Parlare di Flash per iPhone non porterà Flash su iPhone

Mele e appunti

Pare che Adobe stia “lavorando” a un Flash player per iPhone. Esistono molte validissime ragioni per spiegare come le probabilità che Apple implementi Flash su iPhone siano sostanzialmente nulle, ma visto che la sintesi non è il mio forte, passo volentieri la parola a John Gruber:

Pensateci un momento: se esistesse un Flash player per iPhone, si potrebbero scrivere giochi e altro software in Flash invece che in Cocoa Touch. E si potrebbero vendere giochi e applicazioni destinate direttamente al Flash player, aggirando del tutto l’App Store. Vi pare che Apple possa permettere una cosa simile?

Senza contare, come nota Gruber, che un Flash player per iPhone violerebbe apertamente i termini dell’iPhone SDK. Gruber cita espressamente la sezione 3.3.2 (traduzione mia):

Nessun tipo di codice interpretato dovrà essere scaricato e utilizzato in una Applicazione, a eccezione di codice interpretato ed eseguito dalle API Pubblicate e dagli interpreti incorporati di Apple.

Ma il nocciolo della questione è presto spiegato. Sempre Gruber:

L’ho già detto prima e lo ripeto: Apple pubblicherà un Flash player per iPhone quando comparirà un altro smartphone che (a) supporti Flash e (b) inizi a insidiare iPhone sul piano delle vendite. Che, a mio avviso, vuol dire mai. Apple non è motivata a permetterlo.

iPhone: note mobili (3)

Mele e appunti

Con questa terza puntata lascio da parte per un attimo i miti su iPhone; farò un esempio di esperienza on the road dal sapore senza dubbio positivo, e parlerò di uno dei dettagli a mio avviso perfettibili.

Come togliere elegantemente le castagne dal fuoco

Situazione: ho un appuntamento abbastanza importante in una zona di Valencia di cui non sono praticissimo. Andarci in auto è logisticamente scomodo perché, oltre a rischiare di sbagliare strada, rischierei di arrivare in ritardo per aver perso un’ora in cerca di un parcheggio. Dò un’occhiatina alla mappa della città e decido di usare i mezzi. Le alternative sono due: o prendere due autobus e camminare cinque minuti, o prendere la linea metropolitana di superficie e camminare quindici minuti. La prima soluzione sembra la migliore, ma può rivelarsi la più lunga per i tempi di attesa dei due autobus; in più non ho mai preso il secondo autobus e preferisco non rischiare di scendere alla fermata sbagliata e perdere altro tempo. Scelgo dunque la metropolitana, vedo a che fermata devo scendere, e quando arriva ci salgo tranquillamente. Essendo un po’ tirato con i tempi, però, non mi accorgo di aver preso la Linea 6 (di recente inaugurazione), invece della 4. A memoria, so che per un buon tratto le due linee percorrono la stessa strada e hanno fermate in comune. Al principio penso di chiedere informazioni a qualcuno intorno a me, ma osservando i miei vicini sarà dura cavarne qualcosa (in senso orario: un anziano che borbotta discorsi per conto suo, due ragazzette che si parlano mentre entrambe ascoltano musica, tre ragazzi con macchine fotografiche che parlano una qualche lingua dell’est, ceco o polacco o russo non saprei dire). Il tempo stringe.

Prendo iPhone, apro MobileSafari e cerco in Google Immagini uno schema della rete metropolitana di Valencia. Il quinto risultato è un’ottima immagine ad alta risoluzione che fa al caso mio. La ingrandisco con due dita e individuo la mia attuale fermata. Vedo che fra due fermate la Linea 6 e la Linea 4 iniziano ad andare in due direzioni diverse. Perfetto, adesso so dove scendere e cambiare. Fortunatamente il treno della Linea 4 non si fa attendere. Cambiata linea, e sceso alla fermata giusta, mi ritrovo in una zona vicino a un parco, e il percorso che avevo pianificato sulla mappa a casa va a farsi benedire, perché scopro ben presto che la fermata della metro si trova molto più lontano dall’incrocio che pensavo di trovare una volta sceso dal treno. Non mi perdo d’animo. Prendo iPhone, entro in Google Maps e con il GPS mi faccio localizzare. Una volta che il pallino blu compare e pulsa, comincio a spostarmi, attraverso la strada e prendo la prima via laterale che capita a tiro. Osservando il pallino blu vedo che sto muovendomi nella giusta direzione. Metto in stop iPhone e cammino per cinque minuti, poi ricontrollo: vado benone. Arrivo infine all’appuntamento, con dieci minuti di anticipo.

Per carità, nulla di trascendentale. Non è certo un esempio per dimostrare l’indispensabilità di iPhone. Avrei potuto risolvere l’inghippo all’antica, chiedendo informazioni e direzioni. Ma ero di fretta, e iPhone è stato indubbiamente comodo per far fronte al problema per mio conto e con celerità. Avere accesso a Internet ovunque vi sia segnale cellulare è una bellezza. Avere il GPS, pur con le limitazioni di implementazione su iPhone, è ottimo per vedere — come nel mio caso — se ci si sta muovendo nella direzione corretta. E ci si fa notare molto meno che non avendo una mappa cartacea spalancata davanti alla faccia, che fa tanto turista sperduto e, soprattutto, è scomoda da consultare mentre si cammina (e si ha fretta).

Ed è questo il punto di iPhone: rendere la vita più comoda, essere d’aiuto nei momenti giusti.

iPhone e il gioco di anticipo

Ecco, se iPhone deve rendermi la vita più comoda, deve farlo fino in fondo. Finora non ho trovato nulla di particolarmente negativo in iPhone che valga la pena segnalare. D’altronde ho sempre detto che in buona sostanza gran parte dei pregi e dei difetti sono legati alle abitudini e alle aspettative del singolo utente, e quel che per me può andare bene o non essere una mancanza particolarmente seria, per un altro può essere tutto il contrario. Ma un dettaglio sottilmente irritante c’è: il dizionario predittivo.

Il meccanismo di base è una bella idea, implementata in modo abbastanza efficace. Mentre si scrive, possibilmente a una certa velocità, può succedere che si pigi il tasto sbagliato, che si scriva quedto invece di questo — la S e la D sono vicine. Allora, durante la digitazione, iPhone suggerisce quella che può essere la parola corretta, e la visualizza in una piccola etichetta pop-up sopra la parola che si sta digitando. Se la parola suggerita dal dizionario predittivo è corretta, questa va a sostituire la parola digitata quando si preme la barra spaziatrice. Se invece la parola che il dizionario di iPhone suggerisce non è quella che intendiamo scrivere, basta premere la (x) accanto alla parola suggerita e questa svanirà. È un sistema efficiente: molto spesso iPhone fa ottime predizioni, quindi riusciamo a scrivere senza perdere velocità perché mentre scriviamo le parole sbagliate vengono sostituite automaticamente e non dobbiamo tornare indietro a correggere.

Il sistema diventa molto meno efficiente quando iPhone sbaglia ripetutamente a suggerire la parola giusta, e in casi molto semplici propone la scelta meno ovvia fra due termini. Uno non se ne accorge, perché è preso nella scrittura e focalizza l’attenzione sui tasti virtuali da pigiare, e pur scrivendo le parole giuste non si accorge dei suggerimenti ‘scorretti’ di iPhone, preme la barra spaziatrice e iPhone sostituisce il suo suggerimento sbagliato alla parola scritta correttamente. Finita la frase, alziamo lo sguardo e — oops — tre parole da correggere. E si perde più tempo.

Da quel che mi è dato vedere, è un problema del dizionario predittivo italiano. Io ho attive tre tastiere (e relativi dizionari): Inglese (UK e US), Spagnolo, Italiano. Scrivendo in inglese e in spagnolo, gli interventi correttivi di iPhone sono mostruosamente precisi e iPhone sa già quel che voglio scrivere quando sono a metà di una parola. In italiano incespica in situazioni ‘facili’. Ecco un esempio. Apro Mail e inizio a scrivere un messaggio:

iPhone auto-correct 1.jpg

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Perché mi suggerisce lavorò quando delle due parole la più usata è sicuramente lavoro? Cancello il suggerimento e proseguo:

iPhone auto-correct 2.jpg

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Ancora peggio. In italiano il che è più spesso pronome relativo e congiunzione, ed è sempre più raramente usato con accento nella funzione di aferesi di perché. In genere lo si scrive senza accento, anche quando introduce proposizioni interrogative, causali o finali. Inoltre che è una parola frequentissima: se devo fare attenzione e cancellare a mano il suggerimento di iPhone ogni volta che scrivo che, addio velocità. iPhone dovrebbe imparare col tempo. Speriamo.

E per finire:

iPhone auto-correct 3.jpg

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Che dite, sarà più frequente presto o prestò?

Ho l’impressione che non vi sia stata una vera consulenza con dei madrelingua dietro la programmazione del sistema di auto-correzione per l’italiano. Il divario nella precisione che il sistema ha con lingue come l’inglese e lo spagnolo è notevole (inglese e spagnolo sono le due lingue più parlate negli USA — hmmm…). A volte vorrei quasi che l’interfaccia utente del dizionario predittivo funzionasse al contrario, ossia: per accettare il suggerimento di iPhone faccio tap sulla parola suggerita, mentre per confermare quel che sto scrivendo batto semplicemente la barra spazio e proseguo. Ma così non sarei veloce nei casi in cui io avessi torto e iPhone mi suggerisse la parola scritta correttamente. È un equilibrio difficile, e riflettere su queste problematiche di interfaccia e sulle scelte che si sono trovati davanti gli ingegneri Apple, mi fa capire quanto sia stata lunga la strada per realizzare iPhone. Tuttavia due opzioni le metterei: 1) la possibilità di disattivare il dizionario predittivo, 2) la possibilità di aggiungere manualmente parole al dizionario (sul Newton si fa doppio tap sulla parola e compare un menu su cui confermare lo spelling), così che iPhone non continui pedissequamente a proporre, per esempio, ché quando voglio scrivere sempre che.

Non potendo disattivarlo, come fare per aggirare l’ostacolo? Un espediente sembra essere quello di attivare più tastiere internazionali (Home > Impostazioni > Generali > Tastiera > Tastiere internazionali) e non usare quella italiana quando si scrive in italiano. Se si usa quella inglese, per esempio, il correttore automatico pensa in inglese, e non incontrando quasi mai parole per lui riconoscibili — perché stiamo scrivendo in italiano — è molto meno noioso (anche se quando scrivo che mi suggerisce cue, mannaggia), e anzi impara tutte quelle parole. Un altro sistema che ha una sua efficacia è stato suggerito nei commenti a questo post di Mac OS X Hints. In pratica si tratta di battere una lettera qualsiasi a inizio frase, spostare il cursore davanti a quella lettera, e scrivere normalmente. Avendo quella lettera sempre in coda, iPhone non riconoscerà le parole che scriviamo e non suggerirà niente. Esempio, prima di scrivere la frase batto la lettera F:

Scrivere con una lettera qualsiasi attaccata al cursore|f

iPhone dovrebbe imparare col tempo, comunque, e spero lo faccia. In generale la scrittura con iPhone è buona e, come dicevo in altro post, acquisto velocità in modo progressivo (forse anche perché sapendo i termini che iPhone ‘preferisce’ suggerire, sono io a giocare d’anticipo e a rifiutare la correzione), però ritengo che il dizionario predittivo necessiti di qualche aggiustatina per le lingue che non sono l’inglese, e almeno dell’aggiunta di qualche opzione che lo renda ancor più flessibile.

Cercalo su Google... nel 2001

Mele e appunti

Google, per celebrare il suo decimo compleanno, ha messo online il suo archivio di ricerche del 2001, per dare un’idea di quanto le cose siano cambiate in questi ultimi sette anni. A questo indirizzo si potrà trovare la vecchia interfaccia di Google ed effettuare ricerche normalmente. I risultati, però, saranno tratti dall’archivio del 2001. Pertanto, come riportato nelle FAQ, se nel 2001 cercavate “Michael Phelps”, probabilmente volevate avere notizie sullo scienziato, non sull’atleta olimpico; “ipod” non si riferiva a un lettore musicale e “youtube” praticamente non significava granché.

Sempre dalle FAQ:

Quando si fa clic sul risultato di una pagina Web, si viene portati alla versione odierna di quel sito. Quando si fa clic sul link “View old version on the Internet Archive”, si viene portati alla copia più antica del 2001 di quella pagina Web sullo Internet Archive, così è possibile vedere come appariva all’epoca.

Questo “servizio” sarà disponibile per un mese. Enjoy.

iPhone: note mobili (2)

Mele e appunti

Con questo post proseguo la disamina delle dicerie più diffuse su iPhone inaugurata nel post precedente.

iPhone è caro. Sei legato a un contratto per due anni. Non si sa mai quanto siano le spese reali.” (e simili)

Qui non è possibile rispondere semplicemente “No, non è vero”; oltre ai punti di vista entrano in gioco fattori quali il paese in cui ci si trova, come viene offerto iPhone e da quali compagnie telefoniche, i profili contrattuali e così via. Però anche affermare recisamente che ‘iPhone è costoso’ è lo stesso tipo di dichiarazione assoluta che piagava i computer Macintosh negli anni Ottanta e Novanta. Costoso rispetto a che cosa? Un oggetto può essere più costoso di un altro oggetto della stessa specie e che svolge eguali o analoghe funzioni. Un oggetto può essere costoso rispetto a quel che offre. Vi sono oggetti di puro lusso, come certi orologi da polso, che costano una fortuna. Eppure segnano l’ora (e magari anche la data) come qualsiasi Swatch di plastica da 70 Euro.

Tornando a iPhone, la questione del costo è un terreno nebuloso fin dal principio. Vado a memoria, ma credo che iPhone sia l’unico dispositivo Apple a non avere un prezzo fisso. Quando iPhone 3G fu annunciato lo scorso giugno, Jobs parlò di 199 dollari per il modello da 8 GB e 299 dollari per quello da 16 GB. Ma quelli erano prezzi indicativi, che presupponevano la sottoscrizione di un contratto biennale con un provider di telefonia mobile. Il costo finale per il singolo utente dipende dall’offerta del provider che, come si è visto nei vari paesi, si è tradotta in piani contrattuali dai risultati più vari, e in certi casi (come l’Italia) nella possibilità alternativa di acquistare un iPhone svincolato da contratti ma a un prezzo decisamente superiore.

Sempre rimanendo in Italia, il mito dell’iPhone costoso, da quanto ho potuto evincere da discussioni su forum e mailing list, è nato da un’interpretazione scorretta (e un tantino ingenua) dell’annuncio di Jobs al keynote di giugno. Jobs disse che iPhone 3G da 8 GB sarebbe costato al massimo 199 dollari e il modello da 16 GB al massimo 299 dollari. Dato che parlava a un pubblico di americani e chiaramente si riferiva alla realtà americana, non si è messo a fare distinzioni tra iPhone 3G con contratto AT&T e iPhone 3G con prepagata perché negli USA la realtà è sempre stata quella del contratto. Quindi, negli Stati Uniti, con almeno 199 dollari si compra un iPhone e poi è necessario sottoscrivere un contratto AT&T. Il fessacchiotto italiano medio, guardando il keynote, pensava che Jobs gli stesse parlando di persona: ha quindi tradotto quei prezzi in Euro, e quando iPhone 3G è arrivato in Italia con i prezzi di TIM e Vodafone gli è venuto il coccolone.

Eppure iPhone non è lo smartphone più costoso da mantenere; altri smartphone dalle simili funzionalità (esercizio per il lettore poco convinto è quello di armarsi di Google e fare ricerche) vengono offerti a prezzi analoghi se non più elevati, sia in versione libera, sia con contratto. Anche l’idiosincrasia al contratto pare essere squisitamente italiana. La leggenda metropolitana vuole che la SIM prepagata sia sempre e comunque la scelta più a buon mercato e più vantaggiosa. Può esserlo per chi utilizza molto raramente un cellulare, e comunque solo per effettuare chiamate e inviare qualche SMS, senza mai produrre traffico dati. Nel momento in cui ci si trova a muovere dati (per esempio usando il cellulare come modem quando si ha bisogno di Internet e si è lontani da reti telefoniche fisse o Wi-Fi), le compagnie telefoniche cominciano a sorridere, e il credito sulla SIM a scendere vertiginosamente. L’estate scorsa mi sono ritrovato a dovermi collegare alla rete per lavoro, e trovandomi a passare l’agosto dai miei genitori che abitano in campagna, l’unica opzione era quella, e pur limitandomi a scaricare e inviare la posta una-due volte al giorno e a fare qualche breve sessione navigando nel Web, nel giro di un mese ho dovuto fare almeno quattro ricariche da 30 Euro per tirare avanti. Certo, ci sono delle soluzioni per risparmiare in queste circostanze. Ma io sono ancora più drastico e abolirei la SIM del tutto.

In paesi dove la tradizione del contratto è più radicata, le offerte sono in genere flessibili per venire incontro a tutte le tasche, e con un po’ di buona volontà si riesce a individuare il piano tariffario più compatibile alle proprie abitudini. Con iPhone, poi, molte compagnie telefoniche hanno creato piani speciali considerando e implicitamente riconoscendo l’impatto che questo ha avuto e ha nel panorama della telefonia mobile. La mia esperienza qui in Spagna è stata positiva e ho potuto scegliere un piano adeguato: con 20 Euro/mese di consumo obbligatorio per il traffico voce, più 15 Euro/mese di canone per il traffico dati (il limite è 200 MB, e superandolo viene automaticamente ridotta la velocità di trasferimento dati in download e upload — un compromesso per me accettabilissimo), ho potuto acquistare un iPhone 3G da 16 GB per 189 Euro. Al mese spendo quindi un minimo di 35 Euro + IVA, che è sostanzialmente quanto spendevo prima con un telefonaccio la cui unica opzione ‘internet’ era una casella di posta.

Per quanto riguarda il non sapere mai a quanto ammontino le spese reali… Sono andato sul sito Web di Movistar, ho creato un account, e da lì mi è stato possibile consultare una schermata con il consumo aggiornato in tempo reale, con ogni voce esplicitata in dettaglio. Numeri chiamati, SMS inviati, durata dell’operazione, quantità di dati scambiati, costo. Difficile avere ‘sorprese’ in bolletta a fine mese.

Infine c’è chi parla di iPhone costoso in termini di funzionalità offerte, ovvero: “Per quel che (non) fa, è caro”. E giù a elencare quel che iPhone non ha e non fa, ma il Nokia tale e il Blackberry talaltro fanno tanto bene. Non c’è dubbio che il Nokia tale abbia una radio che iPhone non ha, e non c’è dubbio che il Blackberry talaltro abbia un Bluetooth ‘completo’; ma la navigazione Web, seppur possibile, non è un’esperienza piacevole, leggibile, usabile come su iPhone. E non voglio nemmeno iniziare a parlare di interfaccia utente. Ma è un vecchio discorso: quel che può fare iPhone, a livello di mero elenco di funzioni, è documentato e ampiamente reperibile sul Web, e chi compra iPhone senza fare prima i compiti e poi si lamenta è uno sciocco. Chi acquista iPhone con consapevolezza e apertura mentale, presto si rende conto che iPhone è ingiudicabile con una lista in mano, perché è l’esperienza d’uso nella sua globalità a essere il fattore vincente, quello che fa lievitare la customer satisfaction a percentuali che altre aziende si sognano, e quello che ripaga molto presto sia il costo d’ingresso che i costi di mantenimento.

iPhone: note mobili (1)

Mele e appunti

Dopo le quasi trenta puntate del “Diario di bordo” che ho tenuto per Mac OS X Leopard, ho preferito intitolare “note mobili” la serie di appunti che andrò pubblicando sulla mia esperienza con iPhone. Oggi inizio col disinnescare alcune dicerie che sono andate formandosi negli ultimi mesi. Tengo a puntualizzare che i miei appunti non hanno, ovviamente, la pretesa di essere verità rivelate; si basano sull’esperienza personale, sul mio modo di maneggiare iPhone, e questo non può valere per tutti. Detto ciò, provo ugualmente a ribattere a certi miti, perché spesso ho l’impressione che siano stati messi in circolazione da gente che a mio avviso soffre un po’ di ‘egocentrismo tecnologico’, quella sindrome per cui l’esperienza o, peggio, opinione del singolo (in genere negativa) deve a tutti i costi valere per tutti.

La tastiera virtuale di iPhone è difficile/impossibile da usare. Meglio uno smartphone con una tastiera fisica.”

Non è difficile né impossibile. Chiaro, se uno non ha mai interagito con un’interfaccia touch-screen in vita sua, può essere necessario un certo allenamento. In generale, alla tastiera di iPhone ci si abitua relativamente presto. Chi ha dita sottili e unghie corte è senza dubbio in vantaggio, ma ho provato a simulare l’esperienza di una persona con dita grosse e tozze, usando solo il pollice e appoggiando il polpastrello interamente sul tasto, di piatto e non di taglio. È sufficiente premere al centro delle lettere, e il feedback è notevolmente acuto. Ho fatto qualche svarione digitando, ma più per il fatto che stessi impiegando il pollice in maniera incongrua, forzandomi a imitare abitudini non mie, che non per delle carenze di interfaccia da parte di iPhone.

Nei negozi di telefonia mobile che visitavo mentre si aspettavano notizie sull’arrivo di iPhone in Spagna, ho avuto modo di provare qualche smartphone con tastiera fisica QWERTY (un BlackBerry piuttosto compatto e un Treo, ma non chiedetemi di ricordare i modelli — è incredibile il feticismo delle aziende non-Apple per sigle e numeri nel differenziare i vari modelli di un loro prodotto). Con queste tastiere fisiche avevo delle difficoltà. Eppure ho le dita sottili. I problemi di queste tastiere, secondo me, sono molteplici.

  • I tasti sono di piccole dimensioni, e necessariamente ravvicinati, con pochissimo spazio fra di essi. Pensiamo un istante alle tastiere che utilizziamo quotidianamente e che riteniamo comode. Che cosa le rende comode? Semplificando, due fattori principali: la dimensione dei tasti, o lo spazio che li separa. La tastiera dei PowerBook e dei MacBook Pro non ha spazio fra i tasti, ma i tasti sono abbastanza grandi (e ben sagomati), e quindi comodi da pigiare. Se al contrario una tastiera ha tasti di piccole dimensioni, per renderne comoda la pressione è necessario aumentare lo spazio fra di essi. Esempio: molte calcolatrici. Tasti piccoli e in certi casi gommosi, ma adeguatamente spaziati per poter essere centrati con più facilità. Un terzo fattore che rende una tastiera comoda è di certo il feedback dei tasti, e questo dipende dalla meccanica che sta dietro, ma è un fattore che considero più pertinente in un confronto fra tastiere di computer, non di smartphone.
  • Nella già ridotta superficie di un tasto, la presenza di più segni (lettere e simboli, lettere e numeri) rende poco leggibili i tasti stessi.
  • Essendo fisiche, sono tastiere immutabili e quindi meno flessibili per il supporto multilingua.
  • In alcuni casi, la risposta alla pressione non è perfettamente uniforme su tutta la tastiera, e con l’uso è un inconveniente destinato a farsi sempre più evidente.
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    iPhone non ha di questi problemi. La tastiera virtuale di iPhone è composta da tasti sufficientemente grandi e sufficientemente spaziati (specie usando iPhone in orizzontale). I tasti modificatori cambiano la tastiera dinamicamente e a seconda del contesto vengono creati appositi tasti che facilitano l’inserimento. Scrivendo un indirizzo Web, viene dato risalto ai simboli “.”, “/”, e compare il tasto “.com”; scrivendo un’email, in risalto troveremo “.” e “@”. Finezze, ma di indubbia comodità. Potendo cambiare in maniera dinamica, la tastiera di iPhone è in grado di supportare qualsiasi lingua, occidentale e orientale che sia. E, ovviamente, la risposta alla pressione è identica su tutta la superficie.

    In dieci giorni di utilizzo, la mia velocità nel digitare, e la precisione nella risposta di iPhone, sono aumentati costantemente, e non ho avuto bisogno di memorizzare la posizione dei tasti o certe combinazioni da tastiera per essere più efficiente. La scorciatoia che offre iPhone — quella di premere due volte la barra spaziatrice per inserire un punto a fine frase e lo spazio immediatamente successivo — l’ho trovata preziosa.

    La durata della batteria è risibile. E la batteria non è rimovibile, e ciò è male.”

    Ecco un bel ‘due-in-uno’. Comincio con la durata della batteria. Il 19 settembre, primo giorno con iPhone, il dispositivo è stato collegato al Mac e a iTunes fino a carica completa. Non ho effettuato rilevamenti con cronometro alla mano, ma direi che dal momento in cui ho tolto iPhone dalla scatola e l’ho collegato al Mac (batteria al 5%) al momento in cui la batteria era totalmente carica (100% — l’icona del fulmine viene sostituita dall’icona a forma di spina) saranno passate due ore o poco più. iPhone dunque si carica abbastanza in fretta. Fra il 19 settembre sera e il 20 settembre sera ho passato molte ore esplorando iPhone, tenendo quindi acceso il 3G e stando sempre collegato a una rete Wi-Fi. iPhone è stato poco in stop, ho ascoltato musica mentre navigavo in rete o scaricavo la posta, ho inviato messaggi, ho fatto un paio di chiamate. Un utilizzo piuttosto intenso nel complesso. La batteria ha tenuto la carica per tutte le 24 ore; nella notte fra il 20 e il 21 settembre non ho messo in carica iPhone; l’ho lasciato in stop. Il primo avviso (“Batteria al 20%”) è arrivato nel pomeriggio inoltrato del 21 settembre, all’incirca 48 ore dopo la prima carica completa, dopo una mattinata di utilizzo normale di iPhone (sporadici collegamenti alla rete, uso di Google Maps, prova di applicazioni varie scaricate dall’App Store, ascolto di un podcast da 50 minuti). Da notare che l’avviso di batteria al 20% non significa che iPhone si spegnerà di lì a poco; è semplicemente un avvertimento che, per usare un’immagine automobilistica, da adesso il serbatoio è in riserva. Così come in auto, quando siamo in riserva, possiamo ancora percorrere svariati chilometri, io ho continuato a usare iPhone. Dopo altre due ore, il secondo avviso: “Batteria al 10%”.

    Insomma, saranno le migliorie del firmware 2.1 (purtroppo non posso fare un confronto con le versioni precedenti, visto che ho subito aggiornato alla versione 2.1), però devo constatare che con un uso medio/intenso la batteria di iPhone è durata più di due giorni senza dover correre a ricaricare. Usando qualche accortezza, come spegnere il 3G quando non serve, o mettere iPhone in “Uso in Aereo” quando ci si trova in punti dove la ricezione è scarsa, la batteria dura di più. In questi giorni non uso iPhone molto intensamente e lo collego al Mac almeno una volta al giorno per la sincronizzazione dei dati, ma senza lasciarlo collegato per ricaricarsi, e la batteria mi sta durando da almeno sei giorni. Sono prestazioni che ritengo soddisfacenti.

    Un altro dato che forse può essere utile sapere: anche dopo un uso intenso, iPhone non scalda in maniera percepibile. Non si riesce a dire, dopo venti minuti con iPhone in mano, se il calore è dell’iPhone o della propria mano, per intenderci.

    Sul fatto che la batteria non sia rimovibile/sostituibile dall’utente, ribadisco la posizione che avevo anche prima di possedere iPhone: secondo me è meglio così. iPhone ne guadagna in estetica e robustezza: niente sportellini di plastichetta sul retro, che fanno sembrare scadente e ‘a buon mercato’ anche il cellulare più costoso e dal design ‘prezioso’. Gli iPod da quando esistono non hanno mai avuto una batteria sostituibile dall’utente, e non mi pare sia stato un grosso problema. L’iPod che ho comprato cinque anni fa ha ancora una discreta autonomia ed è ancora usabile. Certo, iPhone è altro, non lo si adopera solo quando si vuole ascoltar musica o vedere un filmato; deve poter stare acceso tutto il giorno, è anche cellulare, è predisposto a un utilizzo più completo e variegato e questi sono tutti fattori che incidono sulla vita della batteria. Ma se iPhone non è (solo) un iPod in questo senso, gli assomiglia molto nelle abitudini e nelle pratiche di ricarica. Se durante la giornata lo si collega almeno una volta al Mac o al PC per effettuare una sincronizzazione, per mettere/togliere musica, ecc., iPhone si ricarica; anche di poco, ma si ricarica. In altre parole, la necessità di avere una batteria di ricambio da poter inserire manualmente perché la prima si è esaurita e il telefono si è spento può essere sentita da chi lavora sempre fuori sede, passa molto tempo telefonando e contemporaneamente lontano da prese di corrente. Per l’aereo e l’auto ci sono appositi caricatori, e poi in aereo non si telefona; al più si ascolta musica o si vede un filmato. Insomma, mi pare che, scavando scavando, sui milioni di utenti di iPhone, il numero di persone per le quali la batteria rimovibile è una necessità, e quindi requisito indispensabile, non è così elevato da promuovere una simile scelta di progettazione. È vero, in tutti gli altri cellulari e smartphone la batteria si può facilmente cambiare e sono fatti così ‘perché non si sa mai’. Io ho avuto per le mani almeno una decina di telefoni in questi anni: mai avuto il bisogno di una seconda batteria. Non discuto che sia una comodità; esito però a definirla una necessità.

    Chi ritiene la batteria fissa di iPhone una grave mancanza, ha molte altre alternative fra cui scegliere. A ogni modo, lo ribadisco, la batteria di iPhone ha prestazioni soddisfacenti e, con un po’ di accortezza e organizzazione, è facile avere iPhone sempre a un livello di carica adeguato.

    Ed è tutto per questa puntata.