Apples and Oranges again

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Source: Microsoft to ship European Windows 7 without a browser; Macs to follow suit? — MacFixIt.

Like Microsoft, Apple includes their browser with its operating system, and Safari’s preferences are the only location for manually changing certain settings such as the default browser. This creates a similar situation where in order to have certain global system functionality (changing the default browser) you will need to keep Safari installed on your system. Because of the situation with Microsoft, will we see Apple similarly pressured to remove Safari from the Mac OS for European customers?

Apple is not a monopoly. I don’t see why it should be ‘pressured to remove Safari’. Removing IE was Microsoft’s decision, in the end. Microsoft has taken that decision to prevent future troubles with EU regulations. The idea that since Microsoft did it, everyone else should follow suit appears ludicrous to me.

LinkedIn non rispetta i traduttori

Mele e appunti

Mi è arrivato un messaggio email da LinkedIn, dove mi si chiedeva se volessi rispondere, in qualità di traduttore professionista, a un breve questionario. A quanto pare LinkedIn sta cercando di reclutare traduttori per estendere il proprio sito anche ad altre lingue e paesi, un’operazione economicamente vantaggiosa per LinkedIn, ma ai poveri traduttori viene offerta tutt’al più la gloria. Bella manovra di crowdsourcing a cui auguro ogni male.

Il particolare che mi ha fatto più infuriare è che il pagamento non è nemmeno contemplato fra le risposte alla domanda chiave:

Per la cronaca, ho selezionato 'Altro' e ho specificato: 'Ricevere un compenso'.

Per la cronaca, ho selezionato ‘Altro’ e ho specificato: ‘Ricevere un compenso’.

Traduco per chi non conosce l’inglese:

Che tipo di incentivo vi aspettereste per tradurre il sito di LinkedIn? (Contrassegnare tutte le risposte pertinenti)

  • Lo farei perché è divertente
  • Riconoscimento nella categoria dei traduttori (Siete il traduttore numero uno di LinkedIn in [nome della lingua] per aver inviato [indicare il numero] di traduzioni!
  • Sottoscrizione al Gruppo di Traduttori di LinkedIn
  • Riconoscimento del lavoro di traduzione per LinkedIn nel mio profilo LinkedIn (Sono il traduttore numero uno di LinkedIn in [nome della lingua] )
  • Account LinkedIn di livello superiore
  • Altro (Specificare)

Ovvero diverse opzioni per diverse sfumature di aria fritta.

Noi traduttori abbiamo subito creato un gruppo in LinkedIn: Translators against Crowdsourcing by Commercial Businesses (Traduttori contro il crowdsourcing operato da società e imprese commerciali), e la discussione è viva. Uno degli interventi che sposo parola per parola è quello di Serena Dorey, altra traduttrice freelance:

Tradurre gratuitamente per organizzazioni non governative e no-profit va bene, ma fare un lavoro di traduzione gratuito che contribuisce ai guadagni di un’azienda non ha senso. Come si è detto, è assai probabile che LinkedIn paghi i suoi programmatori, copywriter, Web designer, consulenti di pubbliche relazioni, eccetera. Tutte queste persone sono professionisti che offrono servizi professionali e qualificati. Stesso dicasi per i traduttori. Tradurre è molto più che conoscere un’altra lingua e/o starsene seduti con un dizionario per produrre un testo. Ci vogliono anni di formazione, pratica e investimento continuo per mantenere e sviluppare le nostre capacità. Tutte cose che, fra l’altro, devono essere finanziate…

L’aspetto che non mi piace del fatto che LinkedIn abbia mandato un questionario ai traduttori chiedendo loro se sarebbero disposti a tradurre il sito gratuitamente, è che non veniamo rispettati in quanto professionisti da un sito che avrebbe lo scopo di favorire le categorie professionali.

Come afferma Luke Spear, altro traduttore freelance, sarebbe bello essere riconosciuti come traduttori ‘importanti’ da LinkedIn; un po’ meno finire nel calderone a fianco di sedicenti traduttori privi di esperienza e che offrono lavori di quarta categoria. Questo non farebbe altro che rafforzare l’idea corrente per cui chiunque sia bilingue può fare il traduttore, e farà sembrare la traduzione offerta dai traduttori automatici una valida alternativa al lavoro di traduttori professionisti.

Tradurre è un lavoro spesso difficile, lungo e che ruba tempo e risorse. Nella mia esperienza, i profani hanno un’immagine molto idealizzata di chi traduce lavorando da casa — pensano al traduttore come uno che lo fa per hobby, che se ne sta al computer tutto il giorno, che si prende le pause che vuole, fa gli orari che vuole, ed è una bella vita; mica alzarsi alle 6 tutti i santi giorni per andare a lavorare in ufficio. Pertanto, quando a volte esterno le mie frustrazioni, le reazioni dei non addetti ai lavori sono ugualmente frustranti: con quell’immagine del traduttore che si portano dietro, pensano che io faccia una vita invidiabile e quindi mi dicono “… e ti lamenti?”. Certa clientela, siccome appunto vede il traduttore come un nerd seduto al computer tutto il giorno, pensa bene di inviare lavori urgenti alle 18 del venerdì e chiederli pronti per la mattina del lunedì. Il traduttore professionista non ha diritto al finesettimana, perché sicuramente avrà riposato a sufficienza tutta la settimana…

E siccome non è un lavoro serio, paghiamolo pure a babbo morto. Se si lamenta, che cerchi uno di quei mestieri che portano davvero la pagnotta a casa tutti i giorni.

Non è sempre così, intendiamoci, e io stesso ho avuto ottimi clienti. Ma accade spesso. È una categoria professionale abusata e sminuita, e voler vivere di questo lavoro sembra un oltraggio ai ‘veri’ professionisti. Prima di LinkedIn ci ha provato Facebook, e Google ha tentato un simile approccio con gli artisti poco tempo fa (consiglio la lettura di questo articolo del New York Times a proposito).

Come ha detto bene un altro traduttore, occorre comprendere che la traduzione non è né una commodity, né un servizio gratuito.

MacBook 13" unibody prima e dopo

Mele e appunti

Facendo un giro su iFixit, uno dei siti che tengo saldamente nei bookmark, ho notato che hanno già pubblicato un servizio sul completo smontaggio del nuovo MacBook Pro 13″ unibody, con tutta una serie di foto chiare e illustrative.

Da alcune immagini comparative si possono vedere le differenze principali con il ‘vecchio’ MacBook 13’’, che non si limitano alla sola disposizione delle porte.

Figura 1 -

Figura 1 — La disposizione delle porte nel MacBook 13’‘ unibody (sopra) e nel nuovo MacBook Pro 13’’ unibody (sotto).

Per fare spazio alla porta FireWire 800 e allo slot SD, l’ingresso audio separato è stato sacrificato, e l’aggancio di sicurezza è stato spostato sull’altro lato a fianco dell’unità ottica. Se a qualcuno fosse sfuggito, faccio presente che la nuova porta audio non è solo in uscita, ma è in/out. La direzionalità è selezionabile dall’utente a seconda delle esigenze. Pertanto l’audio in è sparito solo come porta separata, ma è sempre possibile utilizzare microfoni per registrare da fonti esterne.

Figura 2 - Lo slot SD con una scheda inserita.

Figura 2 — Lo slot SD con una scheda inserita.

Questa è la prima foto in cui è chiaramente visibile come appare una scheda SD inserita nello slot. Spunta di poco più di un centimetro: quelli di iFixit la trovano una pessima scelta di design, mentre a me appare molto pratica. In questa maniera togliere e mettere le schedine è affar semplice e non è necessario complicare lo slot inserendo meccanismi di espulsione solo per evitare che la scheda spunti un poco. Il rischio che la scheda rimanga intrappolata nello slot è anche molto minore.

Figura 3 - La parte inferiore del MacBook 13'' (sopra) e del MacBook Pro 13'' (sotto).

Figura 3 — La parte inferiore del MacBook 13’‘ (sopra) e del MacBook Pro 13’’ (sotto).

Il dettaglio che ha portato a scelte differenti nell’assemblaggio è il fatto che il nuovo MacBook Pro 13’‘, come già il modello a 17″ e ora anche il modello a 15’’, contiene una batteria integrata non sostituibile dall’utente. Di conseguenza non è più necessario il grande sportello sulla base del MacBook (visibile nella Figura 3). Ora la parte sottostante del MacBook Pro è priva di aperture, e per accedere al disco rigido è necessario togliere l’intero pannello inferiore.

Il disco rigido è ancora considerato parte sostituibile dall’utente, ma iFixit fa notare che ora la sostituzione è meno immediata che sul MacBook unibody precedente, in quanto occorre togliere una decina di viti in più. Peccato, perché nel MacBook non-Pro erano riusciti a ideare un design davvero semplice: bastava togliere una vite sola che fissava il disco all’interno del Mac, e l’accesso al disco era molto più rapido (come dimostra la sequenza di apertura visibile in questa pagina).

Figura 4 - Il disco rigido nel MacBook 13'' è assicurato da una sola vite.

Figura 4 — Il disco rigido nel MacBook 13″ è assicurato da una sola vite.

Figura 5 - Il disco rigido nel MacBook Pro 13''.

Figura 5 — Il disco rigido nel MacBook Pro 13″.

Per quanto riguarda la batteria, iFixit evidenzia due aspetti a mio avviso importanti: il primo è che, tutto sommato, non è che sia una grande impresa sostituirla da soli. Come si può vedere dalla Figura 6, una volta tolto il pannello inferiore del MacBook Pro, si tratta di agire su due viti (cerchiate in figura) e su un connettore a destra della memoria RAM. Quando si armeggia all’interno dei Mac portatili con batteria integrata, iFixit raccomanda di staccare sempre la batteria agendo su quel connettore, così da togliere l’alimentazione all’intera macchina.

Figura 6 - L'interno del MacBook Pro 13''. Notare la batteria integrata, assicurata da due viti e da un connettore.

Figura 6 — L’interno del MacBook Pro 13″. Notare la batteria integrata, assicurata da due viti e da un connettore.

Il secondo dettaglio importante è che la batteria integrata del nuovo MacBook Pro 13’‘ è diversa da quella del vecchio MacBook 13’’ e non sono intercambiabili: la batteria integrata del MacBook Pro è più grande e ha forma diversa da quella del MacBook precedente. Un particolare facilmente prevedibile, ma è sempre meglio mettere le cose in chiaro perché non manca mai il buontempone che magari cerca di procurarsi una batteria di scorta e pensa che quella del MacBook unibody non-Pro possa andare bene. In Figura 7 le due batterie a confronto:

Figura 7 - Le batterie del MacBook 13'' (sopra) e del MacBook Pro 13'' (sotto).

Figura 7 — Le batterie del MacBook 13’‘ (sopra) e del MacBook Pro 13’’ (sotto).

Insomma, come spesso accade nelle questioni di design, esistono dei compromessi. Il vecchio MacBook con la linguetta e lo sportello garantiva un accesso assai rapido a batteria e disco rigido, e sostituire entrambi i pezzi era gioco da ragazzi. Il nuovo MacBook Pro, che obbliga alla rimozione dell’intera parte inferiore, rende la sostituzione del disco un po’ meno immediata, ma sicuramente tutto il portatile guadagna ancor di più in robustezza ed è composto da un numero minore di pezzi. Va detto che, per uno come me che proviene dagli iBook clamshell e dai PowerBook in alluminio, togliere una decina di viti per raggiungere il disco è una passeggiata, visto che sul PowerBook G4 12″ occorre toglierne una ventina in più.

[NOTA: Tutte le immagini dell’articolo sono © iFixit.com. / All images © iFixit.com]

WWDC 2009: Snow Leopard

Mele e appunti

Nota folkloristica: dopo averlo finalmente visto con calma l’altroieri, posso dire che — malgrado l’assenza di Jobs — è stato un keynote assolutamente godibile e a tratti piuttosto divertente, che consiglio a tutti coloro abbiano una comprensione sufficiente dell’inglese. La parte dedicata a Snow Leopard è stata presentata da un inedito quanto dinamico duo: Bertrand Serlet (Senior Vice President della divisione Software Engineering) e Craig Federighi (Vice President). Il primo ha trattato gli aspetti generali e la natura delle novità più importanti presenti in Snow Leopard, con il suo tipico aplomb e marcato accento francese (che mi ha un po’ ricordato Peter Sellers nei panni dell’ispettore Clouseau); il secondo si è incaricato di presentare alcune demo per mostrare al pubblico come funzionavano concretamente certe nuove funzionalità — e lo ha fatto con una verve da showman consumato.

Non starò certo a elencare tutte le novità di Snow Leopard: Apple ha creato una serie di pagine nella sezione Mac OS X del sito che le riassumono egregiamente. Io farò un discorso più generale e mi soffermerò sugli aspetti e le funzioni che più mi hanno interessato.

Snow Leopard fu menzionato per la prima volta all’edizione 2008 della WWDC. Si disse che la scelta del nome rifletteva una scelta tecnica importante: Mac OS X 10.6 (Snow Leopard) sarebbe stata una major release maggiormente incentrata su miglioramenti strutturali di Leopard, che non il classico aggiornamento ricco di novità anche di superficie come lo erano stati Tiger e Leopard.

Dopo il keynote di lunedì scorso, la primissima impressione che mi porto dietro è che Snow Leopard, malgrado sia stato presentato fin qui come una versione di assestamento di Mac OS X, abbia in realtà una posizione chiave nel percorso di sviluppo del sistema operativo di Apple. Le novità, infatti, sono molte più del previsto, ed estremamente interessanti per gli utenti più esperti che possono coglierne la portata.

Personalmente mi ha fatto molto piacere che, oltre a novità tecnologiche di ampio respiro — come il supporto per la tecnologia a 64 bit, il supporto delle architetture multi-core con Grand Central Dispatch, il nuovo framework OpenCL atto a migliorare le prestazioni a livello computazionale, QuickTime X e il supporto di Microsoft Exchange — in Apple abbiano prestato attenzione anche a piccoli dettagli percepibili dall’utente medio che in Leopard erano stati solo abbozzati e che in Snow Leopard sono stati ottimizzati, rifiniti o rivisti con la funzionalità e praticità come obiettivi primari.

La manipolazione dei risultati delle ricerche Spotlight raggiunge finalmente quella flessibilità che avrebbe dovuto avere sin da Mac OS X 10.5.0. In passato ne ho lamentato la scarsa versatilità in questo articolo e in quest’altro, in cui mi trovavo assolutamente d’accordo con Griffiths quando scriveva:

In Mac OS X 10.4, quando si effettuava una ricerca Spotlight nel Finder, era possibile passare a vista elenco nella finestra dei risultati, e quindi personalizzare con precisione quali colonne visualizzare. Per esempio, uno dei tipi di ricerca che faccio più di frequente è cercare file di dimensioni superiori a 100 MB. Questo mi aiuta a trovare rapidamente voluminose demo di giochi che ho scaricato e mai cancellato, per dire.

In OS X 10.4 potevo effettuare tale ricerca, passare a vista elenco, aprire il pannello Opzioni Vista e scegliere quali colonne vedere, fra cui Dimensione. Da lì era banale specificare l’ordinamento per Dimensione: bastava un clic sul titolo della colonna e tutti i file ‘pesanti’ comparivano in cima alla lista.

Provate a fare lo stesso in Mac OS X 10.5, e otterrete dei risultati sostanzialmente inutili e insensati. Questo perché la finestra dei risultati della ricerca in 10.5 visualizza soltanto tre colonne: Nome, Tipo e Ultima Apertura. Così, dopo aver cercato i file con dimensione maggiore di 100 MB mi ritrovo con una lista che non mi è possibile visualizzare né ordinare facilmente per dimensione! Per cui, se da un lato so che il File XYZ è più grande di 100 MB, dall’altro non posso vedere subito quanto è grande. 

In Snow Leopard, alleluia, i risultati delle ricerche Spotlight sono gestibili come qualsiasi altra finestra del Finder, e quindi ordinabili per Nome, Data di modifica, Data di creazione, Dimensioni, Classe, Etichetta. Stesso dicasi per le opzioni vista.

Sempre in ambito Finder, altre due novità per me benvenute sono la ricomparsa di una voce di menu che risale ai tempi del System 7, ossia “Rimetti a posto”, che serve appunto a rimettere nelle posizioni originali quegli elementi che avevamo in un primo tempo deciso di eliminare mettendoli nel Cestino. L’altra è una gestione più puntuale e intelligente dell’espulsione dei dischi e dispositivi esterni. Finalmente, si spera, non dovremo più sopportare tempi biblici di espulsione o avvisi che ci informano che “Il disco Vattelapesca non può essere espulso perché è in uso”. In Snow Leopard sapremo con precisione qual è la maledetta applicazione o processo che sta tenendo il disco occupato.

Altra miglioria senz’altro degna di nota riguarda gli Stack. Come ha mostrato Federighi durante una demo, adesso gli Stack possono gestire più elegantemente un maggior numero di elementi, grazie allo scorrimento e alla possibilità di navigare nei livelli di sottocartelle senza uscire dalla visualizzazione a griglia dello stack.

Migliora anche Exposé. Sempre nella demo, Federighi ha mostrato come funziona Exposé nel Dock: si fa clic su un’applicazione e si tiene premuto, e vengono mostrate tutte le finestre di quell’applicazione aperte al momento. Se si vuole osservare il contenuto di una finestra più da vicino, non è nemmeno necessario aprirla del tutto: si fa uno zoom sempre con Exposé aperto. E con l’apertura a impulso delle finestre, come si vede nella demo, è possibile per esempio spostare contenuti da un’applicazione all’altra anche se alcune delle finestre non sono immediatamente visibili. Se ho un file video che voglio aggiungere a un messaggio email, faccio clic sull’icona del Finder e tengo premuto: Exposé nel Dock mi visualizza tutte le finestre Finder aperte. Seleziono la finestra che contiene il video, trascino il video sull’icona di Mail, Mail apre in Exposé tutte le sue finestre, trascino il video sulla finestra che mi interessa (quella che contiene l’email che sto scrivendo) e voilà.

Altre aree di miglioramento macrosocopico: Time Machine in Snow Leopard dovrebbe essere più veloce del 50% e in generale più reattivo. Non ho mai posseduto un Mac con processore Intel Core 2 Duo, ma sul mio G4 ogni volta che Time Machine entra in funzione è un supplizio: tutto rallenta, la ventola gira rumorosamente, e la sensazione generale è quella di stare alla guida di una vecchia Fiat Panda tirata a 130 km/h. Anche l’installazione del sistema operativo sarà più veloce, Apple dichiara di un 45%, e visto che il codice è stato riscritto e ottimizzato, e che sarà Intel puro (non c’è il supporto per l’architettura PowerPC), pare che si ricupereranno ben 6 GB di spazio disco dopo l’installazione.

Quando ho letto delle varie rifiniture e revisioni, ho tirato un altro sospiro di sollievo arrivato alla voce Servizi. Finalmente, in Snow Leopard quell’ottima idea che sono sempre stati i Servizi saranno usabili per davvero. Finora i Servizi si aggiungevano automaticamente, popolando un unico menu che cresceva, cresceva, non si poteva personalizzare e soprattutto non si potevano eliminare quei servizi di utilizzo scarso o nullo (come convertire il testo selezionato in cinese tradizionale o semplificato). In Snow Leopard ogni servizio sarà attivabile e disattivabile singolarmente, e sarà possibile accedere ai Servizi anche dai menu contestuali; inoltre gli stessi Servizi disponibili saranno sensibili al contesto e non verranno proposti tutti indiscriminatamente (fino a Leopard i servizi inapplicabili a un determinato contesto comparivano grigi e disattivi nell’unico menu globale, creando confusione e non contribuendo alla generale leggibilità del menu). Ciliegina sulla torta: Automator permetterà di creare servizi, così potremo aggiungere al menu Servizi alcuni compiti ripetitivi del nostro flusso di lavoro personale.

In generale ho notato nella presentazione di Snow Leopard un accento particolare sull’efficienza e la produttività. Efficienza grazie alle tecnologie che sfruttano le potenzialità dell’hardware in maniera decisamente migliore di prima; produttività nel presentare rifiniture e soluzioni che facilitino ancor di più la vita all’utente, eliminando attese e tempi morti durante il lavoro (e anche il divertimento).

In un altro post spenderò qualche parola in più sulle nuove tecnologie di Mac OS X 10.6, e a settembre inaugurerò un ‘diario di bordo’ dedicato a Snow Leopard (così come feci nel tardo 2007 quando uscì Leopard), con appunti e note di prima mano, condivisi giornalmente.

Differenze grafiche tra Safari 3 e Safari 4

Mele e appunti

Nel mio primo articolo su Safari 4 dell’altroieri notavo che:

Tutta la parte superiore della finestra principale del browser è stata ritoccata e ora appare più compatta e uniforme, e qua e là sono stati tolti dei pixel in modo da avere più spazio per la barra dei bookmark e più spazio per visualizzare i contenuti dei siti.

Prima di fare l’aggiornamento a Safari 4 sul mio PowerBook G4 Titanium, ho voluto fotografare Safari 3, così da fare un confronto preciso (clic per ingrandire):

Interfaccia grafica di Safari 3

Interfaccia grafica di Safari 3

Interfaccia grafica di Safari 4

Interfaccia grafica di Safari 4

Ho così potuto estrapolare alcuni dettagli. La parte superiore della finestra di Safari è soltanto 3 pixel più corta rispetto a Safari 3, ma tutta una serie di piccoli accorgimenti (soprattutto la scomparsa della linea che separa la barra dell’indirizzo dalla barra dei bookmark), danno l’impressione che il risparmio di pixel sia superiore.

Il guadagno di spazio nella barra dei bookmark — come potete vedere nella seconda immagine, ora ne è visibile uno in più — non deriva dall’aver risparmiato pixel fra un bookmark e l’altro. La spaziatura appare identica. In Safari 4, tuttavia, l’intero ‘nastro’ dei bookmark è stato riallineato al margine sinistro. Se si guarda il pulsante che attiva la finestra di gestione dei bookmark, si vedrà che in Safari 4 è spostato molto più a sinistra rispetto a Safari 3, e si allinea con la parte sinistra del pulsante Indietro. Oltre che il guadagno di spazio c’è, a mio avviso, anche un guadagno estetico.

I pulsanti sono diversi, elemento che a una prima occhiata mi era sfuggito. In Safari 3 l’interfaccia è ancora metallica e i pulsanti conservano ancora quella trasparenza e profondità che deriva dall’interfaccia Aqua di Mac OS X. In Safari 4 sono anch’essi grigi, con una diversa sfumatura, e appaiono più piatti. Inoltre i contorni dei due campi di testo (dove si inseriscono gli indirizzi Web e dove si effettuano le ricerche) sono più definiti: l’aspetto finale appare leggermente più bidimensionale e appiattito rispetto a prima, ma nel complesso l’interfaccia è più elegante e rifinita. Infine gli angoli della finestra sono meno tondeggianti in Safari 4.

Ultima curiosità: su Windows XP, l’ultima versione di Safari perde la barra dei menu e adotta due menu ‘iconici’ sul lato destro, una soluzione presa pari pari da Google Chrome (clic per ingrandire):

Safari 3.x su Windows XP

Safari 3.x su Windows XP

Safari 4 su Windows XP

Safari 4 su Windows XP

Google Chrome su Windows XP

Google Chrome su Windows XP

Anche su Windows l’interfaccia di Safari 4 guadagna in pulizia, e l’esperienza d’uso con il browser è molto buona, sia su macchine con processore Intel Core 2 Duo, sia su macchine più datate, come un Toshiba Satellite con processore Pentium III a 900 MHz o giù di lì.

E direi che per Safari 4 è proprio tutto.