Leopard: diario di bordo (4)

Mele e appunti

Un’altra giornata passata senza problemi o brutte sorprese. Una sensazione molto distinta, ma tutta personale e niente affatto tecnica, è che il sistema operativo si adatti progressivamente al Mac su cui è installato. In realtà può benissimo essere che sia io ad abituarmi progressivamente a Leopard, ma il fatto è che i primi due giorni certe operazioni (il lancio di alcune applicazioni, il passaggio fra un’applicazione e l’altra, per dirne due) mi sembravano meno scattanti, e notavo che la ventola del PowerBook si azionava più di frequente. In ogni caso voglio ribadire come Leopard sia assolutamente utilizzabile su un G4 a 1 GHz, con 32 MB VRAM e 768 MB RAM. La reattività del sistema è pari e spesso superiore a Tiger. Il fatto che Spotlight sia enormemente migliorato rispetto a Mac OS X 10.4 di certo aiuta. Ora si possono eseguire ricerche più complesse con operatori booleani (AND, OR, NOT) e i tempi di visualizzazione dei risultati della ricerca sono visibilmente diminuiti. Impressionante la ricerca su volumi condivisi: qui Spotlight ci mette un po’ di più, ma i tempi di risposta sono quasi paragonabili a Spotlight in Tiger.

Non essere presenti è parte del divertimento. Così recita la pagina del sito Apple USA dedicata al nuovo iChat 4. Sì, le solite frasette accattivanti in stile Apple, uno pensa con scetticismo di fronte ai visi sorridenti delle schermate d’esempio, che chiacchierano fra loro via iChat con buffi sfondi dietro di sé. iChat aggiunge infatti nuovi effetti speciali per rendere più spiritosa una chat video. Ma di questi effetti non me ne può fregare di meno. È Condivisione Schermo, per me, la vera innovazione. Provato ieri notte in chat con Lucio, e sono rimasto interdetto quando la sessione di Condivisione Schermo è iniziata. Potevo vedere quel che avveniva sul suo PowerBook in tempo reale e ascoltare Lucio. Quando avevo letto di questa nuova funzionalità di iChat, ingenuamente credevo si trattasse di una condivisione “muta”, in realtà l’interazione è totale, e Condivisione Schermo è in sostanza una chat audio (o video per chi ha iSight) con in più lo schermo del Mac dell’altro utente davanti a te. Vedevo la scrivania di Lucio e quel che stava facendo a pieno schermo sul mio Mac, con un’ottima fluidità, un po’ come osservare un filmato in streaming. Condivisione Schermo non è un inutile effetto speciale, è uno strumento efficace soprattutto per chi collabora a un progetto e magari è costretto a farlo a distanza. Per esempio un collaboratore può mostrare all’altro come una certa cosa venga visualizzata sul suo Mac in caso di discrepanze, o mostrare esattamente a che punto è con il proprio lavoro sul progetto in questione, o insegnare a un altro collaboratore come impostare, che so, le preferenze di Illustrator o come applicare un filtro di Photoshop… e così via.

Più autosufficienza. Sto leggendo con interesse gli articoli di Dan Frakes su Macworld.com dedicati a illustrare quali software di terze parti Leopard rende superflui (in tutto o in parte) grazie alle sue nuove funzionalità. (Qui trovate la prima parte, qui la seconda). È una cosa che non ho potuto fare a meno di ignorare in questi giorni di utilizzo “normale” di Leopard: ho qualche applicazione in meno aperta nel Dock. Per leggere brevi file di testo, per vedere di che tratta un PDF, per ascoltare un brano di tanto in tanto, per guardare una cartella di fotografie, per fare una semplice masterizzazione mi è bastato il Finder. E Apple ha esteso le funzionalità di certi programmi un po’ debolucci come Acquisizione Immagine e Anteprima per far sì che “bastino e avanzino” per chi non abbia esigenze specifiche. (Il nuovo Anteprima mi piace molto più del vecchio, ma per la lettura e gestione dei PDF continuo a usare Skim, che migliora a ogni piccolo aggiornamento. Adobe Reader è un ricordo ormai). Se a questo aggiungiamo le possibilità offerte da Spaces, abbiamo un ambiente di lavoro decisamente più sgombro e razionale.

Piccoli pezzi mancanti. Arrivato al sesto giorno (settimo mentre scrivo), ho notato anche qualche piccola mancanza, ma niente di tremendamente critico. Mi era sfuggito, per esempio, che Leopard non supporta più l’Ambiente Classic. Utilizzo ancora qualche applicazione che necessita di Classic, ma per questo lascio Tiger installato su un altro Mac sufficientemente veloce per far girare tali applicazioni (e anche giochi). Ora in Leopard un’applicazione Classic presenta un segno di divieto sovrapposto alla sua icona, per cui basta un colpo d’occhio in caso di incertezza. Devo dire che questo ha avuto un effetto collaterale positivo sul mio PowerBook: ho potuto liberare più di un GB di spazio su disco eliminando la “Cartella Sistema” (necessaria all’Ambiente Classic, da non confondersi con la cartella “Sistema” necessaria al funzionamento di Mac OS X) e la cartella “Applicazioni (Mac OS 9)” dopo averle trasferite su un altro disco rigido.

Un’altra mancanza è per me la finestra “Mostra tutto” di Spotlight com’era in Tiger. Quella di Leopard è più confusa e caotica. Questo rientra in tutti quei piccoli cambiamenti estetici che Apple ha deciso di effettuare arbitrariamente in Leopard e che poteva risparmiarsi, visto che funzionavano bene già in precedenza. Se una cosa non è rotta, perché ripararla?

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Risultati della ricerca Spotlight di “pdf” nella finestra “Mostra tutto” in Mac OS X 10.4 Tiger (clic per ingrandire)

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Risultati della ricerca Spotlight di “pdf” nella finestra “Mostra tutto” in Mac OS X 10.5 Leopard (clic per ingrandire)

Si vede immediatamente come in Tiger la finestra dei risultati sia molto più chiara e navigabile. Fra l’altro ho scoperto un comportamento strano di Leopard proprio mentre cercavo di catturare la seconda figura. Sia facendo Mela-Maiusc‑4 e poi premendo la barra spazio per fotografare solo la finestra prescelta, sia utilizzando l’analoga funzione dell’utility Istantanea, i contenuti della finestra non erano visibili, ma veniva presentato solo uno sfondo nero. Ho dovuto fotografare l’intero schermo e poi ritagliare la parte che mi interessava. La cosa è riproducibile sul mio Mac, ma non mi azzardo a parlare di bug. Se volete fare delle prove sui vostri Mac, sappiatemi dire.

Sempre in tema di mancanze, è curioso notare l’assenza di una funzione nuova di Safari. Se ne parla nella pagina di Apple che elenca le nuove 300 funzionalità di Leopard, se ne parla persino nell’Aiuto di Safari, ma non sono riuscito a trovarla né ad attivarla. Si dice infatti che adesso è possibile navigare in un documento PDF direttamente in Safari utilizzando i controlli di anteprima (e questi ci sono, appaiono in sovraimpressione nella parte inferiore della finestra al passaggio del puntatore del mouse) e il “pannello laterale”. Dove sia questo pannello laterale e come fare ad attivarlo è quel che mi piacerebbe sapere. L’Aiuto Safari afferma testualmente:

Per visualizzare la barra degli strumenti, posiziona il puntatore del mouse al centro della pagina PDF, vicino alla parte inferiore. Se sposti il puntatore dalla barra degli strumenti, dopo un attimo questa scompare.

Per visualizzare la barra laterale, fai clic sul triangolo a sinistra della barra degli strumenti.

Questo famigerato “triangolo a sinistra della barra degli strumenti” non esiste.

Reazioni miste. Ovvero novità che presentano aspetti interessanti e caratteristiche irritanti. Ritorno brevemente sugli Stack: degli aspetti irritanti ho già parlato in una delle parti precedenti del mio diario di bordo. Ieri sera ho notato una cosa che non mi dispiace: stavo controllando la posta e scaricando un file da Internet con Safari in background. A scaricamento ultimato, lo stack Downloads nella parte destra del Dock ha fatto un balzello per avvertire che il download era terminato, e l’icona del documento è apparsa in primo piano sulle altre.

Il Visore Aiuto è migliorato indubbiamente. Più reattivo di prima, con un comportamento più consistente (finiti i tempi delle inspiegabili finestre vuote), e soprattutto con una funzione di Indice che permette di sfogliare rapidamente i contenuti dell’Aiuto. Fin qui tutto bene. Ma perché fare in modo che la finestra rimanga sempre visualizzata in primo piano? Ho cercato di aggirare il problema con Spaces, assegnando uno spazio specifico a Visore Aiuto, in modo da togliermelo dalla scrivania attiva. Niente da fare: se attivato, Visore Aiuto compare sempre sopra tutte le applicazioni e finestre aperte in quel momento. Irritante.

E anche per ora, passo e chiudo.

Leopard: diario di bordo (3)

Mele e appunti

Oggi è stata una giornata piuttosto tranquilla. Ho cercato di usare il PowerBook in maniera naturale, seguendo il mio abituale flusso di lavoro, e si conferma l’impressione di grande stabilità che avevo avuto sin da subito. C’è stato qualche piccolo inghippo, ma si è risolto ancor prima di iniziare a preoccuparmi. Per esempio, stavo eseguendo una ricerca e Spotlight è andato in crash, nel senso che i documenti hanno cominciato ad apparire nel menu a discesa sotto l’icona di Spotlight, poi il tutto si è congelato un paio di secondi, e pare che il sistema abbia “resettato” Spotlight: l’icona in alto a destra è infatti sparita un istante per ricomparire subito dopo. Fatto clic nuovamente su di essa, le ricerche hanno ripreso da dove si erano fermate. Visivamente, l’inghippo è durato meno del tempo che ho impiegato ora a descrivere la situazione.

Scrivania molto estesa. Oggi ho abilitato Spaces e ho iniziato a provarlo. Non sono mai stato un fanatico delle scrivanie virtuali. Non le ho mai trovate particolarmente comode da usare, o forse non ho mai sentito l’esigenza di usarle perché semplicemente me ne bastava una. Poi, con il PowerBook collegato a un monitor esterno, la scrivania mi sembrava già abbastanza estesa… Mesi fa, quando ho visto che Spaces veniva annoverata fra le maggiori nuove funzionalità di Leopard, ammetto di aver pensato: ma non potevano investire energie in qualcosa di più utile? Provare per credere, diceva quel mobiliere. Spaces è comodo e intuitivo (chiedo venia per i due aggettivi abusatissimi, ma è notte fonda e non mi sovviene una resa migliore del concetto). Comodo perché in effetti non guasta dividere le applicazioni aperte per categoria, invece di averle tutte sulla scrivania e dover continuamente passare da una all’altra consumando i tasti Mela-Tab. Adesso ho i browser nello spazio 1, i client di posta elettronica nello spazio 2, iTunes, Max e Sound Studio nello spazio 3, e penso di riservare il 4 per GraphicConverter, Lightroom e affini. Intuitivo perché le scorciatoie da tastiera di default sono azzeccatissime e viene naturale usarle per passare da uno spazio all’altro. Basta un’occhiata alla barra dei menu e l’icona di Spaces, se attivata, indica in quale delle scrivanie virtuali ci troviamo. E se si vuole una vista d’insieme a volo d’uccello si preme F8 (tasto di default, personalizzabile) ed ecco tutti gli spazi in miniatura, presentati in stile Exposé. Un clic sulla finestra aperta di una certa applicazione, e la finestra passa subito in primo piano. Oltretutto, mentre si osservano i vari spazi dall’alto, si può usare Exposé per individuare più facilmente la finestra o l’applicazione a cui si vuol passare.

Posta prioritaria. Mail 3.0 somiglia a Mail 2.0 solo superficialmente. Non che io abbia mai avuto problemi con la versione 2, ma la 3 è potente. Lo si nota subito: Mail è più veloce e robusto. I tempi di aggiornamento di una casella e di sincronizzazione con il contenuto del server .Mac sono visibilmente diminuiti. Prima spostare una casella contenente 9–10.000 messaggi era uno strazio, pareva che i messaggi venissero copiati con un ritmo di due-tre alla volta e un’operazione di spostamento di una casella di quelle dimensioni poteva durare anche 15 minuti. Oggi ho riorganizzato le caselle e ho spostato 4 cartelle di messaggi archiviati (circa 48.000 in totale) in un’altra casella. Mail non ha fatto una piega e durante l’operazione rimaneva utilizzabile. Come ho già accennato in altro post, mi piace moltissimo che ora l’attività di Mail sia (volendo) sempre visibile in una piccola sezione in basso nel pannello di sinistra. Così il feedback visivo non è limitato alle rotelline che girano accanto alle caselle principali. Con Mail 2.0 mi trovavo continuamente a premere Mela e il tasto zero (0) per portare in primo piano la finestra di attività. Ora vedo subito se c’è un problema, se mi sta arrivando un messaggio particolarmente corposo, e via dicendo.

Lieve incidente di percorso con lieto fine. Ieri mettevo Toast Titanium 6 fra le applicazioni che funzionano con Leopard. Oggi ho provato a masterizzare un CD ma non c’è stato verso. Dovevo masterizzare un’immagine ISO, e per andare sul sicuro ho acquistato un paio di CD‑R ad alta capacità da 800 MB / 90 min (marca TDK, eh), ma Toast, all’atto di scrivere il file, si bloccava dicendo che non vi era spazio sufficiente. Strano, visto che l’immagine era di 590 MB e il CD‑R da 800. Beh, pare che Toast vedesse il disco vuoto come un’unità con soli 96 MB liberi. Ho provato a inserire un CD-RW da 700 MB, cancellarlo e masterizzarlo nuovamente. Niente da fare. Il “quick erase” abortiva, la cancellazione completa andava a buon fine, ma la masterizzazione si interrompeva nelle fasi finali (scrittura della traccia lead-out) con gli errori più vari. Ho passato la palla a Utility Disco, che ha nuovamente cancellato il CD-RW e lo ha masterizzato senza problemi. Non sono sicuro sul colpevole, però. Toast Titanium 6 non ha mai sbagliato una masterizzazione da quando l’ho comprato (avevo ancora Panther, se non ricordo male). Ho già provato a usare CD‑R da 800 MB senza intoppi. Ho fatto una prova con Toast Titanium 8, ma anch’esso vedeva il CD‑R da 800 MB come uno da 96 MB. Fin qui sembrerebbe un’incompatibilità fra Toast e Leopard. Ma a confondere le carte sta il fatto che anche una masterizzazione tentata dal Finder e da Utility Disco su quel CD‑R da 800 MB falliva perché entrambi vedevano solo 96 MB. Dovrei provare con un altro CD‑R ad alta capacità: magari ho solo avuto la sfortuna di comprare un disco malfatto.

Qualche altra cosuccia: 

  • In Tiger (e precedenti, credo), se si selezionava “Vuota il Cestino” da menu, il Finder chiedeva conferma per l’eliminazione dei file (se l’opzione veniva attivata nelle preferenze del Finder), ma se si faceva clic sull’icona del Cestino nel Dock e dal menu a comparsa si selezionava “Vuota il Cestino”, lo svuotamento era immediato. In Leopard compare la finestra di conferma anche in questo secondo caso.
  • È possibile dire a Time Machine di fare un backup immediatamente. Clic sull’icona di Time Machine nel Dock, e dal menu a comparsa si può selezionare “Esegui il backup adesso”.
  • Si può lanciare System Profiler direttamente dal menu Mela. Opzione-Clic sul menu Mela, e la voce di menu “Informazioni su questo Mac” cambia in “System Profiler”.
  • La finestra Network è tornata a essere più chiara e pulita, come avveniva in passato. Adesso in una rete mista Mac/PC (almeno, nella mia), quando dal Finder si va alla finestra Network (Vai > Network, o Mela‑K e clic sul pulsante “Cerca”), non compaiono più cartelle e sottocartelle “My Network”, “Local Servers”, “WORKGROUP” e compagnia, ma semplicemente le icone dei Mac e dei PC. E l’accesso di rete è percettibilmente migliorato rispetto a prima. Ho notato una reattività mai vista prima nel montare/smontare server remoti sulla scrivania e nell’accesso a tali server. Anche iDisk fa un passetto avanti a ogni major release di Mac OS X.
  • Le icone delle applicazioni nel Dock 3D nella parte inferiore dello schermo sono molto, molto più visibili se si utilizzano sfondi di scrivania scuri, altrimenti (almeno per i miei occhi) è un disastro di visibilità, è come guidare il puntatore del mouse nella nebbia.
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    Anche per oggi è tutto.

    Leopard: diario di bordo (2)

    Mele e appunti

    Leopard sul mio PowerBook continua più stabile che mai. Devo solo capire perché adesso il portatile non mi va più in stop da solo, ma forse è dovuto al fatto che a volte non smonto i volumi condivisi. In ogni caso è un non-problema: per adesso continuo a esplorare le novità di Leopard, mettendo io a nanna il PowerBook quando è ora.

    Quick Look: mai più senza. La comodità di avere un’anteprima di (quasi) tutto nel Finder è incredibile. Esempio: ad alcune persone non piace come iTunes gestisce la musica. Mi sono sentito dire: ma se voglio semplicemente ascoltare dei brani che ho su una chiavetta USB o che ho in un CD MP3, perché iTunes non me li riproduce e basta, senza per forza copiarseli/importarseli nella libreria? Con Quick Look il problema è risolto: si apre la cartella dove risiede il brano o i brani che si vogliono ascoltare, si seleziona il file, lo si apre in Quick Look (barra spazio) e il file viene riprodotto. Non è necessario aprire iTunes. Questa funzione mi è tornata comoda ieri, facendo un passaggio su delle cartelle MP3 che avevo su un vecchio disco rigido esterno. C’erano un paio di cartelle con dei file MP3 dai nomi astrusi (forse perché recuperati da un’errata cancellazione con qualche vecchia utility di Mac OS 9). Aperte nel Finder, esaminate con Quick Look, e con pochi tocchi di barra spazio sapevo di che musica si trattasse. Comodo.

    Acquisizione Immagine rientra in gioco. La povera applicazione, forse messa un po’ in disparte (in Tiger non l’ho mai aperta), ha fra l’altro una nuova funzione interessante e dalle molte potenzialità: la condivisione dei dispositivi e il controllo remoto di una fotocamera collegata al Mac. Quel che mi piace di questa funzionalità non è tanto il fine, quanto la semplicità delle impostazioni e il funzionamento immediato in pieno stile Macintosh. Si collega la fotocamera via USB (sulla mia Nikon ho prima impostato “PTP” e non “Mass Storage” nel menu dell’interfaccia USB: questo permette il controllo pieno della fotocamera). Si apre Acquisizione Immagine (apritelo manualmente se non è impostato per aprirsi da solo). Scegliere Dispositivi > Ricerca dispositivi, e fare clic sul pulsante Condivisione. Selezionare “Condividi i miei dispositivi”, indicare la fotocamera, infine spuntare la casella Attiva Condivisione Web. Sotto Attiva Condivisione Web comparirà brevemente un URL (es. http://10.0.2.1:5100). Annotarsi l’URL. Su un altro Mac o PC in rete, aprire un browser e inserire quell’URL. Comparirà una pagina Web da cui controllare la fotocamera. L’interfaccia ricorda vagamente la vecchia pagina Web della cartella pubblica dell’iDisk. Vi sono due sezioni: Browser immagine, da cui si possono scattare foto per poi eventualmente scaricarle; mentre in Monitor remoto la fotocamera può acquisire immagini a intervalli regolari personalizzabili dall’utente (il valore di default è una foto ogni 60 secondi). Il tutto è semplice, pulito, e funziona. Le istruzioni sono nell’aiuto di Acquisizione Immagine, basta cercare “Visualizzare in Internet la stanza in cui è installato il computer” (che in effetti è un possibile utilizzo di questa funzionalità).

    Condivisione Schermo. Altra feature carina e pratica, che non guasta avere di serie. Per chi non ha bisogno di tutte le funzioni di Apple Remote Desktop 3, Condivisione Schermo è più che sufficiente. Anzi, lo trovo più scattante e reattivo del mio Remote Desktop 2. La condivisione schermo è accessibile da una qualsiasi finestra Finder: si fa clic sul Mac condiviso che appare nella barra laterale sotto CONDIVISI, quindi si preme il pulsante Condividi Schermo che appare sotto la barra strumenti della finestra. Si inserisce la password per accedere al Mac condiviso e voilà. La cosa che più mi piace è che la finestra in cui appare lo schermo del Mac condiviso è ridimensionabile; in altre parole, la risoluzione dello schermo condiviso è indipendente da quella del Mac “controllore”. Anche quando si rimpicciolisce di molto la finestra è possibile continuare a controllare il Mac remoto.

    Il piccolo mistero della barra dei menu traslucida. Nel post precedente ho dichiarato che la barra dei menu non è trasparente, pensando in buona fede che gli ingegneri di Cupertino avessero introdotto un’altra modifica dell’ultimo minuto (come è avvenuto per il Dock in 2D se disposto lateralmente). Però, leggendo vari resoconti e impressioni post-Leopard nel Web, mi sono accorto che molti continuano a menzionare la semitrasparenza della barra menu fra le piccole innovazioni irritanti di Leopard. Perplesso, ho scritto al buon John Gruber, chiedendogli un parere in merito e suggerendo un mio sospetto: forse sono le limitate capacità video (32 MB VRAM) del mio PowerBook G4 a non poter visualizzare l’effetto di semitrasparenza della barra dei menu, e Gruber mi ha risposto che è anche quel che pensa lui. Pare infatti che abbia ricevuto altre email da utenti di iBook G4 che gli hanno presentato la stessa questione. Solo che non sono del tutto convinto. Gruber mi chiede infatti: “Quando attivi un nuovo widget in Dashboard, vedi l’effetto splash?”. Certo che lo vedo, quindi, se il mio PB è in grado di visualizzare quello, dovrebbe anche poter visualizzare la barra menu semitrasparente. Non che io la voglia così a tutti i costi. La mia barra dei menu è opaca e ben visibile, e anch’io trovo che il renderla traslucida sia stato un altro dei discutibili, immotivati ritocchi grafici perpetrati da Apple.

    Buone letture. Leggete, leggete, leggete l’articolone di John Siracusa su Ars Technica. È lungo 17 pagine Web, è in inglese, è a tratti un po’ ostico quando si addentra nelle novità di Leopard “sotto il cofano”, ma vale la pena. Siracusa scrive in maniera eccellente, è ben informato ed equilibrato nello sviscerare pregi e svarioni nella sua analisi di Leopard. Se ho tempo (ah ah ah) gli chiederò il permesso di tradurlo in italiano e di pubblicarlo qui.

    Per oggi non mi sovviene altro.

    Leopard: diario di bordo (1)

    Mele e appunti

    27 ottobre 2007 – Giorno 1

    Installato Leopard su PowerBook G4, 1 GHz, 768 MB RAM. Tutto bene. Eseguito il semplice aggiornamento, senza alcuna paranoia di pre-backup e pre-piallamenti vari. A installazione avvenuta, dato l’OK a Time Machine di fare il backup su disco USB esterno.

    Il portatile era utilizzabile perfino durante la copia di backup (la prima copia che fa Time Machine è ovviamente l’intero contenuto del disco, eccettuate cache e sciocchezzine che non servono al ripristino), che nel mio caso erano più di 580.000 file per una trentina di gigabyte.

    Il portatile era utilizzabile perfino durante la copia di backup e l’indicizzazione di Spotlight (al quale stavolta ho fatto includere tutti i dischi esterni collegati).

    Mentre il PowerBook macinava, potevo esplorare le varie novità di Leopard. Mi piacciono molto le migliorie al Finder, e trovo Time Machine e Quick Look le due novità più sostanziose a livello macroscopico. La possibilità di previsualizzare i file senza aprire alcuna applicazione dedicata è per me fantastica. File di testo, PDF, immagini, filmati… Bello. E cover flow nel Finder era abbastanza fluido malgrado le altre attività che stava svolgendo il PowerBook.

    Finiti i compiti di Time Machine e Spotlight, aggiornato il portachiavi via Aggiornamento Software e riavviata la macchina, tutto ha ripreso velocità e scatto, e al momento mi ritrovo con un PowerBook che pur non essendo visibilmente più veloce di Tiger, non è nemmeno più lento. E a me questo basta e avanza. Quando a Natale espanderò la memoria a 1,25 GB le cose andranno ancora meglio.

    Non ho ancora avuto tempo di scavare e fare molte prove. Così di getto trovo anche Mail migliorato. Ottimo il poter finalmente vedere permanentemente il visore attività incorporato nel pannello a sinistra. Con Mail non ho avuto problemi di migrazione. Ho ritrovato tutti i miei account, messaggi e preferenze così com’erano.

    Safari mi sembra persino un pelo più veloce della versione 3 beta su Tiger.

    Problemi di compatibilità finora non ne ho incontrati. A parte FinderPop, quelle poche utility di terze parti che uso che si integrano col sistema (MenuMeters, MenuCalendarClock, e altre cosette che al momento non mi sovvengono) hanno continuato come nulla fosse (MenuCalendarClock mi ha avvisato che era necessario fare un upgrade per la compatibilità con Leopard, ho dato conferma e ha continuato a funzionare). Solo qualche widget in Dashboard fa le bizze, ma sono inezie.

    28 ottobre 2007 – Giorno 2

    Ieri ho avuto più tempo per esplorare con calma la nuova versione di Mac OS X, leggendo nel frattempo il cumulo di paura, incertezza e dubbio fomentato da MacFixIt (no, non linko direttamente a certa gente). Sostanzialmente non si limitano a raccomandare “cautela” (leggi: paranoia), ma dicono di “aspettarsi il peggio” dopo l’insallazione di Leopard. Io, come dicevo, mi sono buttato e con un semplice “Aggiorna” mi ritrovo con un sistema stabile, con le applicazioni che uso più di frequente funzionanti, e nessuna brutta sorpresa. Per citare alcune delle applicazioni che non mi hanno dato problemi con Leopard: Audion, Camino, Firefox, Mailsmith, BBEdit, TextWrangler, GraphicConverter, Pages (la vecchia versione 1.0.2), Adobe Lightroom, Adobe Photoshop CS, LinoType FontExplorer X, Adobe InDesign CS e CS3, Toast Titanium (uso ancora la versione 6), VLC, Senuti (che mi ha richiesto di aggiornare)…

    L’Installer di Leopard è molto più semplificato rispetto alle precedenti versioni di Mac OS X. Non mi è piaciuta molto la mancanza di feedback durante l’installazione. A differenza dei vecchi Installer di sistema, non viene mostrata a video l’attività dell’Installer: c’è soltanto una finestra con una barra di progresso generale e una dicitura di “tempo rimanente”, ovviamente variabile e mai veramente indicativa. Dopo un paio di minuti in cui l’Installer sembrava piantato a “calcolare” il tempo restante, apparivano valori non realistici (un 3 ore e 20 minuti, che presto scendeva a 1 ora e 10), fino a diventare sempre più credibili (anche se sono passati almeno 10 minuti con l’indicazione “meno di un minuto”). L’installazione è durata in totale 40–45 minuti, e almeno quattro volte l’Installer pareva totalmente inattivo (nessun segno dal DVD, né dal disco rigido), facendo temere il peggio. In questi casi una finestra un po’ più ricca di informazioni non dispiacerebbe, ma questo è cercare il pelo nell’uovo.

    Prima differenza all’avvio: è sparita la storica finestra con “Avvio di Mac OS X”. Adesso, dopo la mela al centro dello schermo e la rotellina che gira, si passa alla schermata blu e poi viene subito caricata la scrivania.

    Altra differenza rispetto alle aspettative: la barra dei menu non è semitrasparente. Trovo che il leggero restyling giovi alla lettura dei menu: le parole e le icone sulla barra dei menu mi sembrano più definite, ma può essere benissimo una mia impressione.

    Più uso il nuovo Finder, più mi piace. In ogni finestra aperta si ha tutto sott’occhio, specie attivando la barra del percorso (Vista > Mostra la barra del percorso), e l’abbinata Cover Flow + Quick Look è fenomenale. Quick Look è ottimo anche in Mail per esaminare più allegati (e ieri mi sono giunte proprio due email con 8 foto allegate); questa funzione era già parzialmente implementata in Tiger, ma mi piace comunque il lavoro di rifinitura.

    Sul nuovo Dock 3D sospendo il giudizio. Ossia, non mi fa né caldo né freddo, e trovo onestamente che si siano sprecati un po’ troppi litri di inchiostro elettronico per discettare su luci, riflessi, ombre e prospettive impossibili delle icone e della superficie su cui poggiano. L’idea delle “lucine” invece che dei triangolini neri per mostrare quali applicazioni sono attive non è brutta, ma sul mio Dock, che ha 57 icone e dunque è piuttosto rimpicciolito, le lucine non si vedono granché. Chi rivuole il Dock bidimensionale di Tiger può applicare questo suggerimento di MacOSXHints.com.

    Giudizio ambivalente sugli stack. Mi piace l’idea, mi piace l’effetto visivo (trovo Griglia più utile di Ventaglio), ma non capisco perché abbiano dovuto modificare il comportamento delle cartelle che vengono disposte nel Dock, che era comodo e collaudato: clic sulla cartella, e apparizione dei contenuti in forma di menu gerarchico, con possibilità di navigare rapidamente in cartelle e sottocartelle fino a giungere all’elemento desiderato. Ora i contenuti appaiono, e in maniera più elegante e visibile, ma si è perduta la navigazione nidificata. Se faccio clic su una cartella nel Dock che contiene 15 cartelle, queste 15 cartelle mi appariranno in vista a Griglia, ma facendo clic su una qualsiasi di queste 15 cartelle non mi apparirà un’anteprima dei contenuti, si aprirà direttamente la finestra del Finder corrispondente. In sostanza, gli stack mi sembrano molto utili quando si pone nel Dock una cartella contenente soltanto documenti: lo stack si apre e si ha tutto sott’occhio. Ma quando una cartella contiene altre cartelle e sottocartelle quest’intuitività si perde un po’ per strada.

    Un’altra cosa che mi sfugge degli stack: perché mai quando trascino una cartella nel Dock adesso l’icona personalizzata della cartella viene ignorata? Certo, uno stack è letteralmente una “pila” di oggetti, e quando questa pila rimane contratta nel Dock sembra logico che venga rappresentata da tutte le icone degli elementi sovrapposte, ma visualmente è una scelta assai discutibile. Oltretutto l’icona della cartella (cioè dello stack) cambia aggiungendo nuovi elementi, perché viene visualizzata in primo piano l’icona dell’ultimo elemento aggiunto. Questa sciocchezza ha delle ripercussioni sull’usabilità e la visibilità delle cartelle poste nel Dock. Mi spiegherò meglio con esempi concreti.

    Creo una nuova cartella chiamata “Prova” e la metto nel Dock. Appare così:

    prova1.jpg

    E fin qui tutto bene. Ma se aggiungo un documento di testo all’interno della cartella “Prova”, la cartella stessa apparirà così:

    prova2.jpg

    Ovvero, sembra un file. Questo genera di certo confusione. Osserviamo le due figure seguenti:

    prova3.jpg

    prova4.jpg

    Nella prima figura vediamo la Cartella Prova con a fianco il documento “Prova.txt” creato in TextEdit e minimizzato nel Dock. Già si fatica a distinguere che un elemento è una cartella e l’altro è un file o una finestra minimizzata. Nella seconda figura vediamo invece a sinistra il documento Prova.txt trascinato nel Dock, e a destra sempre la cartella “Prova” creata precedentemente. Uno è uno stack, l’altro no. Uno è un contenitore, l’altro no. Non vi sono differenze percepibili e le due icone non trasmettono sufficienti informazioni per eliminare l’ambiguità. A me sembra una svista importante. Perché dunque non mantenere le icone delle cartelle proprio come avveniva in Tiger e precedenti?

    Per il resto non mi lamento. In questi giorni continuerò ad aggiornare il diario di bordo con altre impressioni e osservazioni. Rimanete sintonizzati, se volete.

    Le vertigini prima del balzo (a Leopard)

    Mele e appunti

    In questi giorni sulla Mailing List di Luca Accomazzi imperversa una discussione, iniziata dalla richiesta di chiarimenti di uno dei membri, il quale, considerando i requisiti minimi di Leopard, è incerto se installarlo sui suoi due Mac G4 da 1 e 1,25 GHz; riporto di seguito il mio intervento, perché credo valga la pena estrapolare il discorso e pubblicarlo qui.


     

    Francamente non capisco da dove arrivi questo panico da aggiornamento di Mac OS X.

    I miei Mac sono passati da Mac OS X 10.1 a 10.2 Server a 10.3 a 10.4. In tutti i casi la versione di OS X più recente veniva avvertita più “leggera” e “scattante” della versione anteriore. Jaguar aveva tempi di avvio più rapidi di 10.1, il Finder era più vispo, il Dock più reattivo, ecc. Panther ha fatto un altro salto rispetto a Jaguar. Con Tiger la sensazione (su un G3 a 466 MHz, su un G4 a 500 MHz e su un G4 a 1 GHz) era esattamente “un poco meglio” di Panther.

    Non capisco perché Leopard dovrebbe comportarsi diversamente. Ipotizzo che nel peggiore dei casi Leopard funzionerà con una velocità e reattività percepita come equivalente a Tiger, ma si avrà sempre in mano un Mac OS X con trecento e passa nuove funzionalità, un codice ottimizzato, e perfezionamenti system-wide. Mi sembra comunque un guadagno.

    Forse questa paura che Leopard sia un mangia-risorse deriva dal fatto che certi Mac non sono più supportati e che i requisiti minimi sono un po’ più restrittivi. Ma considerati i tempi, non è che poi siano tanto proibitivi. Per esempio, il PowerMac G4 Quicksilver a 867 MHz rientra nei requisiti, seppure per un capello, ed è una macchina uscita nel 2001. Tralasciando i requisiti minimi specificatamente richiesti da certe applicazioni, l’unica differenza rispetto a Tiger è che cade il supporto ai G3 e ai G4 più lenti, e che richiede 512 MB RAM minimi invece di 256.

    Se Leopard fosse inutilizzabile perché troppo “pesante” graficamente, Apple avrebbe potuto specificare dei requisiti di memoria video (che so, minimo 32 MB di RAM video), invece non si fa menzione di requisiti minimi per la scheda grafica.

    Mettere come requisito minimo un G4 a 867 MHz con 512 MB RAM vuol dire che su un Mac del genere Leopard sarà anche utilizzabile, e non semplicemente installabile. Se Leopard fosse inutilizzabile su un G4 a 867 MHz, perché comprenderlo nei requisiti minimi? Io ho il sospetto che, nella “zona bassa” dello spettro di Mac supportati da Leopard, il confine degli 867 MHz è soprattutto di usabilità più che squisitamente tecnico. Conosco una persona che lo ha installato su un iMac G4 a 800 MHz, e ciò significa che tecnicamente funziona.

    E sono dell’idea che, tecnicamente, Leopard potrebbe far girare anche macchine più lente; ma non sarebbero sufficientemente performanti per garantire un’esperienza d’uso soddisfacente. Ho un G4 a 500 MHz pronto a fare da cavia per questo. È l’usabilità che parte dagli 867 MHz e aumenta in proporzione diretta all’aumentare della velocità del processore. In quest’ottica sono pronto a installare Leopard sul mio PowerBook G4 a 1 GHz (768 MB RAM) senza preoccupazioni.

    In altre parole: da un G4 con almeno 867 MHz e una buona dose di RAM ci si può aspettare un certo grado di usabilità. Perché? Perché lo ha stabilito Apple. In questo contesto, è Apple la fonte più affidabile, perché è Apple ad aver condotto test di funzionamento e di usabilità sul campione più esteso di Mac, così da stabilire quali sono questi benedetti requisiti minimi. Il dato generale più affidabile è lì. Il resto è l’esperienza del singolo.

    D’altronde basta pensare al tipo di software che in genere impatta le prestazioni di un Mac in maggior misura: i giochi sparatutto, basati al 100% su grafica azione e velocità. Se il proprio Mac rientra nei requisiti minimi forniti dal produttore del gioco, il gioco sarà giocabile, altrimenti sarà goffo e a scatti, oppure “guardabile” ma ingiocabile. Chiaro, migliore è la dotazione hardware, migliore sarà il gioco. Sarà ugualmente veloce ma si potranno vedere ombre, proiettili e altri effetti grafici per un maggiore realismo. Ma il produttore del gioco deve garantire la giocabilità al minimo dei requisiti della macchina.

    Con Leopard il discorso è analogo.

    Il fatto è che ognuno, sotto sotto, si chiede: “Funzionerà sul mio Mac? Aspetto fino a quando un’altra persona, con un Mac uguale uguale al mio, comprerà Leopard e mi dirà: tutto OK” – il che è comunque un’aspettativa idiota, perché nessuno ha un Mac uguale uguale al mio. Sarà comunque utile e indicativo conoscere le varie esperienze d’uso, su vari Mac, per farsi un’idea un po’ più precisa. D’altronde chi è incerto sull’acquisto di Leopard può anche aspettare: non è che Tiger smetta di funzionare il 27 ottobre.

    Cercherò di acquistare Leopard appena esce e più avanti aggiornerò il mio blog con le mie impressioni d’uso.