Aggiornamento benefico

Mele e appunti

Stamattina ho effettuato l’aggiornamento a Mac OS X 10.5.6, e devo dire che alcuni cambiamenti sono percepibili.

  1. I problemi grafici che sul mio sistema avevano iniziato a presentarsi con l’aggiornamento 10.5.2 e l’Aggiornamento del Sistema Grafico di Leopard (si veda questo vecchio post a riguardo), nonché certi fastidiosi ‘disturbi a video’ — non saprei come altro chiamarli, appaiono come residui di pixel a seguito di aperture di finestre del browser, passaggi da una scrivania all’altra con Spaces, chiusura di applicazioni che avevano una finestra a tutto schermo, ecc. — sembrano essere definitivamente spariti. Meglio tardi che mai.
  2. AirPort sembra tornato a fare giudizio. Ora il segnale appare più stabile, e la connessione wireless sembra meno propensa a rimanere in stallo per una manciata di secondi come accadeva prima. E ora torna a collegarsi automaticamente alla rete domestica quando risveglio il PowerBook dallo stop o dopo un riavvio. E si ricorda le altre reti che ho stabilito nelle preferenze AirPort.
  3. Migliorie evidenti anche in ambito Bluetooth. In tempi recenti, non ricordo se dopo un aggiornamento minore come il 10.5.4 o il 10.5.5, la tastiera e il Mighty Mouse (entrambi wireless) sembravano perdere la connessione un po’ troppo spesso. Dopo qualche minuto di inattività il puntatore del mouse non si risvegliava, oppure la tastiera smetteva di rispondere di punto in bianco (sì, anche con le batterie cariche) e l’unica cosa da fare era disattivare il Bluetooth per poi riattivarlo. C’erano giorni che lo scherzetto capitava anche per tre-quattro volte. Ed è successo anche stamattina. Dopo l’aggiornamento, tutto sembra a posto.
  4. Front Row rimane il solito mistero. Avendo letto che l’aggiornamento 10.5.6 andava a toccare anche la parte grafica, dopo aver aggiornato ho subito provato a entrare in Front Row. Il menu principale è apparso quasi immediatamente e appariva più reattivo del solito. Entrato in “Filmati”, la situazione è presto precipitata nell’inusabilità più totale: si vedeva solo l’icona in alto, il resto tutto nero, e per uscire da Front Row ho dovuto premere Esc almeno una dozzina di volte. Ormai è causa persa.
  5. Curiosamente, invece, l’interfaccia grafica di Time Machine è migliorata in quanto a reattività. Negli ultimi tempi aveva lasciato parecchio a desiderare (si veda quanto scrivevo al punto 2 di questo post del 26 ottobre scorso), al punto di essere preoccupato in caso di ricupero di uno o più file da vecchi backup, perché che senso ha avere un sistema di backup facile e funzionante, se poi la macchina mi si pianta quando cerco di tornare indietro nel tempo? (Lo so, non è una DeLorean). Invece adesso va molto meglio, come ai tempi di 10.5.0. E ho pure ripristinato 4 file che credevo perduti (erano nel backup di giugno, prima di spostarli nel disco esterno LaCie che poi ha fatto i capricci).

Queste le prime impressioni, decisamente positive. Se avete qualcosa da segnalare su come si è comportato l’aggiornamento Mac OS X 10.5.6 sul vostro sistema, nel bene e nel male, fate sapere.

Un rumour d'annata e ancora sui netbook

Mele e appunti

Le riviste di informatica in forma cartacea saranno anche al tramonto, ma sfogliando vecchi numeri di 10–15 anni fa si incontrano spesso articoli interessanti, che oggi acquisiscono un piccolo valore aggiunto — quello della retrospettiva.

In quest’ottica, non posso fare a meno di riportare un pezzo apparso sul numero di maggio 1998 di MacFormat UK, a pagina 14, che apre la sezione delle News. Titolo: Nuovi Mac palmari per il 1999, dopo la decisione di Apple di terminare il Newton.

L’incipit dell’articolo è assai intrigante:

Apple intende lanciare un Mac portatile a basso costo il prossimo anno, così da offrire a milioni di utenti Mac un’opzione più economica di Mac on the road. Purtroppo la conferma di questi piani è contemporanea all’annuncio che l’azienda non svilupperà più il sistema operativo Newton, utilizzato negli attuali dispositivi palmari e portatili come il MessagePad e l’eMate.

Fred Anderson, Chief Financial Officer di Apple, ha descritto così il prossimo prodotto: “un portatile entry-level a basso costo”, ma non ha offerto una data di rilascio precisa, ha solo detto “agli inizi del 1999”. Si è inoltre rifiutato di specificare quali funzionalità e quale prezzo ci si deve aspettare dal nuovo dispositivo, tuttavia ha ammesso che i piani che Apple ha in serbo per tale dispositivo sono una delle ragioni che spiegano l’improvviso riassorbimento della divisione Newton dopo l’iniziale separazione e creazione di un gruppo indipendente. “Non abbiamo venduto [Newton Inc.] perché avevamo bisogno di alcuni ingegneri del gruppo Newton. Crediamo che la tecnologia Newton sia di grande valore per Apple”.

Alcune delle caratteristiche distintive del Newton sono la capacità di accettare input da uno stilo che viene usato direttamente su uno schermo, e il riconoscimento della scrittura. Apple sta valutando ciò che può sfruttare in futuro, ha confermato Phil Schiller, vice-presidente del Product Marketing: “Abbiamo intenzione di integrare le tecnologie che ha senso utilizzare nella realizzazione di un Macintosh portatile a basso costo”.

Adesso, a distanza di dieci anni, sappiamo che quel portatile a basso costo fu il primo iBook G3 clamshell, introdotto nel luglio 1999. Il prezzo iniziale era di 1.599 dollari, quindi il ‘basso costo’ è un concetto assai relativo e va visto nell’ottica di un prodotto Apple del 1999.

Anche le didascalie alle figure che accompagnano l’articolo erano promettenti. Accanto alla foto di un eMate 300 si legge: I sistemi Newton come l’eMate stanno per scomparire, ma il design dell’eMate potrebbe riemergere come un nuovo dispositivo Mac leggero e portatile. L’eMate e il primo iBook, da un punto di vista di disegno esteriore, sono indubbiamente parenti stretti (nella pagina della Wikipedia inglese dedicata all’eMate c’è anche una foto dell’iBook, così da poter fare un rapido confronto). Sotto la foto di un MessagePad 130 si legge: Apple sta forse pensando di introdurre un Mac piccolo come il MessagePad? L’azienda non ha rivelato molti dettagli, ma intende lanciare un dispositivo Mac di dimensioni ridotte agli inizi del 1999.

La cosa interessante di questo articolo è il fatto che si sia iniziato a parlare di un possibile successore del Newton immediatamente dopo la cessata produzione del Newton stesso e che, in un certo qual modo, fu Apple stessa a spargere la voce, accennando a un nuovo Mac portatile a basso costo. Si può notare anche la diversa modalità delle pubbliche relazioni della Apple del 1998, che nel primo semestre dell’anno si sbottonava al punto di annunciare (seppur non definendo i dettagli) che cosa avrebbe prodotto l’anno successivo — una strategia impensabile per la Apple di oggi.

Inoltre val la pena notare come il primo iBook, a parte l’idea della forma e della chiusura ‘a conchiglia’ derivata dall’eMate, non incorporasse nessuna delle tecnologie caratteristiche del Newton. Per ritrovare il riconoscimento della scrittura bisogna attendere il 2002, con Inkwell, incluso in Mac OS X 10.2 Jaguar. Per ritrovare un dispositivo tascabile con touch-screen e con funzioni da PDA dobbiamo attendere il 2007, con l’avvento di iPhone.

Introduzione dell’iBook a parte, il rumour secondo cui Apple introdurrà un dispositivo Mac ultra-portatile è rimasto, è durato una decina d’anni e continua a durare oggi, visto che nuova benzina sul fuoco arriva da questo mercato dei netbook, apparentemente in crescita.

A questo proposito, forse avrete letto la notizia secondo cui le vendite dei netbook avrebbero superato quelle degli iPhone. Io ho letto questo articolo di PC World riportato su Macworld.com. Però, come fa giustamente notare anche The Macalope, intanto si dice che le vendite di tutti i netbook messi insieme avrebbero superato quelle di iPhone, che è un solo prodotto. E poi, guardando quei dati più da vicino, pare che Gartner abbia riportato le vendite di iPhone a 4,7 milioni di unità per il terzo trimestre del 2008, mentre secondo Apple sono 7 milioni gli iPhone venduti. Gartner spiega:

Apple regained its No. 3 position in the global smartphone market and improved its market share to 12.9 per cent in the third quarter of 2008. Apple’s shipments into the channel during the third quarter of 2008 approached 7 million units. However, Apple built up around 2 million units of inventory and Gartner’s sales unit estimate reflects this.

Apple ha riconquistato la terza posizione nel mercato globale degli smartphone e ha migliorato la sua quota di mercato arrivando al 12,9% nel terzo trimestre del 2008. Le spedizioni in questo canale durante il terzo trimestre del 2008 hanno raggiunto i 7 milioni di unità. Tuttavia [di questi 7 milioni] Apple ha accumulato 2 milioni di giacenze di magazzino e le stime di vendita di Gartner riflettono questo dato.

Gartner quindi insinua che la cifra di 7 milioni di unità vendute possa essere ‘gonfiata’. The Macalope: Può anche darsi, ma DisplaySearch, che ha fornito le cifre di vendita dei netbook, ha tenuto conto di eventuali rimanenze di magazzino che possano analogamente gonfiare i dati di vendita? Difficile dirlo, ma pare che nell’articolo si parli solo di ‘spedizioni’ (shipments).

L’interesse verso i netbook pare ci sia, comunque. Dico ‘pare’ dal feedback che ho ricevuto, sul blog e fuori, dopo aver scritto l’articolo Un Apple netbook — ha senso?. Da quel che ho potuto vedere nei negozi di informatica, che adesso hanno allestito un’area tutta dedicata a questi aggeggini plasticosi e raramente eleganti, la gente si sofferma molto di più sui portatili di normali dimensioni e soprattutto ama stazionare alle ‘isole’ con i Mac in esposizione. La chiave di tutto il discorso, lo ribadisco, è vedere se abbia senso per Apple produrre un netbook. Non è, come ho già detto, che Apple non sia in grado di tirar fuori un mini-portatile. È che i suoi standard qualitativi non le permetterebbero di produrre un oggetto da 200 Euro. E se Apple producesse un netbook da 500–600 Euro, siamo davvero certi che ne venderebbe in quantità? A mio avviso, l’unico ingresso sensato nel settore netbook per Apple sarebbe introducendo un prodotto simile nel form factor ma con elementi di innovazione che renderebbero il dispositivo sufficientemente diverso e interessante, e a quel punto uno potrebbe voler spendere 500–600 Euro invece di buttarne la metà comprando un Asus et similia.

Di quelle tecnologie e caratteristiche distintive del Newton mi piacerebbe rivedere un riconoscimento della scrittura potenziato, che permetta la scrittura ‘naturale’ di documenti ed email, e soprattutto una durata delle batterie altrettanto invidiabile (il MessagePad 2000/2100, con quattro pile alcaline e senza abusare della retroilluminazione, dura intere settimane). Mentre per le mie esigenze mobili credo mi basterebbe una mini-tastiera Bluetooth da accoppiare all’iPhone.

La lettera aperta di Hockenberry a Steve Jobs

Mele e appunti

Ringtone apps: È di pochi giorni fa questa lettera aperta a Steve Jobs scritta da Craig Hockenberry, sviluppatore di note applicazioni per Mac e iPhone (Twitterrific e Frenzic, per esempio). Il succo del messaggio di Hockenberry a Jobs e ad Apple in generale è che, secondo Hockenberry, la miriade di applicazioni da 99 centesimi di dollaro (79 centesimi di Euro) presenti sull’App Store — quelle che lui chiama ‘ringtone apps’ — stiano compromettendo lo sviluppo di applicazioni più elaborate per la piattaforma iPhone, che richiedono più tempo per lo sviluppo, quindi un maggiore investimento di denaro, quindi un prezzo finale più elevato, quindi un rischio maggiore per lo sviluppatore indie medio (con ‘sviluppatore’ si intende sia una persona sola che un’entità composta da un piccolo gruppo di sviluppatori).

Vediamo i punti salienti della lettera di Hockenberry, nonché le mie perplessità a riguardo.

Caro Steve,

In qualità di sviluppatore iPhone presente sull’App Store sin dal suo lancio, sto cominciando a notare una tendenza per me preoccupante: molti sviluppatori stanno abbassando i prezzi al livello più basso possibile in modo da ottenere una posizione favorevole in iTunes. Questa proliferazione di “ringtone apps” da 99 centesimi sta avendo un impatto negativo sullo sviluppo dei nostri prodotti.

Entrambi i nostri prodotti, Frenzic e Twitterrific, hanno avuto un gran successo nell’App Store. Frenzic si trova al momento nella sezione “What’s Hot” e Twitterrific compare fra i primi posti delle applicazioni più vendute, sia gratis che a pagamento, per il 2008. Abbiamo anche vinto un ADA alla WWDC di quest’anno. Non è stato facile, ma abbiamo imparato che cosa serve per realizzare un prodotto eccellente per iPhone.

Il problema, ora, è di finanziare quei prodotti. 

Hockenberry prosegue dicendo che il suo team ha un sacco di idee per nuove applicazioni, ma preferiscono concentrarsi sulle più semplici, su prodotti da 99 centesimi che hanno vita relativamente corta e un target più allargato. Poi si mette a fare quattro conti su quanto può costare una nuova applicazione per iPhone e parla della stima dei rischi che sempre precede la realizzazione del progetto:

Sia gli sviluppatori che i designer costano all’incirca 150–200 dollari l’ora [Breve inciso personale: se mi facessi pagare 100–150 Euro l’ora per il mio lavoro — una cifra ragionevole per certi progetti di traduzione/revisione, e ragionevole in generale per sopravvivere in questo caro (leggi: costoso) mondo — probabilmente farei la fame. Fine dell’inciso]. Per un progetto di tre mesi-uomo, diciamo che i costi di sviluppo arrivano sugli 80.000 dollari. Per finire in pari dovremmo vendere 115.000 copie dell’applicazione. Una cosa non impossibile con un’idea buona di base e qualche settimana bene in vista su iTunes.

Ma che succede quando iniziamo a considerare progetti più articolati, che necessitano di 6 o anche 9 mesi-uomo? I costi di sviluppo salgono a 150.000 e 225.000 dollari rispettivamente, con la necessità di vendere 215.000 e 322.000 copie dell’applicazione per chiudere in pari. A meno di avere un titolo caldissimo, vendere 10–15.000 copie al giorno su un arco di alcune settimane è improbabile. Il rischio è troppo alto.

Aumentare il prezzo per coprire in parte quei costi rende difficile l’ascesa alle vette delle classifiche [delle applicazioni più vendute] (si è in competizione con moltissimi altri titoli della fascia più economica). Bisogna anche tener conto del fatto che la propria applicazione viene pubblicizzata per un periodo piuttosto breve, pertanto il grosso dei profitti deve arrivare durante il periodo promozionale, in cui l’applicazione è più in vista.

Di qui la nostra scelta per applicazioni semplici e a basso costo invece di prodotti complessi e costosi. Non è la strada che preferiamo, ma è quella fiscalmente più responsabile.

Fin qui direi che non ci sia granché da eccepire. Un poco più avanti, però, Hockenberry aggiunge:

La competizione non ci spaventa, anzi è per noi lo stimolo a migliorare i nostri prodotti e il nostro business. Ciò in cui speriamo è un modo per mostrarci superiori alla concorrenza quando facciamo bene il nostro lavoro, non solo quando offriamo il prezzo più basso.

Ma questo è compito dello sviluppatore, a mio giudizio, non dell’App Store. Ma ci torno su dopo. Hockenberry cerca di comprendere quali siano le ragioni di questa corsa ai 99 centesimi da parte degli altri sviluppatori:

Da quel che mi è dato vedere, è perché la gente compra i nostri prodotti a scatola chiusa. Vedo molti utenti lamentarsi di quanto sia “costosa” un’applicazione da 4,99 dollari, e che dovrebbe costare meno. […] L’unica giustificazione che posso trovare per un tale atteggiamento è che per valutare la qualità di un prodotto si ha spesso a disposizione solo una schermata di esempio dell’applicazione. E ci si può permettere di buttare via un dollaro per un’applicazione che sembra buona vista su iTunes ma che delude una volta installata.

I nostri prodotti sono una bellezza da usare: come ben sai, Steve, i clienti sono disposti a pagare un extra di fronte a un prodotto di qualità. Tale qualità si ottiene a un costo, che abbiamo intenzione di sostenere. Il problema è far capire alla gente che il nostro prodotto da 2,99 dollari vale davvero tre volte il prezzo di un software-spazzatura da 99 centesimi.

Hockenberry conclude:

Inoltre temo che questo livello di prezzo per le applicazioni possa limitare l’innovazione per questa piattaforma. Certo, applicazioni come Ocarina e Koi Pond sono molto belle e costano assai poco, ma quando vedremo l’utilità della piattaforma portata a un livello superiore, come quando sull’Apple ][ arrivarono i primi fogli di calcolo, e il desktop publishing apparve sul Macintosh? […]

Sarebbe bello che la killer app per iPhone costasse 99 centesimi, ma considerando le cifre viste prima, non mi sembra molto probabile.

Dove voglia arrivare Hockenberry con questo messaggio mi è chiaro fino a un certo punto. Mi pare evidente che il modello attuale dell’App Store non gli piaccia più di tanto. Dan Moren, nel suo articolo su Macworld.com sostiene che Hockenberry non stia facendo un discorso personale, ma che in sostanza parli in generale per tutti quegli sviluppatori indipendenti capaci di sfornare applicazioni di qualità per iPhone ma atterriti dai rischi intrinseci all’intraprendere uno sviluppo più complesso e più costoso.

Solo che a una prima lettura — e anche a una seconda lettura — della lettera aperta di Hockenberry, l’idea che uno si fa del suo messaggio è che si tratti sostanzialmente di un goffo appello a Steve Jobs affinché Apple gli risolva un problema che, a mio vedere, è tutto suo e degli sviluppatori della sua specie. Hockenberry scaglia il sasso e ritira la mano: si lamenta cioè di una situazione a lui sfavorevole ma non propone esplicitamente delle soluzioni. E a me non sta bene. Le soluzioni a cui sembra alludere (facendo uso di sottile retorica — almeno questa è la mia interpretazione) riguardano la possibilità di poter far provare le applicazioni agli utenti (con il sistema della versione trial, di prova, tanto usato nell’ambito dello shareware) in modo che si rendano conto della qualità — e fin qui d’accordo — ma anche di trovare un modo per cui Hockenberry & C. possano investire tempo e risorse per la creazione di applicazioni davvero innovative senza correre rischi. Se questo è il punto di Hockenberry, a me sembra una sciocchezza.

Io la vedo così. App Store non sarà un ecosistema perfetto, ma per come è attualmente congegnato possiamo dire che garantisca una certa democrazia e uguaglianza. Le nuove entrate, che siano applicazioni da 79 centesimi di Euro o da 2,59 Euro o da 7,99 Euro o ancor più care, hanno tutte la stessa promozione e lo stesso tempo di permanenza in vetrina. Poi la differenza la fanno in gran parte gli acquisti. Certo, a scatola chiusa uno è più propenso a spendere 0,79 Euro che 4,99, e quindi è più facile che un’applicazione a basso costo scali le vette della classifica per un mero discorso di quantità e non di qualità. Ma è proprio di fronte a questa situazione che uno sviluppatore — se è cosciente del suo potenziale e della qualità della sua applicazione — deve investire energie e risorse per promuovere l’applicazione anche e soprattutto al di fuori dell’App Store. Il mettersi a criticare il modello economico dell’App Store perché non viene incontro alle esigenze e non risolve i problemi promozionali di uno sviluppatore, è una posizione troppo comoda.

Sono sempre dell’idea che se qualcosa è di qualità, e viene efficacemente pubblicizzato, questo alla fine paga. Molte delle applicazioni che ho comprato per il mio iPhone costano più di 79 centesimi di Euro, e quasi nessuna di esse è stata trovata per caso navigando nell’App Store (che è un disastro da questo punto di vista). Il più delle volte è stata una segnalazione autorevole, una recensione, il frutto di un passaparola fra fonti fidate — e ho comprato sapendo già prima che l’applicazione difficilmente mi avrebbe deluso (vedi AirSharing, Briefcase, Tuner, CameraBag, PCalc, Deep Green, Evernote, Dice, Exposure, AP Mobile News, Remote, Classics, ecc.). Ho atteso di leggere qualche recensione prima di avventurarmi nell’acquisto di un dizionario inglese monolingua — ce ne sono diversi, e i grandi nomi come Oxford, Merriam-Webster, American Heritage, Collins viaggiano più o meno tutti sui 20 Euro. Dopo aver visto alcune critiche comparative, l’American Heritage (23,99 Euro) sembra essere il migliore. Sicuramente lo sceglierò a scapito di tanti altri dizionarietti da 3–5 Euro. E il suo periodo di esposizione in vetrina è già passato da un pezzo.

Gli sviluppatori come Hockenberry hanno tanti modi per far conoscere i frutti del proprio lavoro: i loro siti Web, i loro blog, il loro chiacchiericcio su Twitter, le raccomandazioni dei loro amici e dei loro pari, che a loro volta hanno siti Web e blog e chiacchierano su Twitter. Se è necessario far provare un’applicazione si può ricorrere a un sistema che già molti sfruttano: mettere una versione ‘Lite’ dell’applicazione, ovvero con un sottogruppo di funzionalità rispetto alla versione ‘Full’ o ‘Deluxe’, ma sufficienti a dare un’idea dell’utilità e della qualità dell’applicazione. Se non bastano le schermate d’esempio fornite da iTunes, lo sviluppatore (come ho già visto fare) può pubblicare un video dimostrativo sul suo sito/blog.

Il messaggio di Hockenberry, messo giù così, fa sembrare la sua posizione un tantino contraddittoria. Da un lato egli trasmette un’immagine molto sicura di sé, e sembra suggerire che lui e il suo team siano certamente in grado di cimentarsi nella realizzazione della Grande Applicazione Innovativa che rivoluzionerà la piattaforma iPhone; dall’altro comunica insicurezza e paura di affrontare i rischi di una simile impresa, sperando magari che Apple modifichi l’App Store in modo tale da offrire maggior risalto a lui e a quelli come lui. Come, di grazia, mi piacerebbe saperlo: creando una nuova categoria “Applicazioni Premium da 50 Euro ma toste e innovative”? Facendo promozioni speciali per Applicazioni Create Da Gente In Gamba? Suvvia.

E poi, vada piano Hockenberry nel fare di ogni erba un fascio: molte applicazioni da 0,79 Euro (o addirittura gratis) non sono affatto software-spazzatura: Shazam è gratis ma è ben fatto, come del resto AroundMe o la versione free di Instapaper. Converter (prodotto da Architechies) costa 0,79 Euro ed è una delle migliori utility di conversione di unità di misura. Viene costantemente aggiornata e l’interfaccia grafica è molto curata.

Uno dei principali propulsori dell’innovazione è il rischio. Se osserviamo la storia dei prodotti più rivoluzionari, non solo in ambito informatico, vediamo che spessissimo i loro creatori sono andati incontro a rischi molto grandi, primo fra tutti quello del fiasco più totale. Il signor Volskwagen mica sapeva che avrebbe creato un’icona con il Beetle (Maggiolino e Maggiolone): era un’utilitaria che rompeva molti schemi e tradizioni dell’epoca, e avrebbe potuto benissimo non piacere al grande pubblico. Ma senza uscire troppo dal seminato, la storia dell’informatica è zeppa di casi emblematici. Lo stesso Macintosh, il primo modello, ha rischiato di essere un flop ancor più catastrofico del Lisa.

Con il software è la stessa cosa. Hockenberry e molti come lui sono principalmente sviluppatori di software Mac che, se vogliamo, è potenzialmente più difficile da pubblicizzare e diffondere, e la cui vendita non è immediata come sull’App Store. Eppure davanti a un programma per Mac di qualità, pubblicizzato e recensito positivamente, l’utente giudizioso lo acquista e il prezzo diventa un fattore secondario. Non vedo perché non debba essere lo stesso per un’applicazione per iPhone.

Concludo facendo notare come questa lettera aperta di Hockenberry possa rivelarsi addirittura un’arma a doppio taglio: i potenziali acquirenti dei suoi programmi che hanno frainteso il suo messaggio (pensando magari che si tratti di un espediente per attirare attenzione) o che non si trovano d’accordo con lui (come il sottoscritto), potrebbero decidere di snobbare del tutto le sue applicazioni presenti e future, per una questione di principio. Lo so, è un caso limite, ma non mi sento di scartarlo a priori.

Scacchi portatili

Mele e appunti

Appassionati di scacchi, gioite. È finalmente uscito Deep Green per iPhone. Che cos’ha di speciale? Anzitutto è una buona implementazione del gioco degli scacchi per iPhone. Sull’App Store ci sono varie alternative, ma aspettavo qualcosa di più semplice e ben sviluppato. Ed è arrivato, e per di più a opera di Joachim Bondo, che dieci anni fa aveva creato Deep Green per il Newton, uno dei primi software che scaricai per il mio MessagePad 2000 (prontamente trasferito sul mio attuale MessagePad 2100). Io non sono un gran giocatore, ma di tanto in tanto, quando sono in movimento, faccio qualche partita contro il Newton, e Deep Green è sempre stato una bellezza. Mi fa piacere che sia approdato su iPhone, e l’ho acquistato subito, anche approfittando del prezzo di lancio — 3,99 Euro — valido per tutto dicembre (sul sito si legge che poi aumenterà a 7,99 dollari, quindi presumo a 5,99 Euro o giù di lì). Se vi piace cimentarvi contro un avversario in carne e ossa o contro il computer, e stavate cercando una buona versione degli scacchi per iPhone, l’avete trovata.

Deep Green sul mio Newton MP2100

Deep Green sul mio Newton MP2100

Deep Green per iPhone

Deep Green per iPhone

Oltre che bello a vedersi, è davvero intuitivo da usare e — cosa che personalmente gradisco assai — non è infarcito di opzioni e impostazioni. Solo l’essenziale per configurare una partita. Come nella versione per il Newton, ogni elemento dell’interfaccia è particolarmente curato e le icone che compaiono nella parte inferiore dello schermo sono chiare e se ne comprende subito la funzione. È possibile inoltre disporre liberamente i pezzi sulla scacchiera, per esempio per riprodurre qualche finale storico e vedere come si comporta l’intelligenza artificiale, o semplicemente a fini di studio. Vado subito a rispolverare i manuali…

Come dovrebbe essere iDisk

Mele e appunti

Sono iscritto a .Mac dai primi del 2004 e ho sottoscritto almeno tre account quando il servizio .Mac, che oggi Apple chiama MobileMe, si chiamava iTools ed era gratuito. La ragione principale per cui decisi di continuare a usare il servizio di Apple quando si trasformò in un servizio a pagamento era anzitutto avere un account di posta affidabile. Ero un po’ stanco delle stupide limitazioni dei vari account che avevo all’epoca; ne avevo sottoscritti diversi: con tin.it, libero.it, inwind.it, iol.it, tutti in quel periodo di frenesia da Internet che investì l’Italia intorno al 1998–1999, in cui a qualsiasi fiera e in qualsiasi rivista informatica era possibile trovare il famigerato CD-ROM che permetteva la sottoscrizione e l’impostazione di un account gratuito, praticamente con chiunque.it. Passata la sbornia, gente come Infostrada/Wind aveva iniziato a impedire la libera consultazione della casella di posta via POP e client email a chi non avesse un contratto con loro come Provider Internet. L’alternativa era utilizzare la posta elettronica via Web (scomodo, interfaccia penosa e farcita di pubblicità) oppure ricorrere a un piccolo grande software come MacFreePOPs. In vista del mio trasferimento in Spagna volevo qualcosa di più semplice e al tempo stesso abbandonare tutti quegli ottomila account gratuiti che stavano ormai diventando rami secchi. Oggi sono un utente soddisfatissimo di .Mac/MobileMe, Gmail e del servizio di posta degli amici del POC.

Un altro paio di cose che mi convinsero a rimanere con Apple anche quando iTools fu abbandonato in favore di .Mac a pagamento erano iDisk e la possibilità di avere uno spazio Web. Fu proprio nello spazio Web del mio account .Mac che iniziai Autoritratto con mele nel 2005, e quella prima versione del mio weblog è ancora online, anche perché non ho ancora ultimato il trasferimento dei post più vecchi. A quel tempo non esisteva ancora iWeb, e i software per la creazione e il mantenimento di un blog compatibili con il servizio di Apple erano essenzialmente limitati a iBlog e a BlogWave Studio. Entrambi piuttosto rudimentali, specie se paragonati con i servizi gratuiti odierni come Blogger o WordPress, ed entrambi provati (comprati nel caso di BlogWave Studio) e abbandonati il prima possibile.

iDisk: l’ho sempre trovata un’idea geniale e un servizio utile, non per niente in un’occasione disastrosa mi salvò una cinquantina di MB di documenti importanti. Tuttavia l’ho sempre trovato un servizio male implementato, specie considerati gli standard qualitativi a cui mi ha abituato Apple in questi anni. Usarlo direttamente dal Finder è sempre stata un’impresa ai limiti dell’impossibile sotto Mac OS X fino a Tiger compreso, e appena appena accettabile (ma sempre poco usabile) sotto Leopard. Il consiglio è sempre stato di accedere a iDisk utilizzando un client FTP che supportasse anche il protocollo WebDAV (CyberDuck e Transmit per citare i miei preferiti). Io ho sempre impiegato Goliath. Malgrado non venga aggiornato dal 2003 o giù di lì, e la sua interfaccia grafica sia piuttosto cruda, è un ottimo programma, leggero e svelto, e in più ne esiste una versione anche per Mac OS 8 e 9 che uso con i miei Mac vintage.

E dunque, come dovrebbe essere iDisk? Nel tempo mi sono formato un’idea, osservando altri servizi (a volte gratuiti) e prendendo appunti. Poi di recente è apparso un pacchetto (servizio + applicazione) che funziona esattamente come vorrei, e si comporta come dovrebbe comportarsi iDisk. Parlo di Dropbox, ovviamente.

Andate sul sito e seguite il tour che spiega le varie funzionalità di Dropbox. Io sarò spiccio: l’idea di base è l’installazione di una cartella (“Dropbox”, appunto) sul Mac contemporaneamente all’attivazione di un account gratuito sul sito Dropbox. Tutto quel che viene copiato in questa cartella viene automaticamente caricato sui server di Dropbox e diventa accessibile da un altro Mac con installato Dropbox (e configurato per accedere allo stesso account, ovvio), oppure direttamente dal Web se ci si trova fuori sede senza un computer appresso e ci si serve di una postazione pubblica. I contenuti vengono mantenuti sincronizzati e ogni modifica registrata in tempo reale. Tutti gli account free hanno una Dropbox di 2 GB, ma passando a un account a pagamento si può arrivare ad averne 50. Il servizio mi ha stupito per la semplicità, l’efficienza e per il fatto che Dropbox tenga traccia di tutte le operazioni effettuate dall’utente, con la possibilità di ricuperare una versione precedente di un file grazie a una procedura di ripristino molto simile a quella di Time Machine. È inoltre possibile condividere foto e mettere a disposizione dei file anche a chi non ha un account Dropbox (li si mette nella sottocartella Pubblica e da lì è possibile inviare un link diretto al file). Io lo uso come una chiavetta USB. Installato su tutti i miei Mac, è ottimo per passare (quasi) istantaneamente file da uno all’altro. Un’altra cosa assai gradita è l’assoluta non invadenza dell’applicazione. Lanciato l’Installer, viene offerta la possibilità di creare un account o di fare il login in un account già creato sul sito; poi viene installata la cartella Dropbox (la si può mettere dove si vuole) e un menu extra nella barra dei menu, per poter accedere alla cartella e ai comandi a essa legati in maniera semplice e rapida. Le prestazioni calano se si danno in pasto a Dropbox moltissimi file di piccole dimensioni tutti in una volta, ma per il resto è davvero efficiente, trasparente e intuitivo. Come dovrebbe essere iDisk, appunto, e MobileMe più in generale.

(Un’applicazione per iPhone è in preparazione, nel frattempo ho creato una scorciatoia alla pagina principale del sito di Dropbox, così da potervi accedere da iPhone con un solo tap).