Potenza al Cubo

Mele e appunti

Come suggerito dal post precedente, in questi giorni ho aggiornato il mio PowerMac G4 Cube. L’operazione è andata molto bene e ora mi ritrovo con un Cube ancora più performante. L’idea di questo post è di raccontare di un piccolo inghippo accaduto durante l’aggiornamento, di fare qualche osservazione sul design del Cube, e di fare il punto della situazione dopo circa un anno di possesso del Cube e a dieci mesi di distanza da questo mio post di febbraio in cui raccontavo la storia di questo Cube e delle mie intenzioni per il futuro.

Effetti post-operatori

Nello scorso post accennavo al succo dell’aggiornamento hardware: più RAM e un disco rigido più capiente. Qualche giorno fa, da Palo Alto, California, ecco che arrivano le tre barrette di RAM da 512 MB l’una, che portano la memoria del Cube al suo massimo possibile: 1,5 GB. Già che devo aprire il Cube, colgo l’occasione di infilarci un disco rigido da 60 GB in sostituzione dell’unità da 20 GB con cui mi era arrivato il Cube a dicembre 2007. È un upgrade teoricamente fattibile in una decina di minuti: ci ho impiegato molto di più a causa del connettore che fornisce l’alimentazione al disco rigido, che si è rivelato davvero tenace. Su questo dettaglio tornerò dopo. Terminata l’operazione, richiuso e riposizionato il Cube, lo collegavo a monitor e tastiera, ansioso di accenderlo e vedere se tutto era andato per il meglio. E così era, apparentemente. Mac OS X 10.4 si avviava davvero rapidamente, e molto presto mi ritrovavo davanti la scrivania, le cartelle, le applicazioni e le preferenze mantenute identiche all’installazione sul vecchio disco, grazie all’ottimo lavoro di Assistente Migrazione, che in una ventina di minuti aveva clonato tutto il necessario. Andavo subito al menu Apple e richiamando le Informazioni su questo Mac potevo notare che la RAM veniva riconosciuta e vista in tutti i suoi 1,5 GB. Anche secondo System Profiler non c’erano problemi con i tre banchi di RAM.

Ma dopo un certo periodo di inattività, il Cube cominciava a comportarsi stranamente. Cercando di passare da un’applicazione all’altra con Cmd-Tab sentivo il Cube emettere il tipico rumorino che fa quando viene risvegliato dallo stop, come se stesse risvegliando il disco rigido, e il Finder si piantava, e poi tutto si piantava, come confermato dalla maledetta rotellina colorata. Poi, passati forse due-tre minuti, tutto tornava normale e le operazioni che avevo accumulato nel tentativo di sbloccare la situazione venivano riprodotte tutte insieme in sequenza. Il Cube sembrava essere entrato e poi uscito da un temporaneo stato catatonico. Ho pensato che potessero essersi corrotte le preferenze di Risparmio Energia, e che il Cube, per qualche motivo, non fosse stato in grado di effettuare uno stop completo e che stesse ‘dormendo a occhi aperti’, se mi passate l’immagine. Giusto per scaramanzia in Risparmio Energia disabilitavo l’opzione “Metti in stop il disco rigido quando è possibile”. Essendo ormai notte fonda, mettevo il Cube in stop e me ne andavo a dormire.

Durante la mattina di ieri, però, il Cube ha continuato a manifestare questa temporanea catatonia, in genere innescata dalla ripresa di attività dopo un certo periodo di stasi. In una occasione il Cube aveva persino spento il monitor ed era diventato sordo a qualsiasi input da tastiera. E non era in stop (la luce non pulsava). “OK”, ho pensato, “o è la RAM o il disco rigido ha qualche problema con la gestione energetica”. Il problema doveva essere per forza legato al mio intervento di aggiornamento, perché prima non si era mai manifestata una cosa del genere. Al principio ero molto più orientato sulla RAM e, per esperienza, quando un Mac cominciava a congelarsi in modo casuale e a comportarsi in maniera inaspettata, in genere il colpevole era sempre stato un banco di RAM andato o male inserito. Poi, giusto prima di aprire il Cube, mi è venuto il ‘momento eureka’: nello scambio dei dischi rigidi mi era sembrato che la disposizione dei jumper del disco uscente fosse diversa dal disco entrante. Aprendo il Cube e osservando i jumper del nuovo disco da 60 GB la mia impressione veniva confermata. Grazie al cielo mi ero scaricato il manuale in PDF del disco rigido, un Seagate Barracuda IV modello ST360021A. (Fra l’altro il disco da 20 GB che aveva in dotazione il Cube era un Seagate Barracuda IV modello ST320011A, cioè la stessa identica famiglia; piccolo il mondo, eh?). Il manuale, davvero ben scritto, illustra le configurazioni possibili per i jumper:

barracuda-jumpers.png

Il disco da 60 GB che avevo inserito aveva i jumper disposti nella terza configurazione, “Master with non ATA-compatible slave”, mentre il disco da 20 GB aveva i jumper correttamente disposti come nella prima configurazione “Master or single drive”. Tolto il ponticello in più, passavo a ispezionare la RAM, ma i tre banchi erano tutti ben saldamente inseriti nei loro alloggiamenti. Richiuso il Cube, ricollegato tutto e riacceso, il problema è scomparso.

A posteriori, mi è venuta l’idea di controllare in Console la presenza di qualche indizio e in effetti, esaminando il system.log a ritroso, ho notato un’entrata ripetersi di tanto in tanto:

Dec 6 12:54:57 Q‑bert kernel[0]: System Sleep
Dec 6 12:54:57 Q‑bert kernel[0]: System Wake
Dec 6 12:54:57 Q‑bert kernel[0]: Wake event 0020
Dec 6 12:54:58 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 12:55:09 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 12:55:20 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 12:55:31 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 12:55:31 Q‑bert kernel[0]: AFPSleepWakeHandler: waking up
Dec 6 12:56:05 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.

Dec 6 13:11:23 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 13:11:34 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 13:11:46 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 13:11:57 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 13:12:31 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 13:18:59 Q‑bert kernel[0]: AirPort: New Group Key, Idx 2
Dec 6 13:58:42 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 13:58:53 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 13:59:04 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 13:59:15 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.
Dec 6 13:59:49 Q‑bert kernel[0]: IOATAController device blocking bus.

Io non sono un grande esegeta dei papiri emessi dall’oracolo Console, ma in questo caso mi sembra che il lavoro d’interpretazione sia piuttosto semplice, e corrobora i sospetti. Morale: non è sempre colpa della RAM.

Il design del Cube: genio e sregolatezza

Oggi abbiamo il Mac mini, per cui non è più possibile sottolineare la compattezza del Cube come qualcosa di insuperabile. A occhio, infatti, il Cube ha le dimensioni di almeno quattro Mac mini impilati uno sull’altro. Ma l’idea del cuore metallico nel guscio di plexiglas, e il fatto che si possa aprire senza togliere viti, solo tirando una maniglia estraibile, sono due tocchi di design che mi hanno sempre sorpreso. (I possessori del Mac mini si sognano una tale facilità nell’aprire la macchina). E poi se consideriamo lo hardware di otto anni fa, il Cube era proprio rivoluzionario. Visto più da vicino, ossia dal punto di vista di chi lo possiede, lo usa quotidianamente e talvolta gli mette mano, il design del Cube rivela anche qualche dettaglio non proprio positivo. Le porte, collocate nella faccia inferiore del Cube, sono certamente disposte in una posizione che permette di nascondere cavi e cavetti e mantenere un’impressione ordinata, ma al tempo stesso non tengono troppo in considerazione cavi spessi e con prese ingombranti, come sono in genere i cavi VGA. Il risultato è una certa strozzatura del cavo stesso, che deve piegarsi piuttosto bruscamente per poter uscire correttamente dalla parte posteriore del piedistallo del Cube. Per ovviare a questo inconveniente, nella confezione originale del Cube veniva fornito uno speciale adattatore VGA-VGA:

cube-vgavga.png

 

Adattatore che, avendo preso il Cube di seconda mano, devo ancora procurarmi.

Una volta aperto il Cube si può apprezzare il classico ordine e la pulizia delle interiora di un prodotto Apple. La RAM è accessibile immediatamente, senza aprire pannelli o togliere viti. Stesso discorso se si vuole aggiungere una scheda AirPort: il suo slot è montato su uno sportellino — si apre lo sportellino, si infila la scheda, si collega l’antenna e si richiude. La scheda logica è sostituibile senza dover smontare tutto il computer. Anche la sostituzione del disco rigido è abbastanza comoda. Aprendo lo sportellino su cui è alloggiata la scheda AirPort, si ha accesso alla parte posteriore del disco, dove si collegano il cavo di alimentazione e il cavo dati (quello solitamente grigio e piatto). Si scollegano i due connettori, si svitano tre viti sul dissipatore di calore, e il disco scivola fuori dalla parte opposta:

cube-hd1.png
cube-hd2.png
cube-hd3.png

 

L’unico problema è lo spazio prevedibilmente ristretto in cui tocca operare. Il connettore di alimentazione del disco rigido è in genere molto duro e resistente (è fatto così anche per evitare disastrosi scollegamenti accidentali). Il manuale suggerisce di aiutarsi con un cacciavite con punta a taglio, per far scivolare lo spinotto di plastica fuori dalla sua sede. È un consiglio da non seguire: è molto facile che, facendo leva, il cacciavite sfugga al controllo e la punta vada a danneggiare il connettore arancione piatto della scheda Airport (nella prima delle tre figure precedenti, è quell’area grigia dietro lo sportello aperto parzialmente coperta dalla freccia nera), oppure che vada a danneggiare uno o più cavetti di alimentazione nelle vicinanze. Io, dopo quasi mezz’ora di bestemmie e pollice e indice doloranti (non c’è nemmeno troppo spazio per tirare, lì dentro), ho fortunatamente trovato una pinzetta delle dimensioni giuste e l’ho usata con successo per estirpare il connettore maledetto.

I due ultimi dettagli di design potenzialmente buono, ma nella pratica non tanto efficace, sono il pulsante di accensione/spegnimento, e la posizione dell’unità ottica. Il primo è bellissimo da vedere e toccare. Non c’è un vero pulsante, ma un sensore: si tiene il dito sull’area designata, e il Cube si accende. Il pulsante si illumina di una bella luce biancastra, che è ancor più bella da vedere quando la macchina è in stop e la luce inizia a pulsare. Quel che fa ammattire è che apparentemente questo sensore è anche sensibile allo spostamento. Se dovete inclinare il Cube o metterlo su un fianco (per esempio per togliere o collegare cavi), il poveretto ‘impazzisce’ ed entra in stop per risvegliarsi subito o, peggio, si spegne per poi riaccendersi. Inutile dire che questo non fa bene al Cube, per cui consiglio di spegnerlo e scollegare la presa di corrente prima di muoverlo. La posizione dell’unità ottica è tale per cui si inseriscono e si tolgono i CD e i DVD verticalmente, proprio come le fette di pane in un tostapane. È facile capire che cosa succede col tempo e se non si ha cura di pulire la feritoia dell’unità slot-loading: quando il Cube tenta di espellere un disco, questi non esce a sufficienza e viene ‘rimangiato’ dal Cube. Bisogna avere i riflessi pronti e pescarlo non appena spunta fuori.

Fine di un esperimento

Quando acquistai il Cube un anno fa, sapevo che le specifiche non erano eccezionali. Come scrivevo a febbraio, la macchina mi arrivava con 256 MB di RAM, 20 GB di disco rigido, e priva di scheda AirPort. Per cui, visto che era destinato a essere una macchina secondaria, e che avrei dovuto installare Mac OS X da zero, colsi l’occasione per un piccolo esperimento: non installare quasi niente al di fuori della dotazione software di Apple — niente plug-in di terze parti, nessuna utility che andasse a modificare il comportamento di certe parti del sistema, e così via. Lo scopo era analizzare empiricamente l’efficacia di una tale configurazione di base, specie sulla distanza. I risultati, dopo quasi un anno, sono eccellenti. Il Cube non ha mai avuto un problema, mai un congelamento, mai un riavvio forzato, mai un’applicazione chiusa inaspettatamente, mai un conflitto. Il tutto con un uso continuato, non troppo pesante ma nemmeno troppo leggero. E il Cube si è sempre dimostrato molto reattivo e scattante, malgrado i ‘pochi’ 256 MB di RAM. Come scrivevo a febbraio, mi ha molto sorpreso la navigazione con Safari, percettibilmente più veloce che su altri Mac con più potenza processore e più RAM. Insomma, il Cube si è dimostrato un vero muletto, e l’ho pian piano aggiornato: prima una scheda AirPort, poi un Griffin iMic, e ora 1,5 GB di RAM e un disco rigido più capiente. Ora che l’esperimento è terminato e mi ritrovo con un Cube più potente, mi sono ripromesso di utilizzarlo ancor di più, magari osando qualche haxie come ShapeShifter, FruitMenu e ClearDock, ma sono aperto a consigli. Se qualcuno utilizza questi software, mi dica pure le sue impressioni sulla loro stabilità o instabilità. Sono tendenzialmente restio a usare simili pasticci sui miei Mac e mi sono sempre trovato bene con la mia linea spartana e conservatrice, ma il Cube è maturo e ha dimostrato di sapersela cavare, quindi perché no? Intanto ho deciso di usarlo come macchina per passare i DVD in formato leggibile da iPod / iPhone (evviva HandBrake) e di importare in iTunes solo i miei dischi preferiti di musica classica, così da creare una libreria differente ed evitare che quella principale diventi troppo elefantiaca.

Java: ti odio, poi ti odio e poi...

Mele e appunti

Uno sfogo veloce: sto facendo un aggiornamento del mio PowerMac G4 Cube, che contempla, fra l’altro, il passaggio a un disco rigido interno più grande. Installato Mac OS X Tiger sul disco nuovo, importato tutto perfettamente con Assistente Migrazione, ora sono alle fasi finali dell’aggiornamento di tutto il software di sistema, e ormai sono passate un paio d’ore fra l’installazione di Mac OS X 10.4.11 Combo, aggiornamenti di sicurezza, QuickTime, iTunes, Safari, DVD Player e, ultimo ma non ultimo, quel maledetto Java. Che invece di fare un’installazione ‘combo’, per così dire (cioè vedendo che la Release 7 è la più recente, scarica e installa solo quella sopra alla versione più datata contenuta in Mac OS X 10.4.0), si mette a installare una release per volta, e sono 80 MB da scaricare, espandere, installare…

Java67.png

 

E il tempo passa…

300

Mele e appunti

No, non è una recensione tardiva del film basato sulla graphic novel di Frank Miller. Nel mio caso i 300 spartani sono dei file di testo che, nel loro attraversamento delle Termopili (da Mac a chiavetta USB) sono stati un interessante oggetto di studio per un benchmark del tutto empirico.

La prima copia avviene da PowerBook G4 a chiavetta USB. Il PowerBook ha porte USB 2.0. I trecento file sono in media da 100 KB l’uno, per un totale di poco più di 30 MB. La copia impiega più di quattro minuti.

La seconda copia avviene da chiavetta USB a iBook G3, che ha una porta USB 1.1. La copia impiega sì e no due minuti. Non essendo certo di quel che ho visto, dopo aver aggiornato alcuni dei file su iBook, faccio nuovamente un trasferimento da iBook a chiavetta, e siamo sempre intorno ai due minuti per la copia.

Insomma, nominalmente la USB 2.0 dovrebbe essere più veloce della USB 1.1, ma quest’ultima si rivela più efficiente quando i file sono molti e di piccole dimensioni. In tutte le altre situazioni non c’è partita. Lo so, ho scoperto l’acqua calda forse, ma era un dettaglio a cui non avevo mai fatto caso ‘sul campo’.

Visto che ho tirato in ballo il film, leggo con interesse nella sezione “Curiosità” dell’Internet Movie database che:

La post-produzione è durata quasi un anno. Il film è stato editato su un Avid, con una parte in HD mantenuta anche in Final Cut Pro. Il 3D è stato realizzato con Maya, XSI e Lightwave. I compositi in 2D sono stati realizzati con Shake, Inferno, Fusion e Combustion. I produttori preferiscono Macintosh, tuttavia ampie sezioni del film sono state create con Linux. La gestione delle risorse è stata effettuata da software scritto appositamente nell’ambiente di sviluppo Panorama, creato da Provue. La gestione del colore è stata effettuata dal software Truelight. Il film è stato scansionato con uno scanner Northlight e registrato su Arrilaser. La maggior parte del film è stata girata ad alta velocità, tra i 50 e i 150 fps (di solito si gira a 24 fps). Il film è stato riversato su nastro HD SR e quicktime, e spezzoni quicktime in HD sono stati la base per le anteprime in HD. La risoluzione è 2K, con un rapporto di formato di 2.11:1 e un rapporto di formato proiettato di 2.39:1.

Un Apple netbook -- ha senso?

Mele e appunti

La notizia dell’ultimo rumour riguardante la possibile apparizione di un ‘netbook’ marcato Apple nei prossimi mesi mi era sfuggita, ma l’ho ricuperata leggendola sul blog di Enrico. Sarei curioso di sapere da dove Gene Munster abbia tirato fuori la sua ‘previsione’, secondo cui Apple introdurrà in primavera un mini-portatile con schermo da 11 pollici e prezzo nella fascia degli 800‑1000 dollari, una sorta di Air più Air del MacBook Air, insomma.

Rimango cocciutamente resistente a questo tipo di voce di corridoio, che altro non è che una versione rimasticata dell’altro famoso rumour, quello che vorrebbe a ogni Macworld Expo e a ogni evento Apple degli ultimi dieci anni la famigerata presentazione del ‘Mac Tablet’, il Sacro Graal dell’immaginario collettivo degli utenti e simpatizzanti Apple.

Potrei prendere una colossale cantonata — e sarei il primo a essere felice di sbagliarmi, mi fa sempre piacere vedere Apple sfornare novità formidabili esteticamente e tecnologicamente — ma continuo a pensare che un netbook Apple (una sorta di mini-portatile nello stile dell’ormai notissimo Asus Eee PC) non abbia molto senso, almeno per ora. Quel che sta dietro alla mia convinzione sono argomentazioni di buonsenso basate sul ‘Cosa’ e sul ‘Perché’.

Il Cosa

Ecco, cerchiamo di immaginare come potrebbe essere questo fantomatico netbook Apple. Un portatile di dimensioni ridotte? Un mini-MacBook con una tastierina compressa, con uno schermo da una decina di pollici, con un processore sottopotenziato per evitare surriscaldamenti e consumi eccessivi, un aggeggio magari in policarbonato come il MacBook bianco per contenere i costi, leggero e più portatile di un portatile? Osserviamo la famiglia di prodotti portatili che Apple offre oggi:

  • MacBook bianco — modello entry-level da 949 Euro
  • MacBook in alluminio unibody in due varianti, una da 1.199 l’altra da 1.499 Euro
  • MacBook Air — a partire da 1.699 Euro
  • MacBook Pro in alluminio unibody — a partire da 1.799 Euro

Aggiungiamoci anche l’iPod touch — a partire da 219 Euro.

Ora, visto che Jobs stesso ha dichiarato che Apple ha degli standard qualitativi tali che non le permettono di costruire un computer da 500 dollari (alla conferenza per discutere i Risultati Finanziari del Quarto Trimestre dell’Anno Fiscale 2008 di Apple, le parole di Jobs furono: Non sappiamo come realizzare un computer da 500 dollari che non sia un ammasso di ferraglia, e il nostro DNA non ci permetterà di produrre un simile coso) mi sembra ragionevole credere che se Apple producesse un netbook, dovrebbe costare almeno 800 dollari, come dice anche Gene Munster. Andiamo quindi a posizionare un mini-portatile da 800 Euro nel già affollato parco laptop Apple e mettiamolo un po’ prima del MacBook bianco. Ditemi voi se avrebbe senso introdurre un netbook che costerebbe 150 Euro meno di un portatile capace e onesto come il MacBook bianco, che ha un buon processore, delle capacità grafiche non eccelse ma rispettabili, che ha una tastiera di dimensioni usabili, che è sufficientemente portatile e che riveste perfettamente il ruolo di ‘macchina da guerra’ da portare on the road. E ha tutte le porte, FireWire compresa. E ha il SuperDrive.

Poi esiste un’altra corrente di pensiero: quelli che opinano che il prossimo, mitico netbook Apple non abbia una tastiera fisica, ma che sia una sorta di grosso iPhone o iPod touch, con la stessa tecnologia e la stessa versione ‘mobile’ di OS X. Che vantaggi avrebbe rispetto a un iPod touch? Lo schermo più grande, una tastiera virtuale più grande e, forse, una memoria flash più capace. Un dispositivo del genere offrirebbe sostanzialmente le stesse cose di un iPhone/iPod touch, solo che lo schermo più grande permetterebbe una maggiore leggibilità dei documenti (gli eBook in special modo) e forse una maggiore comodità di scrittura (tasti virtuali più grandi). Insomma, tutto più comodo e fantastico, no? Beh, no, non è detto.

Passi la maggiore leggibilità data da uno schermo con la densità di quello di iPhone ma grande tre volte tanto, tuttavia bisogna tenere presente che le dimensioni maggiorate potrebbero incidere a sfavore dell’usabilità dell’interfaccia multi-touch. Pensiamo a gestualità come il pizzicare un’immagine o una porzione di testo per ingrandire, ruotare, rimpicciolire: ha senso se la superficie su cui agiamo è sufficientemente ridotta da consentire un gesto comodo con il pollice e l’indice di una mano. All’aumentare delle dimensioni della superficie da toccare, le gestualità diventano più faticose e meno intuitive. Se pensiamo ad altri esempi della vita quotidiana in cui abbiamo a che fare con schermi touch-screen di grosse dimensioni (sportelli bancomat, punti di informazione interattivi), vediamo come l’interazione con l’utente sia limitata alla pressione di tasti e null’altro. Questo perché è faticoso e poco intuitivo offrire un’interfaccia in cui l’utente sia costretto a trascinare puntatori tenendo il dito o le dita sullo schermo. Discorso analogo per la tastiera virtuale: sarebbe più grande di quella di iPhone, e si è portati a credere che questo sia automaticamente più comodo. Il problema è impugnare il dispositivo mentre si scrive. Con iPhone, la tastiera è sì piccola (specie in posizione verticale), ma è possibile impugnare saldamente iPhone con l’altra mano: questo offre un’indubbia stabilità e contribuisce indirettamente alla praticità di scrittura. Un fantomatico netbook fatto come un grosso iPhone, come lo si regge mentre si scrive? Con uno schermo da 9 pollici, mettiamo, diventerebbe scomodo da sostenere con una mano mentre si scrive con l’altra, perché il dispositivo sarebbe troppo grosso e meno maneggevole. Si dovrebbe poterlo appoggiare in grembo, ma sarebbe troppo piccolo. La condizione migliore sarebbe su un piano di appoggio come un tavolo, per scrivere comodamente con due mani, ma la portabilità andrebbe a farsi benedire, per non parlare di quanto sarebbe scomodo non poter inclinare il dispositivo e scrivere tenendolo piatto sulla superficie di appoggio. E questa è solo la punta dell’iceberg delle problematiche legate al ripensamento di un’interfaccia utente che non potrebbe essere identica a quella di iPhone per ragioni squisitamente strutturali.

Riassumendo: se ipotizziamo un netbook Apple come mini-portatile, il problema sarebbe il posizionamento nella linea attuale di prodotti, e avremmo un dispositivo che per questioni di prezzo e funzionalità non farebbe altro che spingere le vendite dei MacBook, perché risulterebbero troppo convenienti e uscirebbero sempre vincenti dal confronto diretto con il netbook. L’utente Mac preferisce spendere un po’ di più per avere di più, fatto confermato dalla recente notizia secondo cui Apple starebbe vendendo più MacBook unibody rispetto ai MacBook bianchi, malgrado gli unibody costino di più.

Se ipotizziamo un netbook Apple come ‘maxi-iPod-touch’, il problema sarebbe di nuovo il posizionamento nella linea di prodotti portatili. Avremmo un dispositivo che per questioni di prezzo e funzionalità non farebbe altro che orientare la gente più verso iPhone e iPod touch — se abbiamo un dispositivo che sostanzialmente fa quello che fa un iPod touch, meglio il touch, che almeno sta nel taschino.

Il Perché

Perché Apple dovrebbe produrre un netbook? Un netbook nasce essenzialmente come computer ultra-portatile ideale per una leggera navigazione Web, per la posta elettronica, la semplice gestione di qualche documento e delle foto, ma proprio le ridotte dimensioni di schermo e tastiera, unite alla ridotta potenza del processore, lo rendono inadatto a compiti più complessi e strutturati (non che non siano fattibili, ma a scapito di comodità, praticità e velocità).

Sempre alla conferenza sui risultati finanziari di Apple nel quarto trimestre, Jobs, interpellato direttamente sul tema netbook, ha detto:

Per quanto riguarda la categoria dei NetBook, si tratta di una categoria nascente. A quanto ci è dato vedere, non ci sembra che se ne stiano vendendo in grandi quantità. Se vogliamo, uno dei nostri partecipanti in quella categoria è iPhone, almeno per quanto riguarda la navigazione Web, la gestione delle email, e tutte le altre cose che un NetBook permette di fare, più l’essere collegati alla rete cellulare ovunque ci si trovi — iPhone è un’ottima soluzione in questo senso, e in più sta nel taschino. Ma aspetteremo di vedere come si evolve questa categoria nascente, e abbiamo alcune idee decisamente interessanti da proporre in caso si evolva sul serio.

Insomma, c’è già iPhone a coprire una buona serie di funzionalità che offre un netbook. Un netbook, che lo si veda come mini-portatile o maxi-iPhone, a me sembra per il momento del tutto superfluo nella gamma di prodotti Apple. In qualsiasi posto vogliamo inserirlo, finirebbe per interferire con gli altri Mac da una parte e con la piattaforma iPhone dall’altra.

Da un punto di vista meramente strategico, inoltre, questo netbook Apple sarebbe piuttosto debole. Un utente Mac che già possiede un MacBook e un iPhone o iPod touch spenderebbe 800 Euro per un dispositivo che, in un modo o nell’altro, non farebbe nulla in più di quanto già non facciano il suo iPhone e il suo MacBook? E questo fantomatico netbook sarebbe efficace nel portare altri utenti PC verso la piattaforma Mac? Non molto, perché a 800 Euro non sarebbe una macchina competitiva nella categoria di mercato in cui si inserirebbe, visto che una delle caratteristiche principali di tale categoria è proprio l’economicità.

Apple avrebbe potuto inserirsi all’epoca del lancio del MacBook Air, invece ha prodotto il MacBook Air, che ha seguito un approccio completamente diverso per raggiungere la portabilità, e lo si è detto più volte. Invece di sacrificare le dimensioni dello schermo e della tastiera, per non parlare della qualità dei materiali, Apple ha scelto un compromesso differente, eliminando connessioni cablate ed eliminando zavorra, creando un computer unico nel suo genere, incentrato sul wireless, di potenza e prestazioni ragguardevoli considerati i limiti (e il MacBook Air rinnovato a ottobre è ancora meglio) e non sacrificando tastiera né schermo. Il risultato è un Mac molto portatile, molto leggero, molto robusto, e di ottima qualità.

Altro fattore da considerare è, se vogliamo, la cultura. Se posso dirlo fuori dai denti, il segmento dei netbook è stato creato dai costruttori di PC che non sapevano più cosa inventarsi per vendere i loro catorci di plastica. Come ha già fatto puntualmente notare John Gruber:

Gli altri produttori di computer lottano ferocemente fra loro puntando tutto sul prezzo perché è l’unico fattore sul quale possano differenziarsi. Pochi di loro si impegnano a creare computer migliori: la maggior parte di essi si limita ad avvolgere le schede madri con i processori Intel in involucri di scarsa qualità e tutt’altro che accattivanti (due fra le eccezioni più eminenti: Sony e Lenovo). Nessuno di essi è in grado di offrire software migliore, perché tutti vengono venduti con la stessa versione di Windows. Tutti sembrano per qualche motivo incapaci di produrre delle campagne pubblicitarie e del marketing ai livelli di Apple. E, fra quelli di loro che ci hanno provato, nessuno è stato in grado di indovinare la formula vincente per una catena di negozi dedicata. Il prezzo è tutto quel che rimane loro.

I netbook non hanno pressoché nulla di innovativo: i produttori di PC hanno puntato sulle dimensioni contenute per vendere prodotti mediocri (nel senso letterale del termine: né tremendamente schifosi, né qualitativamente eccelsi), e hanno avuto un tiepido successo di pubblico. Apple non ha bisogno di scendere a questo livello per vendere più hardware. Come ha detto Jobs, ci sono utenze e mercati ai quali Apple decide di non rivolgersi. E a quanto mi è dato vedere, va bene così. Apple non è nemmeno presente nel mercato delle console di videogiochi, per dire.

Detto questo…

…Si possono fare comunque delle ipotesi educate. Un interessante punto di ingresso di un possibile nuovo dispositivo portatile Apple può essere proprio quello attualmente occupato dal MacBook bianco. Se un domani Apple decidesse di toglierlo di mezzo come prodotto entry-level, ecco che si libererebbe una posizione assolutamente adatta a introdurre un portatile un po’ più economico del MacBook unibody e magari anche più piccolo. Malgrado l’introduzione dei nuovi MacBook in alluminio, il MacBook bianco non è uscito di scena, sebbene sia un prodotto che sembra ormai arrivato alla fine del suo ciclo di produzione. Io ho l’impressione che sia così per ‘tappare un buco’ momentaneo. Nel momento in cui avesse senso sfornare un mini-portatile, si toglie il MacBook bianco e… voilà.

Un’altra interessante possibilità (anche se più remota) sarebbe davvero un dispositivo come l’iPod touch ma più grande e con tecnologia multi-touch. E ci sarebbe anche un sistema per evitare che questo maxi-iPod touch andasse a interferire con iPhone e iPod touch, e cioè che Apple eliminasse iPod touch del tutto inserendo un prodotto multi-touch più grande di un iPhone ma più piccolo di un MacBook, come punto medio fra le due piattaforme. In questo modo chi vuole il touch-screen e la portabilità estrema sceglierebbe iPhone, chi vuole un portatile con grande schermo, tastiera di dimensioni normali, e prestazioni da computer da scrivania si prenderebbe un MacBook; e poi ci sarebbe questo dispositivo medio, ottimo per gli eBook, per il Web e la posta, ottimo per scrivere lettere e fogli di calcolo, per vedere foto, ecc. che sarebbe unico nel suo genere, non interferirebbe né con iPhone, né con i portatili, e avrebbe sicuramente quel misto di innovazione tecnologica e di design tali da permettergli di entrare nel mercato dei netbook e rivoluzionarlo in pieno stile Apple. Ma queste ovviamente sono tutte congetture: lasciamole agli analisti e ai siti di rumour, che sono dei professionisti…

Con la tastiera supplente

Mele e appunti

Ieri le pile della mia Apple Wireless Keyboard si sono scaricate definitivamente. In questa tastiera e nel Mighty Mouse solitamente uso delle pile NiMH ricaricabili da 2300–2500 mAh, e tengo delle alcaline di scorta che butto dentro mentre le ricaricabili si ricaricano. Stavolta, non avendo alcaline sottomano, e dato che ormai la vecchia Apple USB Keyboard del defunto iMac G3 è permanentemente collegata al PowerMac G4 Cube, ho deciso di optare per una soluzione alternativa: riesumare la ancor più vecchia Apple Extended Keyboard II e collegarla al PowerBook G4 mediante quella piccola grande cosa che è il Griffin iMate, un adattatore ADB-USB per collegare appunto le vecchie periferiche ADB (tastiere, mouse, trackball, tavolette grafiche…) ai Mac più moderni attraverso la porta USB.

Un excursus sull’iMate — Avevo adocchiato questo oggettino qualche anno fa a Milano, ma il prezzo era allora piuttosto alto (sui 60 Euro) e avevo appena sborsato un centinaio di Euro per il Keyspan Twin Serial Adapter (che permette di avere due vecchie porte seriali Mini-DIN8 sui Mac più moderni per esempio per collegarci vecchie stampanti StyleWriter o LaserWriter, o il Newton), per cui decisi di lasciar perdere. Avanti veloce fino al mese scorso, quando di passaggio alla FNAC di Valencia ne vidi un paio in offerta a 29 Euro, ma ero di fretta e mi ripromisi di tornare dopo il finesettimana per acquistarne uno. Ovviamente, di ritorno il lunedì successivo, i due iMate erano spariti. Mi son detto: diamo un’occhiata online. Sul sito di Griffin, se andate alla pagina dell’iMate, potete vedere che il prezzo non è poi tanto male: 39 dollari al cambio attuale sono meno di 17 Euro. Il problema è che arrivando in fondo alla procedura di acquisto si scopre che Griffin spedisce fuori dagli USA con corriere UPS e i costi di spedizione superano i 70 dollari, che aggiunti ai 39 del prodotto fanno circa 110 dollari (47 Euro). Lascio perdere Griffin e passo a eBay, dove trovo un negozio in Spagna che mi invierebbe un iMate per 27 Euro spese di spedizione incluse. “Bene”, mi son detto, “domani lo compro”. Quel giorno stesso ripasso dalla FNAC e con mia grande sorpresa vedo che in un cesto con dei prodotti di informatica in offerta c’è proprio un iMate a 7,95 Euro, forse l’ultimo fondo di magazzino. Lo prendo al volo, vado a pagarlo e — altra sorpresa — la cassa applica un ulteriore sconto al prodotto (leggendo lo scontrino sembrerebbe si tratti di punti non spesi sulla mia tessera socio) e mi porto via l’iMate per 0,79 Euro. Sul retro della confezione c’è ancora l’etichetta col prezzo originale, 52,90 Euro. Pazzesco. Per una volta mi è andata bene.

Tornando alla tastiera… Non la ricordavo così buona. Mi ero subito abituato alla Apple USB Keyboard dell’iMac G3 prima e alla wireless poi, e le avevo trovate entrambe discrete. Il primo amore non si scorda mai, e in questo caso si trattava di una tastiera per PC, totalmente meccanica, che mi era stata venduta insieme al primo PC 386 assemblato. Il ritorno dei tasti era eccezionale, e il rumore paragonabile a una macchina da scrivere manuale (la mia Olivetti ETP 56 era più silenziosa), ma permetteva una velocità e una precisione formidabili, e il feeling sotto le dita senza paragone. Passando a Mac, le due tastiere su cui misi di più le mani furono la Apple Keyboard II e la Apple Design Keyboard, che erano discrete, un po’ più silenziose, ma il ritorno dei tasti era meno scattante, per così dire, e bisognava battere i tasti con più forza; questo naturalmente finiva con l’incidere sulla velocità e notavo anche un maggior numero di errori di battitura.

Beh, è da ieri che sto scrivendo con la Extended Keyboard II ed è un altro pianeta rispetto alle altre, forse a tutte le altre tastiere Apple. I tasti sono al tempo stesso morbidi e scattanti, per cui la tastiera non è rumorosa come una IBM ma non è nemmeno ‘affogata’ come altre tastiere ADB e USB Apple. Se non fosse per il layout leggermente diverso (ormai sono abituato al cosiddetto Italiano Pro, che è QWERTY e non QZERTY e non è necessario premere Shift per ottenere i numeri della fila superiore di tasti) e per la comodità del Bluetooth, che mi libera la porta USB, probabilmente rimarrei con questa tastiera. Potrei acquistare un hub USB ma ci sono già troppi cavi e troppi accrocchi sulla mia scrivania — per un hub USB non c’è spazio.

Le tastiere peggiori che ho utilizzato su macchine Apple sono quella del PowerBook Duo 280, e in minor misura quella del PowerBook 5300, la prima troppo dura e ‘impastata’, la seconda usabile, ma con uno strano ritorno dei tasti, che la fa sentire fragile sotto le mani. Sempre stando sui portatili, l’esperienza migliore è con quella del mio iBook G3 clamshell ultima serie (466 MHz special edition con porta FireWire) su cui si scrive che è un piacere, e credo aiuti molto il design stesso dell’iBook, che permette un appoggio perfetto dei polsi e si è in grado di scrivere molto bene anche tenendo l’iBook sulle ginocchia.

In genere mi abituo facilmente a nuove tastiere, e non ho notato grossi problemi utilizzando quella dei PowerBook G4 Titanium e Aluminium, e nemmeno le nuove tastiere piatte in alluminio (sia USB che wireless), ma tornare alla vecchia Extended Keyboard è stata una piccola rivelazione. Se penso che l’avevo quasi sempre snobbata per le maggiori dimensioni e il peso (è senza dubbio una delle tastiere Apple più ‘importanti’ in questo senso).

Qual è la vostra tastiera preferita? Non dev’essere necessariamente Apple; sarebbe interessante fare confronti e scambiarsi opinioni.

Ah, e per chi non riesce a staccare le mani dalla tastiera, segnalo Keyboardr, un sito che aiuterà sicuramente con le ricerche in rete… senza usare mouse o trackpad. (Piacerà a Lucio di sicuro).