Fotoritocco online

Mele e appunti

Qualche giorno fa, attraverso Macworld UK, sono approdato a questa notizia. In sostanza, Bruce Chizen, il CEO di Adobe, ha annunciato l’intenzione di proporre una sorta di versione light di Photoshop come applicazione Web liberamente accessibile. Chizen ha detto che Adobe ha preparato le fondamenta di un prodotto in stile Photoshop basato sul Web quando ha introdotto Adobe Remix, un’applicazione Web di video editing offerta attraverso il sito di media sharing PhotoBucket.

Ma la parte che trovo un po’ buffa è questa. Chizen aggiunge:

[Il muoversi verso servizi basati sul Web] è, per Adobe, una cosa del tutto nuova, verso la quale siamo particolarmente sensibili, perché vediamo aziende come Google realizzarla per svariate categorie, e vogliamo essere certi di precedere Google in quei settori di nostra competenza.

Ora, niente da ridire, è una posizione legittima e condivisibile. Solo che il lancio di questa nuova applicazione Web di fotoritocco è previsto entro sei mesi. Io non sono il CEO di una grande azienda e sicuramente uomini come Chizen arrivano dove arrivano anche e soprattutto perché di marketing ne sanno qualcosa. In ogni caso, non capisco che senso abbia annunciare un prodotto o un servizio con sei mesi di anticipo quando lo scopo è battere la concorrenza (anche) sul tempo.

Concorrenza che non se ne sta di certo con le mani in mano. Esiste già una certa scelta di applicazioni Web per la manipolazione di immagini, basta vedere siti come PXN8, Fauxto, Picture2Life, Picnik (il mio preferito), Preloadr, Snipshot (prima chiamato Pixoh).

Insomma, in bocca al lupo, Adobe. Arrivare prima della concorrenza la vedo dura, ma in sei mesi forse puoi fare meglio. Io intanto vado a farmi un… Picnik.

E la chiamano "Gestione dei font"

Mele e appunti

Ognuno credo abbia una propria lista dei desideri per un Mac OS X ancora migliore dell’attuale versione. C’è chi sogna una strabiliante interfaccia grafica, c’è chi vorrebbe che le possibilità offerte da Parallels Desktop fossero integrate nel sistema operativo, e così via. Ecco, io per ora gradirei una radicale revisione e semplificazione della cosiddetta gestione dei font.

Ai tempi del Mac OS classico le cose funzionavano, se non meglio, almeno più semplicemente. Esisteva una cartella Font all’interno della Cartella Sistema e tutti i font che l’utente desiderava installare dovevano essere inseriti in tale cartella. I font necessari al sistema se ne stavano all’interno della valigetta System, ed era piuttosto improbabile cancellarli, spostarli e fare grossi pasticci.
In Mac OS X ogni utente possiede almeno tre cartelle Font, ma il sistema operativo può utilizzarne fino a cinque:

  1. /Sistema/Libreria/Fonts – Contiene i font essenziali per il corretto funzionamento del sistema: vi sono i caratteri che Mac OS X usa per i menu, per le finestre di dialogo, ecc. Alcuni di questi font sono talmente vitali che la loro cancellazione può impedire al Mac di avviarsi. Per effettuare modifiche in questa cartella occorrono privilegi di amministratore.
  2. /Libreria/Fonts – In questa cartella si trovano i font comuni a tutti gli utenti di uno stesso Mac. Anche qui sono necessari privilegi di amministratore per cancellare, spostare, aggiungere font.
  3. (nome utente)/Libreria/Fonts – Qui risiedono i font accessibili al singolo utente. Quando si installa Mac OS X, questa cartella è vuota. Qui l’utente può metterci tutti i font che vuole: saranno disponibili e visibili soltanto per il suo account. Il funzionamento è molto simile alla vecchia cartella Font nella Cartella Sistema del Mac OS classico.
  4. /Cartella Sistema/Font – In questa cartella vanno inseriti i font utilizzabili dalle applicazioni che girano nell’Ambiente Classic. Sono comunque font accessibili da Mac OS X, pertanto se si intende mettere a disposizione una serie di font sia per Classic che per OS X, questa è la cartella da scegliere.
  5. /Network/Libreria/Fonts – Se si è connessi a una rete, il server potrebbe utilizzare una cartella in questa posizione per rendere i font accessibili dai vari computer a esso collegati.

Eventuali sottocartelle di font all’interno di queste 5 cartelle vengono immediatamente riconosciute da Mac OS X.

A complicare le cose c’è una cosa per me piuttosto irritante, che è potenzialmente causa di conflitti e comportamenti erratici delle applicazioni. Mac OS X permette ad applicazioni di terze parti di creare e gestire le proprie cartelle Font. A volte questi font “privati” vengono utilizzati solamente dal programma che li ha installati e appaiono esclusivamente nel menu font di tale programma; altre volte l’applicazione li utilizza per la propria interfaccia (nel testo che compaiono nei tooltip, nei nomi di pannelli, nei titoli di barre strumenti, ecc.). Perché, oltre che irritante, è un comportamento deplorevole? Lascio la parola a Sharon Zardetto Aker. La lettura di alcune parti del suo libro Real World Mac OS X Font ha infatti ispirato questo post. (La traduzione dall’originale inglese è mia).

I motivi sono diversi:

  1. La mancanza di adeguata documentazione disorienta gli utenti di fronte al cambiamento del menu font da un’applicazione all’altra, e il testo formattato copiato in un programma non viene riprodotto correttamente quando lo si incolla in un altro.
  2. Alcuni produttori, Adobe in primis, manifestano il classico approccio “datemi un dito e mi prenderò tutto il braccio” e impiegano più di una cartella Font “privata”.
  3. I font contenuti in sottocartelle all’interno di tali cartelle “private” sono anch’essi utilizzabili dall’applicazione. Ciò non è propriamente una cosa negativa, ma può confondere ancor di più gli utenti meno esperti.
  4. Non è possibile usare l’applicazione Libro Font per aggiungere o cancellare font dalla cartella Font generata da un’applicazione di terze parti.
  5. I font in queste cartelle “private” non appaiono in Libro Font nemmeno quando si sceglie l’opzione Tutti i font; non solo non è possibile vedere un’anteprima dei font, non si potrà nemmeno sapere se vi sono font doppi. Senza contare che è concettualmente discutibile avere un’opzione per mostrare “Tutti i font” che non mostra affatto tutti i font.

La cartella Font di un’applicazione è una sottocartella creata all’interno di una cartella Application Support in Mac OS X (e, se la cosa vi sembra semplice, tenete presente che possono esservi tre cartelle Application Support in posizioni diverse). Il percorso è in genere /Libreria/Application Support/(nome applicazione)/Fonts.

Il metodo di Adobe. Quando si installano prodotti Adobe, essi arrivano con un proprio set di font, che l’Installer sistema in luoghi diversi a seconda di che cosa si installa. La Creative Suite crea una cartella Font in /Libreria/Application Support/Adobe/Fonts, che contiene una sottocartella: ../Adobe/Fonts/Reqrd/Base. “Reqrd” significa required, ossia essenziale. Alcune applicazioni CS nemmeno si avviano se non trovano i font in questa cartella (o se non trovano la cartella intera). Se si installa Acrobat Professional, si avrà un’altra cartella Font di Adobe in /Libreria/Application Support/Adobe/PDFL/7.0/Fonts (se si possiede una versione più datata di Acrobat Professional, quel “7.0” potrebbe essere “6.0” o anche “5.0”).

Il metodo di Microsoft. Di primo acchito, Microsoft sembra avere un approccio più ragionevole: sistema un’unica cartella Font in /Applicazioni/Microsoft Office 2004/Office/Fonts, ed è logico ritenere che tutte le applicazioni Office possano condividere tali font. Tuttavia, i file contenuti in tale cartella non vengono utilizzati direttamente, ma solamente tenuti in riserva. Quando si lancia un’applicazione Office per la prima volta, essa copia tali font nella vostra cartella Font in (nome utente)/Libreria/Fonts. E questo vale per ogni account utente presente sul Mac.

Insomma, detto fuori dai denti, è un casino immondo. Io non ho mai avuto problemi con i font semplicemente perché mi sono rifiutato di metterci mano. Non ho mai spostato o cancellato font manualmente. Ho sempre delegato il compito a un gestore di font. Libro Font è il gestore che viene fornito da Mac OS X con l’installazione del sistema. Io preferisco l’ottimo e gratuito Linotype FontExplorer X. Ve ne sono altri in commercio, naturalmente, e consiglio di provarne più d’uno per trovare quello che più si avvicina alle proprie esigenze e gusti. Ma una raccomandazione, già che ci siamo: mai, mai, usarne più d’uno contemporaneamente. Ogni font manager comunica con Mac OS X in modi leggermente diversi, e dato che gli si affida la gestione di tutti i font, anche quelli “intoccabili” in /Sistema/Libreria/Fonts, se si adoperano più font manager potrebbero insorgere conflitti e “incomprensioni”, che per l’utente si possono anche tradurre in crash e blocchi del sistema.

Ora, visto che questo è il quadro attuale per quanto concerne la gestione (sic!) dei font in Mac OS X, si potrebbe avere qualcosa di più semplice? Ovvero unificare la semplicità della disposizione dei font di Mac OS 9 e precedenti, con la stabilità e l’efficienza di Mac OS X? Con il Mac OS classico, per esempio, il fatto di “nascondere” i font essenziali al sistema nella valigetta System era, secondo me, uno stratagemma migliore rispetto alla creazione di una cartella Font lasciata più allo scoperto, e soprattutto con un nome e un percorso molto simili ad altre cartelle Font accessibili all’utente. Si potrebbe evitare che entità come Adobe e Microsoft “sporchino” la gestione dei font, impedendo la creazione di cartelle Font fuori dai confini permessi dal sistema? Sarebbe più intuitiva la presenza di un’unica cartella Font, con sottocartelle come “Font Adobe” e “Font Microsoft”. Le applicazioni Adobe e Microsoft potrebbero gestire quei font come sempre, ma almeno l’utente non avrebbe difficoltà di orientamento. Sarebbe anche più immediato in vista di un backup manuale. Quante volte si è copiato tutto il contenuto della propria cartella Inizio, tralasciando elementi importanti presenti nelle famigerate cartelle Application Support?

Apple non ha ridotto il numero di cartelle font da Mac OS X 10.0 a 10.4, e forse dà per assodato che vada bene così. Non va bene affatto, specie considerando il numero di utenti a cui piace pasticciare con il sistema operativo, o semplicemente considerando il gran numero di utenti che lavora con centinaia, migliaia di font, e che avrebbe bisogno di una gestione di quei font a livello di sistema un po’ più solida, meno sparsa, e meno incoerente.

Ti risveglio io

Mele e appunti

È molto utile tenere Mac OS X Hints tra i propri feed RSS. Ho letto di recente un consiglio di Rob Griffiths che mi è stato molto utile e penso valga la pena proporlo in questa sede.

Chi possiede un Mac portatile trova senza dubbio molto comodo poterlo risvegliare dallo stop semplicemente aprendolo, ma a volte questa praticità può essere un’arma a doppio taglio. Se non si chiude bene il portatile, o se durante il trasporto il coperchio si apre quel tanto che basta per risvegliare il Mac, possono succedere cose sgradevoli. Il Mac può rimanere acceso senza che ve ne accorgiate, oppure alternarsi fra momenti di “sonno” e “veglia”, che non fanno proprio bene. Io ho un Titanium a 500 MHz con il gancino di chiusura difettoso e spesso mi è capitato che si risvegliasse mentre lo stavo infilando nella sua custodia.

La soluzione, come suggerisce Griffiths, arriva dal Terminale. Pare che Apple abbia nascosto alcune opzioni di gestione energetica in un programma Unix chiamato pmset. Per avere un elenco delle impostazioni di configurazione energetica del vostro Mac, avviate il Terminale e scrivete:

pmset ‑g

L’output varia da Mac a Mac. Nel mio caso era il seguente:

Active Profiles:
Battery Power ‑1
AC Power ‑1*
Currently in use:
womp 1
acwake 0
sleep 30
autorestart 0
ring 1
halfdim 1
reduce 0
disksleep 10
displaysleep 10
lidwake 1

Di tutte queste opzioni (spiegate sinteticamente nelle pagine man, richiamabili scrivendo man pmset), quella che fa al caso nostro è lidwake. Come spiega la pagina del manuale, la funzione della variabile lidwake è la seguente:

lidwake — wake the machine when the laptop lid (or clamshell) is opened (value = 0/1)

Ossia lidwake — risveglia il computer quando il coperchio del portatile viene sollevato (valori accettati: 0 oppure 1). È quindi possibile modificare lo stato di questa variabile per fare in modo che il portatile non si risvegli quando viene aperto. Così facendo, il Mac resterà a nanna finché non premiamo un tasto qualsiasi. lidwake = 1 significa che il risveglio è abilitato. Cambieremo quindi il valore in 0 (disattivato). Per farlo occorre avere privilegi di root, e bisogna inoltre specificare per quale fonte di alimentazione si dovranno applicare le modifiche (solo quando il portatile viene alimentato dalla batteria, dall’alimentatore, da un UPS o in tutti e tre i casi). Gli attributi da specificare sono:

-a per tutte le fonti di alimentazione,
-b per la batteria,
-c per l’alimentatore collegato alla presa di corrente, e
-u per l’UPS (gruppo di continuità).

Nel mio caso ho specificato tutte le fonti. Il comando da inserire è stato quindi:

sudo pmset ‑a lidwake 0

Mi è stata richiesta la password di amministratore e, come sempre accade col Terminale in questi casi, non ho ricevuto nessuna conferma. Ma controllando nuovamente i parametri con pmset ‑g ho potuto constatare che il valore di lidwake è stato cambiato. Per verificare che tutto sia andato per il meglio, mettete in stop il portatile chiudendolo. Attendete un istante, fino a quando non vedete la lucina di stop accendersi e spegnersi. Riaprite il Mac: non dovrebbe succedere nulla, e il Mac dovrebbe continuare a dormire. Ora è possibile accenderlo premendo un tasto qualsiasi. Spero che questo suggerimento possa tornare utile a qualcuno.

Vista: ma perché poi?

Mele e appunti

Bruce Schneier, alcuni giorni fa, ha scritto un interessante intervento sul DRM in Windows Vista. Schneier ha inserito l’articolo nel numero di febbraio della sua newsletter mensile Crypto-Gram, di cui curo la traduzione italiana per Communication Valley. Riporto qui alcuni stralci significativi, interpolando qualche mia considerazione.

Windows Vista comprende una serie di “funzionalità” assolutamente indesiderate. Tali funzionalità renderanno i computer meno affidabili e meno sicuri. Li renderanno meno stabili e più lenti. Causeranno problemi di supporto tecnico. E in alcuni casi potrà essere necessario aggiornare le periferiche e il software che già possediamo. E queste funzionalità non fanno nulla di utile, anzi lavorano contro di noi. Si tratta di funzioni di gestione dei diritti digitali (DRM) incorporate in Vista per ordine dell’industria dell’intrattenimento.

E non si possono rifiutare.

Facciamo finta di non aver mai letto nulla di Vista finora. Mettiamoci nei panni di un utente PC che ha una macchina relativamente moderna con installato Windows XP. Un utente che sta vagliando la possibilità di passare a Vista. Già questo incipit di Schneier non promette nulla di buono. Ma proseguiamo.

I dettagli sono piuttosto tecnici, ma fondamentalmente Microsoft ha revisionato gran parte del nucleo del sistema operativo per aggiungere una tecnologia di protezione per nuovi formati media come i dischi ottici HD DVD e Blu-ray. Certi percorsi di output ad alta qualità, sia audio che video, sono riservati a periferiche protette. A volte la qualità di output viene degradata artificialmente; altre volte la riproduzione è del tutto inibita. E Vista impiega continuamente le risorse della CPU per monitorare se stesso, cercando di capire se l’utente sta cercando di fare qualcosa che Vista ritiene inopportuno. In caso questo avvenga, il sistema operativo limita le funzionalità e in casi estremi riavvia il sottosistema video. Non sappiamo ancora i dettagli precisi a riguardo e quando in profondità il sistema si spinga, ma le prospettive non sono buone.

Qui una persona assennata dovrebbe aver già capito l’antifona. Poi esiste certa gente che è capace di minimizzare il problema fino a oltrepassare il ridicolo, o a far finta che non esiste, o a pensare che Schneier sia una voce di parte; sì, è sempre stato molto critico nei confronti di Microsoft, ma è egli stesso utente Windows, e le sue critiche riguardano la sicurezza.

Microsoft ha inserito in Vista tutte quelle feature che inibiscono le funzionalità perché vuole dominare l’industria dell’intrattenimento. Questa ovviamente non è la versione dei fatti secondo Microsoft, che dichiara che non ha avuto scelta, che è Hollywood a esigere il DRM in Windows così da permettere la visione di “contenuti premium” (cioè quei film da poco usciti e che stanno ancora facendo profitti) sui nostri computer. Se Microsoft non si adeguasse, sarebbe relegata a un ruolo secondario perché Hollywood toglierebbe il supporto alla piattaforma Windows.

Sono tutte sciocchezze.

Se a qualcuno la posizione di Microsoft in merito al DRM ricorda le parole di Steve Jobs nel suo recente intervento sul DRM nella musica venduta attraverso l’iTunes Store (fonte originale | traduzione italiana), è meglio fare le debite proporzioni prima di lanciarsi in paragoni affrettati. Lo dico per quelle persone che di fronte alle porcate di Microsoft affermano che Apple non è da meno. Da una parte (Apple) abbiamo un sistema DRM, FairPlay, che implementa alcune restrizioni su tracce audio acquistabili presso l’iTunes Store. Le limitazioni sono circoscritte al solo ambito dei file audio protetti che si scaricano dall’iTunes Store, nient’altro. iTunes riproduce senza problemi CD audio regolarmente acquistati e permette di convertirli in formati audio compressi e non. Dall’altra (Microsoft) abbiamo un sistema DRM esteso all’intero sistema operativo, che limita decisamente la libertà del malcapitato che ha deciso di comprare Vista (qualche centinaio di Euro) e di installarlo sul proprio computer. Come dice più avanti Schneier:

Microsoft sta cercando di ottenere molto di più: non solo Hollywood, ma anche i produttori di periferiche. Il DRM di Vista obbligherà gli sviluppatori di driver a conformarsi a ogni genere di regolamentazioni e a certificarsi, altrimenti i driver non funzioneranno. E Microsoft sta pensando di estendere questa situazione anche ai produttori indipendenti di software. È un’altra guerra per il controllo del mercato informatico.

Purtroppo noi utenti ci troviamo nel bel mezzo del fuoco incrociato. Non solo siamo costretti a convivere con sistemi DRM che interferiscono con i nostri legittimi diritti d’uso del contenuto che acquistiamo, ma dobbiamo forzatamente accettare sistemi DRM che interferiscono con l’intero utilizzo del computer, anche con quegli utilizzi che nulla hanno a che vedere con il copyright.

Ecco, a questo punto ripropongo il quesito che ho per la testa sin da quando è apparso Vista: che senso ha passare a Vista?

1. Per l’interfaccia grafica? (Sono utente di Mac OS X dal 2002, mi scuserete se per me l’interfaccia grafica di Windows Vista non è niente di nuovo). Per un’esperienza visiva soddisfacente occorrono PC nuovi: processore veloce, tanta RAM, scheda grafica più che decente (sempre che i driver siano supportati al 100% e certificati).
2. Per la sicurezza? Secondo Gates, la sicurezza è la caratteristica chiave di Windows Vista, la punta di diamante, il fiore all’occhiello. Passo di nuovo la palla a Schneier: Come qualsiasi altro sistema DRM inventato finora, quello di Microsoft non impedirà ai pirati professionisti di copiare tutto ciò che vogliono. La sicurezza del DRM in Vista è stata compromessa il giorno stesso del rilascio di Vista. Certo, Microsoft ci metterà una patch, ma poi il sistema verrà compromesso nuovamente. Io questa musica l’ho già sentita. L’ho sentita ai tempi di Windows 98, ai tempi di Windows ME, ai tempi di Windows 2000, ai tempi di Windows XP… Per me sicurezza vuol dire poter collegarmi a Internet senza dover attivare un firewall sul mio computer e senza dover obbligatoriamente comprare un antivirus. Con Mac OS X posso farlo, con Windows no.
3. Perché apporta delle migliorie e dei vantaggi rispetto a Windows XP? Qualche miglioria ci sarà di sicuro. Ma di fronte a realtà come quelle citate da Schneier (forti restrizioni attuate dal sistema DRM, risorse e tempo del processore sprecati per monitorare continuamente il computer, e così via) non vedo migliorie talmente straordinarie che possano far passare in secondo piano limitazioni e impedimenti.

Ancora Schneier:

Il DRM è negativo sia per i consumatori, sia per l’industria dell’intrattenimento, un concetto che quest’ultima sta finalmente cominciando a capire; ma Microsoft continua a combattere. Alcuni ricercatori ritengono che questa sia la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso, che spingerà l’utenza Windows verso altre piattaforme, ma io credo che qui siano necessari i tribunali. Nel frattempo, l’unico consiglio che posso dare è quello di non acquistare Vista. Sarà dura: gli accordi che Microsoft intrattiene con i fabbricanti di computer faranno sì che sarà difficile non ricevere il nuovo sistema operativo preinstallato sulle macchine nuove.

Un’altra e non meno trascurabile fetta di utenza è costituita proprio da quelle persone, come l’utente tipo a cui accennavo all’inizio del post, che oggi posseggono un PC sufficientemente moderno e potente, con installato Windows XP, e configurato in maniera ottimale. E che, appunto, non vedono ragioni convincenti per fare l’aggiornamento a Vista. Azzardo e aggiungo: non vedono ragioni convincenti perché non ce ne sono. La mia esperienza personale non fa testo statisticamente, però in quanto collaboratore della biblioteca del Politecnico di Valencia mi trovo in continuo contatto con la vasta popolazione studentesca, e fra studenti e dipendenti della biblioteca la percentuale di PC è altissima. È da un po’ che si parla di Vista e mi è capitato più di una volta di “tastare il polso” per verificare l’eventuale interesse ad aggiornare al nuovo sistema operativo di Microsoft. Bene, ho notato un generale disinteresse verso Vista. Moltissimi si trovano bene con XP e non hanno intenzione né di passare a Vista, né di cambiare computer, né soprattutto di cambiare computer per passare a Vista.

Sul fronte Mac è invece interessante notare la trepidazione per l’arrivo di Mac OS X 10.5 (Leopard). Anch’io attendo con grande curiosità e anch’io sono convinto che le funzionalità già anticipate da tempo siano soltanto la proverbiale punta dell’iceberg. Quando uscì Mac OS X 10.4 (Tiger), fra miglioramenti e nuove funzionalità si contavano centinaia di voci, moltissime non immediatamente evidenti e “sotto il cofano”, come si suol dire. È ragionevole credere che Leopard non sarà da meno. Sicuramente non sarò costretto a comprarmi un Mac nuovo per poterlo utilizzare, e sicuramente “sotto il cofano” non mi ritroverò un guardiano elettronico che decide quel che posso o non posso fare.

A tutto schermo

Mele e appunti

È da qualche settimana che sto provando la versione 2.0b2 di Shiira e, sebbene alcune funzioni e preferenze non siano ancora abilitate, devo dire che il browser si sta comportando bene in quanto a stabilità ed efficienza.

C’è una funzionalità di Shiira 2 che mi sta piacendo moltissimo: la navigazione a tutto schermo. Selezionando View > Full Screen (o premendo Mela-Opz‑F) si entra in modalità tutto schermo: la barra menu, la toolbar del browser, il Dock di Mac OS X, tutto scompare per fare spazio alla pagina Web. A differenza della modalità a tutto schermo di Opera, in Shiira appare una barra strumenti ai minimi termini quando si sposta il puntatore del mouse verso la parte inferiore o superiore dello schermo: è un controller molto simile a quello di iPhoto che appare in sovraimpressione quando si deve pilotare una presentazione di foto, per esempio. Se invece si porta il puntatore vicino al bordo superiore dello schermo, appare la barra menu di Shiira. Questo è abbastanza comodo, perché permette di raggiungere i bookmark direttamente e di continuare la navigazione senza tornare alla visualizzazione normale.

Mi sto abituando a navigare il Web a tutto schermo, ed è difficile tornare indietro. Tanto che nel forum di Shiira, nella sezione “Richieste di nuove funzioni” ho suggerito di aggiungere una barra indirizzo alla barra strumenti che appare in sovraimpressione in modalità schermo pieno, così che l’utente possa immettere un altro URL e continuare a navigare a tutto schermo. Questo tipo di navigazione, oltre a essere elegante, elimina tutto quel che è superfluo e che può distrarre. E libera spazio utile per la pagina web. Consultare siti ricchi di testo, come blog o quotidiani online, è una bellezza.

Sto mettendo insieme qualche appunto per un prossimo post che parlerà del sistema operativo che vorrei. Ecco, a livello meramente grafico devo dire che sarei a favore di applicazioni che funzionano così, a schermo intero, con eventuali palette e menu a comparsa. Nelle preferenze dell’applicazione si potrebbero specificare degli hot spot, punti sensibili dello schermo, e associarli alla comparsa di determinati pannelli, un po’ come quando si dice a Mac OS X di attivare il salvaschermo se si sposta il puntatore nell’angolo in basso a sinistra. Tutti i pannelli sarebbero naturalmente trasparenti, e si potrebbe variare questa trasparenza e rendere un certo pannello “appiccicato” allo schermo se fosse necessario lavorarci in continuazione. Le stesse preferenze potrebbero comparire in un quadro sovrapposto alla schermata principale proprio come già succede con Dashboard. Si devono cambiare al volo un paio di cose? Si pigia un tasto funzione e appare il “Dashboard” dell’applicazione. I plug-in potrebbero apparire come widget, ed essere modificabili direttamente. Sono solo idee abbozzate, per carità, ma, almeno per quanto riguarda i browser web, Shiira mi sembra sulla buona strada.

[Aggiornamento: In realtà, in Opera è già possibile continuare a navigare il Web a tutto schermo. Premendo Mela‑L compare una finestra che chiede l’URL da aprire. Mi era sfuggito perché non utilizzo Opera molto spesso. Tuttavia rimango della mia posizione: avere una barra strumenti a comparsa che include una barra indirizzo sarebbe più comodo e non sarebbe necessario ricordare abbreviazioni da tastiera.]