollici, che comunque verrà presto rimpiazzato dal nuovo modello che condivide le stesse innovazioni presentate con i MacBook e MacBook Pro 15″ qualche giorno fa.

Come già sostenevo in post precedenti, Apple ha appena iniziato il ciclo di rinnovazione, e vi sono svariati segnali che fanno presagire un rinnovo completo dell’intero parco Macintosh (portatili e desktop) nei mesi a venire. In questo momento, in cui il quadro non è ancora completo, si possono solo fare delle supposizioni. Tuttavia, almeno per quanto riguarda gli schermi, pare proprio che Apple sia sempre più orientata al lucido, che l’ambito sia consumer o pro. Certo, sarebbe una lieta sorpresa scoprire che al prossimo Macworld Expo di gennaio, insieme all’introduzione del nuovo MacBook Pro a 17 pollici, Jobs presenti anche una versione dei MacBook Pro con schermo matte, ma osservando il design e la costruzione degli schermi dei nuovi MacBook e MacBook Pro, la vedo dura.

Macity, nel suo confronto fra vecchio e nuovo MacBook Pro, ha pubblicato una foto molto eloquente per quanto concerne la differenza fra schermi glossy e matte.

Chi mi legge da un po’ sa che sono un sostenitore degli schermi matte. Ritengo che siano più versatili in condizioni di luce differenti e cangianti, che affatichino molto meno la vista per chi lavora molte ore davanti al computer (specie leggendo/scrivendo molto testo), per non parlare della fedeltà dei colori e la loro più facile calibrazione (questa non è un’opinione). Per chi non deve fare un uso professionale del Mac, e utilizza il portatile prevalentemente in ambienti chiusi con un’illuminazione controllata, gli schermi glossy vanno bene. Grazie alla tecnologia LED, gli schermi sono più luminosi, e i colori più nitidi e vibranti. Già il solo vedere un film in luce diurna diventa problematico, specie se la sorgente di luce è di lato o alle spalle dell’utente. Alcuni sostengono che, una volta che l’occhio si abitua a focalizzarsi oltre il riflesso, l’immagine fornita dagli schermi lucidi è migliore di quella degli schermi antiriflesso, che diffondono la luce riflessa creando ‘macchie’ fastidiose e di fatto impedendo di vedere al di là di esse. Per chi non ha problemi di vista sarà probabilmente così. Chi ha problemi come la miopia unita all’astigmatismo (come il sottoscritto), e in genere problemi di messa a fuoco, farà una certa fatica ad “abituarsi a focalizzare oltre il riflesso”, perché continuerà a percepirlo come un ostacolo e dovrà continuamente ‘pensare oltre’. Per lavoro mi è capitato di servirmi di portatili con schermi lucidi, e fortunatamente l’esperienza è stata temporanea: ho potuto lavorare senza stancarmi la vista soltanto quando l’illuminazione ambientale era scarsa e nessuna luce (naturale o artificiale) colpiva direttamente lo schermo.

Preferenze e problemi personali a parte, gli schermi glossy sono obiettivamente un grosso problema per i professionisti della fotografia e del colore. Cercando materiale interessante sul Web, sono capitato su una pagina di un forum di Digital Photography Review (data: 10 agosto 2007); l’autore del post racconta in maniera abbastanza dettagliata la sua esperienza nel calibrare due iMac, un 20 e un 24 pollici entrambi con processore Core 2 Duo da 2,4 GHz e scheda ATI Radeon HD 2600 PRO, entrambi con schermo riflettente. Riporto qualche passaggio interessante:

[Oltre ai due iMac summenzionati] mi sono procurato:

  • delle immagini, una stampante Epson R2400, carta fotografica Hahnemuehle Digital Fine Art e i rispettivi profili ICC;
  • i seguenti colorimetri: Spyder 2 Pro con relativo software; EyeOne Display 2 con software Match; Xrite DTP-94 con software ColorEyes.

In tutti i test, i parametri usati sono stati: 2,2 / 6500K / 120 cd/m2 [se non vado errato sono rispettivamente gamma, temperatura colore e luminanza, N. d. RM].

La prima osservazione da fare è che, a seconda della luce dell’ambiente, potrebbe essere del tutto impossibile seguire il consiglio di effettuare il profiling/calibrazione nelle stesse condizioni in cui verrà utilizzato il monitor. Ho impostato i due iMac su un ambiente “normale” (assenza di luce diretta, ma con un po’ di luce proveniente dal soffitto e una fonte di luce accidentale proveniente da una finestra distante 4 metri — era una giornata di pioggia, per cui la luce non era forte). Ottenere risultati omogenei e consistenti è stato semplicemente impossibile, perché il pannello frontale di vetro del monitor sembra attirare e riflettere luce proveniente da ogni dove. Ho fatto tre prove, servendomi per ognuna di esse di tutti i pacchetti di calibrazione, senza muovere i monitor né cambiare la luce ambientale e i risultati sono stati molto diversi fra loro, producendo ogni genere di sfumature. Il pacchetto ColorEyes è quello che ha dato (come sempre) i risultati migliori, visto che sembra eliminare più errori prendendo un maggior numero di campioni colore (ci mette anche più tempo), ma quando qualcosa è sballato, è sballato… Non è stata effettuata nessuna stampa, perché ovviamente non aveva senso.

Poi abbiamo portato entrambi gli iMac in un altro ufficio, senza finestre e con una lampada a luce diurna al soffitto, regolata per dare una luce smorzata. Questo ha migliorato di molto le cose. Eseguendo gli stessi test su ognuna delle macchine ha dato risultati omogenei con i pacchetti ColorVision e ColorEyes — EyeOne ha continuato a non offrire risultati consistenti, ma le differenze erano minime e non c’erano sfumature né errori ovvi.

Poi abbiamo ripetuto le prove al buio completo: qui tutti e tre i pacchetti hanno dato risultati uniformi senza errori ovvi. Abbiamo proceduto con la calibrazione e il profiling, e i risultati erano come mi aspettavo. La prossima questione riguardava la qualità della calibrazione. Se elencassi ogni cosa nei dettagli, verrebbe un resoconto chilometrico. Mi limiterò a un veloce riassunto:

Utilizzando i profili creati nell’ultima prova (al buio) per ottenere colori e stampe fedeli non è stato un problema sui entrambi gli iMac. In altre parole, per un utilizzo consumer e in molti casi anche prosumer, queste macchine vanno assolutamente bene.

Quando si mette ad analizzare le prestazioni di ognuno dei due iMac, tuttavia, saltano fuori le magagne se l’utilizzo deve essere professionale. Il 20 pollici è “fuori questione se non si utilizza un monitor esterno: i file aRGB non vengono visualizzati con tutti i colori, vi è un effetto di retinatura (dithering) nelle sfumature colore, un effetto ‘a blocchi’ nelle sfumature di grigio, e un notevole clipping delle ombre”. I risultati del 24 pollici sono migliori ma non esaltanti, “peggio dell’iMac precedente [suppongo parli della versione con schermo antiriflesso], e non c’è paragone con il Cinema Display a 23 pollici”.

Questo è solo un piccolo esempio — non esaustivo, sia chiaro — delle problematiche che certi professionisti devono affrontare con gli schermi glossy. Sarebbe interessante vedere se la tecnologia LED possa in qualche modo sopperire alle difficoltà introdotte dagli schermi lucidi per quanto riguarda la calibrazione del colore. Come si è visto dal post citato, le condizioni ottimali per la calibrazione e per ottenere colori fedeli per la stampa sono in ambienti controllati, idealmente bui. Questo può andare bene per macchine desktop, ma diventa chiaramente più complesso sui portatili, che a mio avviso dovrebbero fornire una maggiore versatilità vista la varietà di ambienti in cui ci si trova a usarli.

Sempre meno Intel nei Mac

Mele e appunti

AppleInsider | Inside the new MacBooks: FireWire, USB, and the NVIDIA Controller: Un bell’articolo che mostra come sia cambiata l’architettura interna dei nuovi MacBook rispetto ai vecchi, grazie al ruolo del sistema grafico di Nvidia, e come Apple si stia progressivamente allontanando da un modello “tutto Intel” all’interno dei Mac.

Nella prima figura è possibile vedere come il controller grafico integrato Nvidia 9400M vada a sostituire due componenti Intel, cosiddetti Northbridge e Southbridge:

I PC Intel tradizionalmente ripartiscono le funzioni del controller in due componenti, un “northbridge” [“Ponte Nord”], che si interfaccia con la CPU e gestisce la RAM di sistema ad alte prestazioni e il bus veloce PCIe, il quale in genere si occupa del video dedicato e degli slot di espansione; e un chip “southbridge” [“Ponte Sud”] che gestisce le funzioni di input/output meno gravose, fra cui audio, Ethernet, USB, il clock di sistema, la gestione energetica e altre funzioni che non richiedono il bus più veloce possibile. Questa divisione contribuisce a mantenere il northbridge alla velocità più alta possibile permettendo contemporaneamente al southbridge di girare più lentamente, gestendo quindi componenti più economiche.

Con le nuove tecnologie, e a seconda del costruttore, le definizioni di northbridge e southbridge sono leggermente cambiate. Adesso Intel chiama il northbridge “Memory Controller Hub” o MCH, e il southbridge “I/O Controller Hub” o ICH.

Nella seconda figura è visibile come nel tempo Apple abbia ricorso sempre meno a componenti Intel nelle sue macchine.

I nuovi MacBook, MacBook Air e MacBook Pro continuano a servirsi delle CPU Intel Core 2 Duo “Penryn”, ma affiancandole al chipset e scheda grafica integrata Nvidia GeForce 9400M G e alla tecnologia Wi-Fi AirPort fornita dal chip Broadcom BCM94322USA. Si prevede che Apple continui a utilizzare sempre più componenti competitive, e forse persino parti ad hoc progettate in casa, invece di marchiare come Mac delle ‘piattaforme’ Intel. Ciò renderà anche più difficile prevedere quali funzionalità avranno i prossimi Mac, anche se ovviamente questo non è il motivo principale dietro alle scelte progettuali di Apple.

Insomma, ormai l’unica componente Intel importante all’interno dei nuovi portatili Apple è il processore, nient’altro.

Dedico questo articolo a tutti coloro che, fino a non molto tempo fa, mi venivano a dire che da quando Apple è passata all’uso di processori Intel, i Mac dentro sono uguali ai PC e che le differenze sono solo esteriori (battendo sul vecchio chiodo dei “Mac che costano irragionevolmente di più”, eccetera eccetera).

Una postilla sull'estinzione della FireWire 400

Mele e appunti

Una parte del post di ieri mi è rimasta nella penna, come si suol dire. Un’osservazione che ho dimenticato di fare a proposito dell’introduzione del nuovo Cinema Display a 24 pollici con tecnologia LED è che anch’esso si può aggiungere ai segnali che indicano che la FireWire 400 ha i mesi contati. Osservando le specifiche tecniche della vecchia serie di Cinema Display possiamo vedere che sono dotati sul retro di due porte USB 2 e due porte FireWire 400. Il nuovo Cinema Display da 24 pollici sul retro ha soltanto tre porte USB 2. È assai probabile che se nei prossimi mesi Apple rinnoverà l’intera gamma di monitor, anche gli altri modelli di Cinema Display perderanno le due porte FireWire 400 a favore di tre sole porte USB 2. A meno che, ovviamente, Apple non decida di mettere delle porte FireWire (800) sul monitor di punta, ma non vedo il senso di fare questa differenziazione sui monitor, che dovrebbero poter essere compatibili con tutti i Mac.

Ancora sull'evento Apple del 14 ottobre: l'importanza di DisplayPort

Mele e appunti

Come ho già detto nei post precedenti, osservando l’evento del 14 ottobre con un po’ di distacco — senza ostinarsi su questioni come l’abbandono della porta FireWire 400 sui nuovi MacBook o sugli schermi riflettenti — è possibile notare alcuni dettagli che a mio avviso sono indicativi di come tale evento sia soltanto l’inizio di un ciclo di rinnovamento.

Uno di questi dettagli è il nuovo connettore DisplayPort, presente sui nuovi MacBook, MacBook Pro e sui rinnovati MacBook Air. No, non si tratta dell’ennesima scelta di utilizzare una porta proprietaria: DisplayPort è uno standard aperto promosso da VESA (Video Electronics Standards Association), e già supportato da altri costruttori di computer come Lenovo, HP, Samsung e Philips. È più pratico e più performante del DVI che va a sostituire. Il Mini DisplayPort che Apple ha inaugurato sui nuovi portatili è anche molto più piccolo del vecchio connettore DVI. La maggior praticità di DisplayPort è data dal fatto che non è necessario assicurare il connettore con le due viti laterali e che è meno probabile danneggiarne i pin, più robusti della controparte DVI. DisplayPort è più performante del DVI in quanto è dotato di una ampiezza di banda maggiore, e rende possibile pilotare anche un Cinema Display da 30 pollici.

Dettagli tecnici a parte, un indizio interessante è dato dal nuovo Cinema Display LED a 24 pollici. Al momento, infatti, è l’unico monitor a richiedere necessariamente una connessione DisplayPort per funzionare. Questo lo rende collegabile, per il momento, soltanto ai nuovi MacBook, MacBook Pro e ai rinnovati MacBook Air. Ora, visto che Apple non rinnovava la gamma dei Cinema Display dal 2004, mi sembra legittimo azzardare l’ipotesi che nei prossimi mesi vedremo altri Cinema Display ad affiancare quello appena presentato, e che anche il resto dei Mac verrà probabilmente ‘rinfrescato’ per avvantaggiarsi della tecnologia DisplayPort e quindi poter utilizzare i nuovi monitor. Fin qui sono previsioni facili: chissà se Apple butterà dentro qualche sorpresa nelle prossime tappe del percorso (Macworld gennaio 2009, qualche evento di primavera, WWDC 2009). Sto puntando lo sguardo al Mac mini, per esempio: è il modello che più di tutti, secondo me, ha bisogno di una rinfrescatina e non gli farebbe male un processore più veloce e una scheda grafica Nvidia 9400M, per dire. Se l’hanno messa nel MacBook Air… Sono convinto che ci saranno sorprese sul fronte dei desktop, e vista l’imprevedibilità che tutto sommato caratterizza Apple (la scomparsa della porta FireWire è stata davvero inaspettata), non è detto che fra queste sorprese ci sia persino la scelta di sopprimere del tutto il Mac mini. Ma qui si entra nella speculazione più astratta.

(Le informazioni su DisplayPort sono state ricavate da questo articolo di Macworld USA, di cui consiglio la lettura).

Altre considerazioni a seguito della presentazione dei nuovi portatili Apple

Mele e appunti

Finalmente ho visto con QuickTime l’evento del 14 ottobre, ed è stato davvero interessante. Poi continuo a seguire le inevitabili discussioni su Macworld USA, Macworld UK, forum e mailing list; e intanto una serie di considerazioni sono andate sedimentandosi. Una parte di tali considerazioni è condivisa con John Gruber di Daring Fireball, e in particolare segnalo il suo più recente intervento, un articolo intitolato Listen to Tim Cook, ossia “Date retta a Tim Cook”. Come Gruber, anch’io considero molto importante il resoconto sullo ‘stato del Mac’ che il COO di Apple ha tracciato l’altroieri alla presentazione dei nuovi portatili. Gruber:

[L’intervento di Tim Cook] rappresenta Apple che parla direttamente ai propri investitori e alla stampa del settore business. Apple vuole che comprendano il business del Mac. Cook ha delineato sei punti principali, le ragioni, secondo Apple, che stanno dietro al continuo aumento delle vendite di computer Macintosh negli ultimi quattro anni:

  1. Computer migliori
  2. Software migliore
  3. Compatibilità
  4. Windows Vista
  5. Marketing
  6. La catena di negozi Apple

Cook ha detto: “Vi chiederete perché Windows Vista si trova in quell’elenco. Non mi sembra azzardato affermare che Vista non ha mantenuto tutte le aspettative di Microsoft sotto molti aspetti, e di conseguenza ha fatto in modo che molte persone iniziassero a considerare il passaggio a Mac”.

Un elemento che non appare nella lista è il prezzo. Questo non significa che il prezzo sia un fattore irrilevante per il Mac, o che Apple sia in qualche modo immune alle vicende dell’economia, ma semplicemente che il prezzo non è, e non è mai stato, uno dei fattori primari del successo del Mac. L’elenco stilato da Cook non è una stronzata di marketing, ma una descrizione sintetica e accurata del business di Apple per quanto riguarda i computer.

Gli altri produttori di computer lottano ferocemente fra loro puntando tutto sul prezzo perché è l’unico fattore sul quale possano differenziarsi. Pochi di loro si impegnano a creare computer migliori: la maggior parte di essi si limita ad avvolgere le schede madri con i processori Intel in involucri di scarsa qualità e tutt’altro che accattivanti (due fra le eccezioni più eminenti: Sony e Lenovo). Nessuno di essi è in grado di offrire software migliore, perché tutti vengono venduti con la stessa versione di Windows. Tutti sembrano per qualche motivo incapaci di produrre delle campagne pubblicitarie e del marketing ai livelli di Apple. E, fra quelli di loro che ci hanno provato, nessuno è stato in grado di indovinare la formula vincente per una catena di negozi dedicata. Il prezzo è tutto quel che rimane loro.

Poi Cook ha mostrato due grafici a torta. Il primo indicava al 18% circa la quota delle unità vendute di Mac nel mercato retail degli Stati Uniti, in crescita “rispetto a un valore a una sola cifra di qualche anno fa”. E di seguito Cook ha tirato la bomba, il punto centrale e fondamentale per comprendere il business di Apple per quanto concerne il Macintosh: “E quel che è ancor più impressionante è la revenue share. Dato che ci concentriamo su sistemi completi di ogni funzionalità, e non scendiamo a compromessi in fatto di qualità, la nostra revenue share, quota di profitto, è di oltre il 31%. Ciò significa che nel mercato retail statunitense un dollaro su tre viene speso per acquistare un Macintosh. Che differenza possono fare alcuni anni”.

31% del denaro sul 18% delle vendite per unità. Sono cifre incredibili, e non sarebbero ancor più incredibili vendendo MacBook da 800 dollari. L’evento di ieri, tutta la presentazione, potrebbe essere riassunto in queste parole di Cook: “Non scendiamo a compromessi in fatto di qualità”. 

Alcuni hanno sottovalutato il video con cui Jobs ha sostanzialmente chiuso l’evento, prima di passare a una sessione di domanda & risposta che non è stata documentata online. Un video che mostra come i nuovi MacBook e MacBook Pro vengono costruiti, con Jonathan Ive e altri che spiegano la ricerca e le sfide di design affrontate per arrivare alla manifattura del case, un unico pezzo di alluminio piallato, perforato, sabbiato, fino a ottenere un prodotto leggero ma robusto, riciclabile e che fa risparmiare il 50–60% di parti in fase di assemblaggio. Alcuni hanno definito quel video nient’altro che un riempitivo per allungare un evento altrimenti corto e poco interessante (nota: il video è durato meno di 10 minuti, dopo una presentazione durata più di tre quarti d’ora); altri lo hanno chiamato ‘autocelebrativo’ (e perché no? Anche questa è innovazione, e mi sembra giusto andarne fieri).

Io ho l’impressione che le ‘brutte sorprese’ — la sparizione della porta FireWire 400, la mancata presentazione di un portatile a basso costo e/o di ridotte dimensioni, eccetera — abbiano distolto l’attenzione di molte persone da dettagli indubbiamente positivi. Primo su tutti: la qualità costruttiva dei prodotti. Sotto il profilo costruttivo, i MacBook e MacBook Pro sono i migliori portatili mai realizzati da Apple. Ho maneggiato un MacBook Air: la solidità di quella macchina è incredibile se si pensa alla sottigliezza. Non è difficile immaginare, pur senza toccarli, come debbano essere solidi e robusti al tatto i nuovi portatili. Questo tipo di lavorazione ha i suoi costi. Stesso discorso per il trackpad nuovo. È evidente che Apple non sfornerà mai un prodotto a basso costo. Qualche giorno fa citavo Daniel Eran Dilger, di RoughlyDrafted magazine: L’andamento del mercato dell’elettronica di consumo di questi ultimi trent’anni ci dice che il prezzo è il fattore che influenza le decisioni di acquisto in maggior misura: che si tratti di basso costo puro e semplice, o che si traduca in un valore percepito come elevato rispetto al denaro speso. Con i nuovi MacBook e MacBook Pro ci troviamo di fronte al secondo caso, che è sempre stata la linea distintiva di Apple: prodotti che hanno un certo prezzo, ma anche una qualità che fa percepire quel prezzo come adeguato. Jobs non ha mai usato la parola cheaper (più a buon mercato, meno caro), ma more affordable — più abbordabile. Dopo aver mostrato che i nuovi MacBook condividono molte caratteristiche con i Pro (materiali usati, trackpad, scheda grafica, schermo LED), Jobs ha sottolineato come tutti questi bonus, “che fino a oggi vi sarebbero costati 1.999 dollari, ve li proponiamo a 1.299. Stessa qualità, ma a 700 dollari meno” (cito a memoria).

Posso capire che l’assenza di una porta FW400 abbia lasciato certi utenti con l’amaro in bocca, ma è da miopi sottovalutare tutto quel che c’è di nuovo nei MacBook e accusare Apple di aver fatto una mossa avventata. Storicamente, Apple non ha mai buttato a mare una porta e relativa tecnologia a cuor leggero, solo perché un dirigente si è alzato col piede sinistro e ha detto: la SCSI non mi piace più, la ADB non mi piace più, la seriale non mi piace più — e oggi la FireWire 400 non mi piace più.

Quel che più probabilmente è successo è stata una valutazione delle esigenze dell’utente consumer, quello che al massimo, in fatto di periferiche, ha un disco rigido esterno, una stampante, magari uno scanner, e la fotocamera. Di utenti così ce n’è a bizzeffe. Utenti che se togli loro la FW400 manco se ne accorgono. Un livellamento verso il basso, certo, un livellamento dettato anche da considerazioni fisiche molto simili a quanto accadde con gli iPod quando fu eliminata la FireWire a favore della USB. Il MacBook nuovo, come gli iPod dalla quarta generazione in avanti, è più sottile e non ha più spazio per il controller FireWire.

Quindi: considerazioni e compromessi nella struttura interna dei nuovi MacBook + considerazioni sul target a cui i MacBook si rivolgono = eliminazione della FireWire 400. La conseguenza: da una parte abbiamo una minoranza di utenti, con il loro disco rigido LaCie FireWire o la loro videocamera FireWire, scontenta e lasciata a rimirare il proprio bicchiere mezzo vuoto. Dall’altro lato, una maggioranza di utenti che si ritrova un signor MacBook nuovo. Senza una FireWire che forse non hanno neanche mai usato, d’accordo, ma con una scheda grafica migliore, uno schermo migliore, una trackpad nuova, un accesso migliorato al disco rigido interno, un computer più robusto, più sottile e fatto meglio rispetto alla plastica cigolante di prima.

Con il pre-pensionamento della FireWire 400, siamo di fronte a un’altra piccola grande transizione, e come accadde con altre transizioni — l’abbandono delle porte SCSI, ADB e Seriale, l’abbandono del floppy, il passaggio da Mac OS 9 a Mac OS X, il passaggio da PowerPC a Intel — alcuni pensano che Apple stia facendo un grosso sbaglio. Guardando alle transizioni appena citate con il senno di poi, possiamo vedere che le mosse di Apple si sono rivelate vincenti e meno insensate di quanto apparissero a tutta prima. A Jobs interessa vendere il MacBook. Quando ha iniziato a parlarne alla presentazione, era evidente l’orgoglio per il prodotto: il Mac più venduto in assoluto, il Mac di tanti switcher, un successo sotto ogni punto di vista. Se è stata decisa l’eliminazione della FireWire su un prodotto del genere, è probabile che le conseguenze e l’impatto di tale scelta siano stati ponderati e tenuti in considerazione. A ogni modo, se io mi trovassi ad avere molte periferiche FireWire e considerassi il passaggio a un MacBook nuovo (che è esattamente quel che sto facendo), mi procurerei di organizzarmi e considerare alternative: non è irragionevole pensare che, sulla scia di questa decisione di Apple, molti produttori di periferiche con interfaccia FW400 abbandonino progressivamente tale interfaccia per concentrarsi su USB 2 e FireWire 800, oltre a Ethernet, eSata, eccetera.